Se sentite pronunciare kafkiano e vi viene subito in mente Franz Kafka, pensate bene: ma come può una persona essere kafkiana (somiglia a Kafka, per caso?) e che dire, invece, di una situazione kafkiana?
A volte associamo questo aggettivo a contesti e termini sbagliati credendo così di dire una parola importante, letteraria, altisonante; ma per evitare di cadere nella trappola di definire “kafkiano” ciò che non lo è per niente, sarebbe meglio fare un attimo chiarezza.
Kafkiano è una parola astratta, intellettuale, per certi versi “vertiginosa”, che deve essere dosata con cura prima di essere pronunciata. Ricordiamo che questo neologismo deriva dal nome di uno degli scrittori più complessi della letteratura novecentesca al quale è stato dedicato il numero maggiore di saggi critici e interpretativi. Addentrarci nei meandri del termine kafkiano e dei suoi contesti d’uso equivale a entrare in un labirinto o, forse, in un Castello.
Dunque sì, ciò che viene definito Kafkiano ha a che fare con Franz Kafka; ma non direttamente con la persona dello scrittore o con il suo vissuto biografico, quanto con il suo stile di scrittura. L’aggettivo “kafkiano” fa riferimento a quella peculiare atmosfera labirintica, paradossale, a tratti assurda, creata proprio nei romanzi di Kafka. È diventato quindi un altro modo - senza dubbio più letterario - per definire l’assurdo in riferimento alle trame immaginifiche del grande romanziere praghese di lingua tedesca.
Scopriamo ora più nel dettaglio significato e contesti d’uso del termine Kafkiano.
Kafkiano: cosa significa?
Il termine kafkiano in realtà sottintende una pluralità di significati: inquieto, angoscioso, assurdo, desolante, labirintico, paradossale. Tende a evocare, più che altro, una determinata atmosfera allucinata che è propria delle opere dello scrittore praghese Franz Kafka (1883-1924).
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Ricordiamo a tal proposito i romanzi più celebri di Kafka: La metamorfosi, il suo capolavoro, che narra la storia di un giovane, Gregor Samsa, che una mattina si sveglia scoprendo di essersi trasformato in un enorme scarafaggio. Si tratta di una storia dai tratti surreali, ma profondamente significativa. Il protagonista si accorge con dolore di essere divenuto un essere ripugnante che provoca ribrezzo nella sua stessa famiglia e nell’intera società. Attraverso una narrazione claustrofobica e inquietante - kafkiana, per l’appunto - l’autore ci pone di fronte a grandi temi contemporanei quali l’incomunicabilità umana, il sentimento di alienazione, la superficialità delle dinamiche sociali.
La metamorfosi
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Un’altra narrazione kafkiana è Il processo (1926) che ci narra l’allucinante storia di Josef K. che un giorno viene arrestato senza motivo. Che è successo? Qualcuno lo ha calunniato? Questo rispettabile funzionario di banca si trova a doversi difendere da un’accusa ignota, che non conosce. Kafka ci trascina nel labirinto dell’incubo burocratico - ma non solo - vissuto dal suo protagonista.
Il processo
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Infine proponiamo Il castello, l’ultimo romanzo di Kafka rimasto incompiuto. Si tratta sicuramente dell’opera più alienante, astratta e surreale dello scrittore poiché la trama appare rimaneggiata, astratta e soprattutto non conclusa. Tutto ruota attorno all’agrimensore K., protagonista delle vicende, che raggiunge un villaggio in cui dovrà lavorare. Su un’altura, distante e quasi illusorio, sorge il Castello, sede dell’amministrazione e del governo del villaggio, emblema del potere: ma appare quasi come un luogo astratto, illusorio, impossibile da raggiungere.Nulla è come sembra e la realtà sembra un costantemente inafferrabile.
Il castello (Einaudi tascabili. Classici Vol. 984)
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In quest’ultimo romanzo ritroviamo condensati tutti i temi chiave dell’opera di Franz Kafka: la solitudine dell’uomo, l’angoscia esistenziale, l’incapacità di trovare nella sequenza dei gesti quotidiani un senso plausibile, l’assoluto predominio nella vita di una finalità insensata.
Tutto questo è kafkiano nel senso più puro del termine: quindi prima di usare questo termine pensateci bene, siete proprio sicuri di vivere in un mondo del genere?
Kafkiano: quando si usa?
Spesso l’aggettivo kafkiano si usa in riferimento a una situazione paradossale, allucinante, per certi versi angosciante. Può essere utilizzato anche come sinonimo di assurdo o di perturbante, in riferimento a persone, vicende oppure a un certo tipo di “burocrazia” che ricorda, di fatto, l’atmosfera alienante de Il castello.
Scopriamo alcuni esempi d’uso del termine:
- Il giornalista racconta la vicenda kafkiana di un onesto imprenditore perseguitato dalla mafia e dal fisco.
- La povera donna si trovò all’improvviso sprovvista del permesso di soggiorno e immersa in una situazione kafkiana.
- I colori di quelle scene kafkiane ricordavano il cromatismo di un quadro di Chagall.
- L’opera di Murakami non tradisce la matrice kafkiana della sua scrittura.
- Da questa interrogazione kafkiana emerge l’evidenza di una totale assenza di verità.
- La vicenda kafkiana della stipulazione di due contratti per lo stesso appartamento riportata da un recente articolo di cronaca.
- Un’aura kafkiana avvolgeva gli abitanti di quella casa che sembravano vivere in un pessimismo costante.
- L’Italia è il paese della lentezza burocratica, della perdita di tempo istituzionalizzata, delle riunioni inutili. Che burocrazia kafkiana!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Kafkiano: origine e significato del termine derivato dai romanzi di Kafka
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