Nel nuovo romanzo di Pierre Jourde, Il viaggio del divano letto (Prehistorica editore, 2024, trad. di Silvia Turato), il trasporto del divano è una metafora del bagaglio emotivo che ogni individuo si porta dietro. Il libro invita a riflettere sul ruolo degli oggetti nella nostra vita, spesso legati a memorie e persone care, caricati di significati che vanno oltre la loro funzione pratica, diventando una vera e propria eredità emotiva.
“Se questo testo può essere considerato un racconto autobiografico è perché tutte le storie in esso narrate, senza eccezione alcuna, sono realmente avvenute nella vita reale…”
Un’annotazione necessaria per un libro leggero, divertente, ironico, fresco che fa bene al cuore. Leggere Il viaggio del divano letto lascia il lettore piacevolmente coinvolto nella storia autobiografica che ha come sfondo un trasporto particolare da una casa a un’altra. Un’occasione che diventa pretesto, riscoperta, revisione, riflessione su legami familiari, affetti e aspettative di una famiglia come tante: quella dell’autore del libro appunto.
Pubblicato nel 2018 in Francia Il viaggio del divano letto arriva in Italia attraverso Prehistorica Editore, casa editrice indipendente di Verona.
In questa opera autobiografica, l’autore racconta un particolare episodio della sua vita familiare che mescola umorismo e riflessioni profonde sui legami familiari. Ai limite del tragicomico, la trama ruota attorno al trasporto di un divano letto dalla casa della nonna (morta all’età di 93 anni) nella casa di campagna di famiglia, su richiesta della figlia (madre dell’autore) ai propri figli (l’autore e il fratello appunto).
Un evento/trasporto strano quello di un sofà Clermont-Ferrand fino alle montagne dell’Alvernia che diventa, però, l’occasione per un on the road bizzarro, per nulla ispido o ripetitivo mettendo al confronto memoria del passato, situazione presente, rapporti arrugginiti in una vera e proprio autoanalisi che diventa “terapia di famiglia”.
Un’autonalisi che ricorda Freud, come il divano, del resto, che si ritrova finitore di cuciture che il tempo ha sgualcito e strappato, ma che il viaggio in qualche modo rattopperà.
Da semplice pezzo (di pessimo gusto) di mobilio, il divano letto diventa simbolo di un retaggio familiare in cui gli oggetti si caricano di significati affettivi e di storie capaci di destabilizzare una famiglia. Nel suo ultimo viaggio ai limiti del rocambolesco, il canapé-lit diventa in qualche modo “portatore”, “conservatore di memoria”, nascondendo legami inattesi e perfino sconosciuti.
Abbiamo incontrato l’autore Pierre Jourde a Pordenonelegge 2024, in una chiacchierata piacevole che aveva lo scopo di far conoscere ai nostri lettori un libro delizioso e inaspettato.
- Un romanzo caratterizzato da uno stile ironico e leggero, con punte di malinconia, il suo. Un episodio che può sembrare banale e non adatto a un pubblico adulto, ma solo ai ragazzi, per poi rivelarsi invece vero e proprio pretesto di esplorazione più vicina all’autoanalisi. Come nasce la scelta del divano “protagonista” della sua narrazione?
In realtà non è un’invenzione letteraria questo trasporto. Abbiamo davvero trasportato questo divano malandato dalla casa di Clermont-Ferrand fino alle campagne dell’Alvernia, dove avevamo la nostra casa in campagna, la nostra casa di vacanza.
Mia madre ci chiese in modo un po’ autoritario di prenderci carico di questo trasporto.
Tra l’altro il divano era decisamente malandato e una volta arrivato a destinazione (nel tentare di portarlo al secondo piano della nostra abitazione) si danneggiò a tal punto che lo buttammo via, rivelando il viaggio fatto come inutile. Almeno a prima vista.
- Come si è rivelato utile il viaggio?
Sicuramente, nell’avvicinarmi a mio fratello, ho ripensato alle vicissitudini della nostra famiglia. Ad alcuni momenti (facili e difficili) che ogni famiglia alla fine vive. Sembra quasi una storia inventata, ma il divano letto ha assunto una funzione psicoanalitica alla “Freud” nel difenderlo e nel trasportarlo.
In fin dei conti, sono in molti a non volersi liberare di cose (divani o altro) che hanno fatto parte della loro vita. Si dice anche in Italia, credo, che gli oggetti parlano perché hanno fatto parte integrante del nostro vissuto tanto da sembrarci “vivi” pur non essendolo.
Insomma si passa da legami familiari a legami con “oggetti” che acquisiscono funzione di memoria, in qualche modo. Ma non è il solo punto di riflessione quello della memoria. C’è il prendere coscienza del tempo che passa, la perdita di chi si ama e e l’importanza dei legami familiari.
- A questo proposito parliamo dei legami familiari. Un altro autore francese, Antoine de Saint-Exupéry, ha fatto vanto e declinazione nel suo famosissimo libro, Il piccolo principe, dove il legame non è qualcosa di subìto, ma da costruire e preservare. Qui invece il legame come lo si intende?
Il mio linguaggio e i miei toni per parlare di legami “familiari” sono molto diversi da quelli poetici del Petit Prince. Quello che è certo, comunque, è che rilevo nel nostro quotidiano una perdita di dialogo con chi ci sta vicino, non solo perché impegnato a fare altro, ma proprio perché a noi sconosciuto. Preferiamo un dialogo striminzito ed essenziale, quasi ai limiti del bon ton. Perdiamo però quello che c’è di bello del vivere in una famiglia. C’è un po’ di malinconia in questo, nello scoprire tutto questo. In sé, l’episodio di questo “trasporto” può sembrare banale, ma diventa un pretesto, una scusa per imporci di capire i rapporti familiari, il loro reale spessore e le ricadute che in qualche modo hanno sul nostro essere amati e sul nostro amore per un fratello ad esempio.
- Un altro dei temi direi palesi nel romanzo è quello del VIAGGIO, che già si può trovare in un suo precedente lavoro dal titolo “Il Tibet in tre semplici passi” (Prehistorica Editore, 2020, trad. di Silvia Turato). Nel caso del nostro “divano”, il viaggio in qualche modo è doppio: geografico e dello spirito, dell’intimo.
Sì, è vero. Questo divano, che per sua natura di arredamento è statico, ospita persone “statiche” che nel sedersi chiaccherano, guardano la televisione, leggono o anche dormono, diventa dinamico, diversamente dinamico. Ci troviamo davanti a un viaggio interiore dei protagonisti (io e mio fratello) che poi si trasla sugli altri personaggi familiari. È un viaggio intimo e riflessivo, quello che ne è nato. Si sono intrecciati ricordi familiari, personali, considerazioni non solo sulle persone, ma sugli oggetti che con il tempo sembrano acquisire (e secondo me acquisiscono davvero) un potere di “memoria” assoluto. Un potere che nel nostro caso è desiderio collettivo familiare di cambiamento e/o di recupero di legami affettivi sfilacciati o addirittura spezzati.
- La sua scrittura viene definita leggera, ma non superficiale, ironica, sorprendente. Sorprendente anche nel raccontare aneddoti che fanno sorridere. Ci racconta cosa c’è dietro il capitolo intitolato “Il libro malefico”?
Hai scelto bene. Uno dei capitoli che molti credono inventato. Ma non è così. Non racconterò per filo e per segno per non rovinare il piacere della lettura. Sostanzialmente, mi recapitano un plico con il mio nome e cognome sostenendo che il plico, un libro appunto, era una mia pubblicazione. Io dico di no. Sono un distratto seriale, quello sì, ma dimenticarmi di un libro... La faccio breve: faccio delle ricerche e scopro che quel “Pierre Jourde” è un disegnatore, un grafico. E vi lascio il piacere di scoprire come prosegue la storia. Vi posso dire, però, che abbiamo fatto anche un libro a 4 mani, scritto e illustrato.
Il viaggio del divano letto
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Incontro a Pordenonelegge con Pierre Jourde, autore de “Il viaggio del divano letto”
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