Jessie Tarbox Beals è stata una pioniera. La prima donna fotoreporter della storia; praticamente si inventò una professione che prima non c’era.
Come noi oggi assistiamo alla vertiginosa ascesa dei social in ogni ambito del quotidiano, Beals, sul finire dell’Ottocento, ebbe il privilegio di vivere una rivoluzione comunicativa non da meno: la nascita della fotografia e, come conseguenza, quella del fotogiornalismo.
Il procedimento della cosiddetta rotocalcografia nacque nel 1878 in Germania grazie a un fotografo e pittore di origine ceca, Carl Klietsch, che inventò un procedimento che rendeva le fotografie stampate su carta di giornale più nitide. Nel 1904 il quotidiano berlinese Der Tag adottò la soluzione utiizzata da Klietsch. Nel 1910 in Germania si utilizzavano le prime macchine a stampa rotativa mista che consentivano di aggiungere immagini ai testi sulle pagine dei giornali. Nel mezzo di questa sequenza di innovazioni arrivò lei, Jessie Tarbox Beals, che nel 1888 aveva vinto una macchina fotografica grazie a un concorso in abbonamento con un giornale, la rivista Youth’s Companion.
La giovane Beals, nata ad Hamilton in provincia di Ontario, era destinata a un anonimo destino di maestra; ma quella macchina fotografica piuttosto rudimentale cambiò tutto, per Jessie divenne una vera e propria passione ma, quel che ignorava, è che sarebbe divenuta anche il suo lavoro. Dalle foto scattate sui banchi di scuola ai suoi piccoli allievi sino alle pagine del Boston Post, del Boston Globe, del New York Herald, del Tribune. Jessie Tarbox Beals, scatto dopo scatto, inventò una professione che le donne non avevano mai praticato prima: divenne una fotogiornalista, in un’epoca in cui ancora questo nome non era stato coniato.
Chi era Jessie Tarbox Beals
Nacque il 23 dicembre del 1870 in Canada, in un paesino in provincia di Ontario. Era la figlia più piccola di un noto produttore di macchine da cucire, John Nathaniel Tarbox. Visse un’infanzia felice e spensierata in una famiglia benestante, insieme al fratello Paul; ma tutto cambiò quando il padre iniziò a fare una serie di investimenti sbagliati mandando in rovina l’azienda. Dopodiché nulla fu più come prima: John Tarbox iniziò a bere come una spugna, tanto che la moglie, Marie Antoinette Bassett, fu costretta a cacciarlo di casa e a mantenere da sola la famiglia con il lavoro di cucito.
Intanto la piccola Jessie cresceva: era una studentessa brillante e diciassette anni aveva già ottenuto il diploma di insegnante. Iniziò quindi a insegnare in una scuola di Williamsburg nel Massachussets: il suo destino sembrava segnato, inserito in una traiettoria canonica, consueta, finché non vinse quella macchina fotografica grazie a un concorso indetto da una rivista. Avrebbe potuto scattare qualche fotografia e poi stancarsi, invece Jessie Tarbox si appassionò a quello strumento magico capace di intrappolare il reale in un flash di luce. Fotografava tutto quello che vedeva: i suoi studenti, i banchi di scuola, il giardino, i paesaggi dell’America rurale. Le piaceva tanto che decise di allestire uno studio proprio davanti a casa sua comprando una macchina fotografica professionale, una Kodak. Avrebbe coltivato per anni l’interesse per la fotografia come un hobby, abbinandolo alla sua passione per i viaggi, anche dopo il suo matrimonio con Alfred Tennyson Beals nel 1897.
Il suo primo incarico da fotografa professionista venne nel 1899 quando il Boston Post le chiese di fare un servizio fotografico sulle carceri statali del Massachussets. Jessie ebbe l’intuizione di insegnare al marito Alfred i rudimenti della fotografia, in modo che così potesse aiutarla nel ruolo di assistente. Da quel momento la coppia iniziò a viaggiare per gli Stati Uniti per realizzare servizi fotografici itineranti.
Il primo incarico ufficiale da fotoreporter
Dopo anni di nomadismo professionale i Beals - a corto di risorse economiche - decisero di stabilirsi a Buffalo, vicino a New York, dove Jessie divenne la fotografa ufficiale del “Buffalo Inquirer” e del “Buffalo Courier”. Pare che impressionò l’editore responsabile delle testate mostrandogli una foto che aveva scattato a delle paperelle che nuotavano in uno stagno, dal titolo “On to Albany”.
Erano gli anni d’oro del fotogiornalismo; ma era ritenuto un lavoro fisicamente impegnativo e anche rischioso, soprattutto per una donna. Jessie Tarbox Beals spesso si faceva aiutare dal marito per trasportare l’attrezzatura, ma si arrangiava anche da sola. Aveva una macchina fotografica a lastre di vetro alta otto pollici e una considerevole attrezzatura. Pur di scattare una buona foto per un servizio di cronaca era disposta a infrangere ogni regola: una volta si arrampicò su una finestra per fotografare l’aula del processo a Edwin L. Burdick, accusato di omicidio. Poi fu scoperta e, a malincuore, dovette scendere rinunciando agli scatti.
La sua carriera ebbe una svolta nel 1904 con l’Esposizione Universale che si sarebbe tenuta nel Missouri. Naturalmente Jessie ci andò, armata di macchina fotografica.
Il fotogiornalismo di Jessie Tarbox Beals
Durante l’Esposizione Universale di St. Louis, Beals fu la prima donna ad accreditarsi ufficialmente come fotoreporter, sebbene con un permesso tardivo, strappato con le suppliche ai funzionari che la guardavano inarcando il sopracciglio.
In quell’occasione Jessie Tarbox Beals fece l’impensato, compiendo azioni degne di una supereroina: salì su una mongolfiera con la macchina fotografica e tutta l’attrezzatura necessaria (che, lo ricordiamo, pesava cinquanta chili) in modo da scattare fotografie panoramiche dell’Esposizione dall’alto.
Le era stato detto che non poteva salire sulla mongolfiera, ma lei se ne infischiò.
Il Philadelphia Public Ledger riportò la notizia in maniera piuttosto teatrale:
“L’enorme folla rimase folgorata nel vedere una donna con una macchina fotografica in spalla, afferrare la parte superiore di un cesto e tirarsi a bordo.”
Non sarebbe stata certo l’unica impresa ad alto rischio compiuta da Beals.
Nessuno aveva scattato fotografie simili; la sua intraprendenza fu presto ripagata. Jessie Tarbox Beals divenne una fotoreporter richiestissima da giornali celebri come il New York Herald e il Tribune. Tutti volevano le sue fotografie e, soprattutto, finalmente poteva dedicarsi a ciò che più le piaceva ed eseguire le azioni più spericolate per ottenere uno scatto. Si arrampicava ovunque, saliva persino su piattaforme in bilico nel vuoto; sembrava indomabile. Fotografa in ogni condizione atmosferica e non temeva il pericolo: si recava nelle case durante un incendio per catturare le fiamme nel momento della loro massima espansione, saliva su taxi in corsa, andava nei luoghi dove infuriavano uragani tenendo la macchina fotografica ferma con delle pietre perché non volasse via. Fu una delle prime donne fotografe a utilizzare la polvere flash di cloruro di magnesio per realizzare fotografie notturne, compensando così alla mancanza di luminosità. Una notte, mentre cercava di fotografare la folla in uscita dal Garrick Theatre, fece esplodere la macchina fotografica, causando una detonazione che scatenò il panico, perché aveva abusato del cloruro di magnesio. Causò danni considerevoli, rompendo i vetri delle finestre delle case circostanti; ma rimase illesa, e di certo non smise di fotografare.
Jessie aveva precisi ambiti di applicazione del suo fotogiornalismo, non si limitava a fotografare tutto: come tutti bravi fotografi aveva dei soggetti di elezione che spesso si affiancavano a temi politici e civili. Numerose sue fotografie erano dedicate ai lavori femminili e alla lotta delle donne per il suffragio universale; ma un altro dei temi che le stavano a cuore erano le condizioni di vita delle famiglie di immigrati. Alcuni dei suoi scatti più celebri ritraggono bambini al lavoro o in condizioni di povertà mentre la guardano con grandi occhi assorti. Uno dei suoi più noti reportage sui migranti fu pubblicato dal New York Times nel 1933.
Sua è anche la celebre fotografia del presidente Theodore Roosevelt all’Esposizione Universale di St. Louise: molto scenografica, ritrae il presidente Roosvelt elevato sulla folla, con un cappello a cilindro calcato in testa, mentre fissa di lato con espressione assorta, di fronte a lui una bandiera a stelle e strisce che sembra fare da cornice allo scatto.
Jessie Tarbox Beals fotografò di tutto, non solo persone ma anche paesaggi, animali e oggetti per le pubblicità; a renderla celebre era soprattutto il suo fiuto per la cronaca. Dove c’era una notizia da documentare, lei e la sua ingombrante macchina fotografica erano presenti. Diceva di avere a good news instinct, un buon istinto per le notizie. Quando doveva spiegare il suo segreto del suo lavoro ad altri, semplicemente rispondeva categorica: “darsi da fare”.
Sarebbe bello poter concludere la sua storia qui, conservando questa immagine gloriosa e vincente di una donna pienamente realizzata; ma, purtroppo, la fortuna di Jessie non durò a lungo. Come tutte le professioni freelance, soggette ai mutamenti e alle mode, anche la carriera luminosa di Jessie Tarbox Beals conobbe la sua battuta d’arresto.
Prima della sua carriera, tuttavia, finì il suo matrimonio: dopo la nascita di una bambina, Nanette, che si vociferava fosse figlia di un adulterio, Jessie divorziò dal marito Alfred nel 1917.
L’eredità di Jessie Tarbox Beals
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A lungo visse in California, sola con la piccola Nanette, dove poté fotografare il mondo sfavillante di Hollywood. Poi, terminato il momento delle star, decise di fare ritorno a New York.
Aveva un suo studio fotografico nel Greenwich Village, ma dopo i ruggenti anni Venti la concorrenza si fece più spietata e il lavoro cominciò a scemare. Jessie Tarbox Beals cercava di essere sempre sulla cresta dell’onda dotandosi di nuove attrezzature più moderne e macchine fotografiche a pellicola, ma dopo la grande Depressione trovare lavoro come fotografa e reporter divenne difficile. Jessie si adattò anche a realizzare cartoline e fotoritratti, ma presto cadde nell’indigenza.
Morì a New York, all’età di settantuno anni, il 30 maggio 1942. La sua memoria è stata conservata grazie alla figlia Nanette che custodì i suoi reportage e le sue fotografie.
Alcune stampe oggi si trovano presso la New York Historical Society e l’American Museum of Natural History. La sua eredità è stata scoperta soltanto in anni recenti grazie all’impegno del fotografo contemporaneo Alexander Alland che tentò di organizzare i suoi scatti e, nel 1978, le dedicò una biografia dal titolo esplicativo Jessie Tarbox Beals: First Woman News Photographer. Così, del resto, era giusto che fosse ricordata. Colei che aveva inventato una professione che prima non c’era, una pioniera.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Jessie Tarbox Beals: la storia della prima donna fotoreporter
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