Di Jacopone da Todi ci rimane molto poco: le notizie sulla sua vita sono scarne, ma la sua opera immensa. L’iconografia ci restituisce la sua immagine in un affresco realizzato da Paolo Uccello nel 1436, ora conservato presso il convento domenicano di Prato. Nella sua opera Uccello lo raffigura circonfuso da un’immensa aureola, vestito con un povero saio francescano mentre stringe tra le mani un libro.
Il libro è aperto e lui ne indica le pagine con le dita, come a invitare gli spettatori alla lettura. L’iscrizione riporta il testo della sua Lauda LV:
Che farai frate Ja[co]pone, hor se’ giunto al para(g)one.
Il riferimento è alla scomunica che Jacopone dovette subire in seguito alle accuse mosse contro Papa Bonifacio VIII. Ma vi si può leggere tra le righe anche un’accusa alla vanità mondana. Il beato Jacopone da Todi ci scruta dalla superficie del dipinto con i suoi occhi assenti come se ci trapassasse senza vederci davvero, sembra immerso in un altro mondo, circonfuso nell’aura della sua santità.
I critici romantici, in particolare Alessandro D’Ancona, lo definirono con la fortunata espressione di “giullare di Dio” per rappresentare l’immediatezza stilistica e sintattica della sua poesia religiosa che si rivolgeva soprattutto alle masse.
Chi era Jacopone da Todi? Un uomo di fede, diremmo oggi, ma soprattutto un grande poeta. Le sue opere letterarie furono essenzialmente laude religiose, ma giungono sino a noi come un repertorio inestimabile non tanto per il loro carattere sacro, quanto per la loro grande carica espressiva e umana. La lauda più celebre scritta da Jacopone, Donna de’ Paradiso, fu musicata persino da Fabrizio De Andrénella canzone Tre madri contenuta nell’album La Buona Novella.
Scopriamo la vita e le laudi di questo poeta ante litteram.
Jacopone da Todi: la vita
Si stima che Jacopo de’ Benedetti nacque a Todi tra il 1230 e il 1236. Dopo aver compiuto gli studi di diritto, forse all’università di Bologna, svolse la professione di procuratore legale.
Secondo la leggenda, Jacopone da Todi condusse una vita gaudente e dissipata almeno finché una tragedia non lo cambiò per sempre: la morte della moglie Vanna, appartenente alla dinastia dei conti di Coldimezzo.
Secondo le cronache dell’epoca la moglie di Jacopone morì a causa di un infausto incidente: il crollo del pavimento nel corso di una festa. Ma non fu tanto la tragica morte della consorte a sconvolgere Jacopone, quanto la scoperta - sotto le vesti del cadavere di Vanna - di un cilicio, strumento di tortura e penitenza. Quel ritrovamento indusse Jacopone a riconsiderare per intero la propria esistenza. Si ritirò dal bel mondo conducendo una vita spirituale e raminga, sino a entrare nell’ordine francescano dei Frati Minori.
Non era tuttavia solamente un uomo intriso di spirito di santità e carità, ma aveva degli ideali e delle solide convinzioni che spesso lo condussero ad assumere posizioni scomode e in aperto contrasto con la morale dell’epoca. Abbracciò totalmente l’ideale della Regola monastica, opponendosi al potere temporale ottenuto dalla Chiesa romana.
Questa presa di posizione gli costò cara, facendogli subire la scomunica di Papa Bonifacio VIII che trovava Jacopone un personaggio indigesto e vedeva in lui un ostacolo ai suoi obiettivi politici e alle sue ambizioni di potere.
Jacopone fu condannato dal Pontefice al carcere a vita, ma dal buio della sua cella nei sotterranei del convento non cessò mai di leggere né di scrivere, dedicandosi al repertorio delle Laudi.
Uscirà dal carcere e sarà liberato dal peso della scomunica soltanto nel 1303 grazie all’avvento del nuovo Papa, Benedetto XI.
Le cronache del tempo riportano che Jacopone morì nella notte di Natale del 1306 nel convento di Collazzone, situato tra Perugia e Todi.
Jacopone da Todi: le laudi
Il Laudario di Jacopone da Todi comprende un repertorio vastissimo: dalla celebre Stabat Mater a Donna de’ Paradiso.
Un elemento ricorrente nei suoi componimenti è il rifiuto totale del corpo e delle passioni mondane a favore di una vita ascetica e dell’unione mistica con lo spirito divino. Jacopone guarda al corpo con un misto di ribrezzo e paura, identificando nella carnalità lo spettro del peccato. Spesso nei suoi testi insiste sulla condizione peccaminosa e infelice della vita umana, richiamando il genere medievale del contemptus mundi, ovvero del disprezzo del mondo.
Un tema ricorrente nel suo Laudario è quello dell’amore divino, che nelle sue opere si mostra con una passione violenta molto simile all’eros umano. Per identificare quest’unione indicibile tra l’essere umano e il divino Jacopone da Todi utilizza un termine particolare, iperbolico: “esmesuranza”, che ritorna di frequente nei suoi testi, qualcosa a metà tra lo “smisurato” e “l’“abbondanza”, che rimanda in ogni caso a una concezione di eccesso spropositato. Questo neologismo ante litteram coniato da Jacopone intendeva esprimere ciò che non poteva essere detto con parole umane.
Quello utilizzato da Jacopone da Todi è un linguaggio particolare, innovativo, che mescola latinismi e provenzalismi alla materialità scabra del dialetto della sua terra d’origine, l’Umbria.
Una lingua nuova che raggiunge una tensione emotiva e drammatica impensabile in epoca medioevale. La lauda di Jacopone da Todi, Donna de’ Paradiso, è tuttora da considerarsi un capolavoro, perché nessuna preghiera, nessun testo laico o cristiano, riescono a far trasparire la straziante sofferenza della Madonna ai piedi della croce come questo componimento di Jacopone. Il frate francescano si trasforma in un poeta virtuoso donandoci parole dall’alta intensità drammatica, che riescono ancora oggi a commuoverci e farci percepire un dolore che non è il nostro, ma appare universale perché è il dolore di una madre che perde suo figlio.
La lauda di Jacopone, Donna de Paradiso, inizia narrando della Madonna che corre ai piedi del calvario per assistere Gesù, suo figlio, nel percorso della Passione. Jacopone legge la sofferenza di Gesù attraverso gli occhi dolenti e l’angoscia impotente di Maria, scandendola con le parole avvelenate del popolo che urla incitato da Pilato: Crucifige! Crucifige!
La struggente bellezza del canto è rappresentata dal fatto che Jacopone da Todi riesce a raffigurare il dolore divino trasformandolo in dolore umano, nel dialogo eterno tra una madre e suo figlio posti dinnanzi allo scempio estremo della croce, dunque alla crudeltà del destino e all’atrocità della morte.
Riportiamo di seguito l’incipit del canto Donna de’ Paradiso che esprime appieno l’alta poetica di Jacopone, la musicalità del suo linguaggio e l’elevata carica espressiva della sua opera:
Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Jacopone da Todi: vita e laude del “Giullare di Dio”
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Storia della letteratura Jacopone da Todi
Lascia il tuo commento