L’amore non si affida alla lingua umana: ce lo dice Gabriela Mistral nella sua splendida lirica L’amore che tace. La poetessa cilena, per la capacità unica di tradurre il linguaggio segreto delle emozioni, fu insignita del Premio Nobel per la Letteratura nel 1945, a guerra conclusa, con la seguente motivazione:
La sua opera lirica, ispirata da potenti emozioni, ha reso il suo nome un simbolo delle aspirazioni idealiste di tutto il mondo latino americano.
Era la prima donna latinoamericana a essere insignita di tale onorificenza. Non di solo idealismo si nutriva la sua poetica che parlava della quotidianità spicciola, dei temi eterni dell’amore, della morte, uniti alle plurime sfumature definite dalla maternità, dalla religione, dalla natura. I suoi versi erano un riflesso dell’animo, ammantati di una sorta di misticismo che conduceva a un’elevazione spirituale: molti critici osservarono che la lettura delle sue poesie aveva un’influenza morale.
La pubblicazione della raccolta Desolazione, nel 1922, elevò il nome di Gabriela Mistral ai vertici della letteratura mondiale.
Lei in realtà si chiamava Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga, nata nella povera cittadina di Vicuña, nel nord del Cile, nel 1889. Le case a Vicuña erano costruite con un materiale misero, fango e paglia lasciati essiccare al sole: Lucila veniva da lì, dalle estreme propaggini delle Ande. “Mistral” era il vento che proveniva dalle cime, la dicitura francese di Maestrale, il vento che spira da nord-ovest ed è maestro della navigazione nei mari.
Il suo nome d’arte “Gabriela Mistral” rappresentava l’unione di due poeti da lei molto amati, Gabriele d’Annunzio e il poeta provenzale Federico Mistral, insignito del Nobel nel 1904.
Lucila, sotto lo pseudonimo artistico di Gabriela, aveva esordito giovanissima, nonostante le umili origini, pubblicando poesie a soli quindici anni su giornali e riviste locali. La sua scrittura avrebbe forgiato la nuova letteratura latinoamericana, divenendo esempio anche per altri grandi autori quali Octavio Paz e Pablo Neruda. Lei, che non era laureata, avrebbe fatto scuola ad altri poeti: avrebbe ricevuto una laurea honoris causa dopo l’assegnazione del Nobel, quando fu accolta in Cile con tutti gli onori. Tramite i suoi versi riusciva a dire l’inesprimibile, toccando così il vertice puro dell’emozione.
Lo dimostra la poesia L’amore che tace, di cui vediamo testo e analisi.
“L’amore che tace”: la poesia di Gabriela Mistral
Se ti odiassi, il mio odio ti darei
con le parole, rotondo e sicuro;
ma ti amo e il mio amore non si affida
a questa lingua umana, così oscura!Tu lo vorresti mutato in un grido,
e vien così dal fondo che ha disfatto
la sua ardente fiumana, sfinito
prima ancora della gola e del petto.Io sono come uno stagno ricolmo
ed a te sembro una sorgente inerte,
per questo mio silenzio tormentoso
più atroce che entrare nella morte.
“L’amore che tace” di Gabriela Mistral: analisi e commento
La lirica di Gabriela Mistral esprime appieno il potere fallace delle parole. Non tutto può essere detto. Ci sono verità del cuore che il linguaggio non comunica; spesso le parole falliscono nell’esprimere i sentimenti, si rivelano mancanti, mendaci, quasi menzognere. Per questo spesso ci si affida agli sguardi, che sono al contempo rivelatori e traditori.
L’amore che tace si esprime, non a caso, tutto nella dicotomia tra “parola” e “silenzio”: la forza del sentimento non è racchiusa nel grido, ma nel “silenzio tormentoso” che è ciò che davvero avvilisce perché cela un tumulto di sensazioni ribollenti, inesprimibili, sommerse. L’odio è più dicibile dell’amore: ha sfumature di oltraggio, espressioni roventi e violente, offende e non rinnega, mentre l’amore ha un proprio lessico emotivo che si accorda alle note del cuore, si intona al battito e non alla voce.
Interessante, a questo proposito, la metafora con la quale la poetessa si identifica nell’ultima strofa: uno “stagno ricolmo”, in cui la condizione per l’appunto “stagnante”, acquitrinosa e putrida dell’acqua, fangosa e limacciosa, impedisce di vedere compiutamente il fondo.
L’amore non viene paragonato a nulla di trasparente, limpido, pulito: è invece oscuro, sporco, offuscato come un’acqua melmosa che diventa barriera, impedendo di vedere oltre. L’incomunicabilità, tuttavia, è “atroce” come dichiara la poetessa nel finale in cui rivendica la necessità di esprimere i propri sentimenti.
La poesia, in questo senso, diventa la chiave per la liberazione, il grido taciuto che si tramuta in verbo: la parola scritta sembra pronta ad accogliere ciò cui la realtà non dà spazio né respiro. La poesia diventa veicolo dell’incomunicabilità, voce del silenzio.
Chi furono gli amori di Gabriela Mistral? La biografia della poetessa è di certo inscindibile dalla sua poetica, anche se non è necessaria a spiegarla. Le liriche di Mistral sono un indizio della sua vita, lasciano trasparire la sua passione tormentosa, irrequieta. Il suo primo amore fu Romelio Ureta, un impiegato delle ferrovie, che conobbe quando lavorava al suo primo impiego da insegnante. Romelio morì suicida tempo dopo il loro incontro. La tragedia toccò nel profondo Gabriela, che non si sposerà mai.
Visse i suoi ultimi anni in compagnia della sua amica scrittrice Doris Dana; sulla loro relazione ambigua si è vociferato ed è stato detto molto, insistendo sulla presunta omosessualità della poetessa, che però lei - come la stessa Doris - ha sempre negato.
Tutto ciò che era necessario dire su di sé, Gabriela Mistral l’aveva espresso tramite la sua poesia, che forse fu il suo unico, più estremo e tormentoso amore.
Vengo da una famiglia di contadini e sono una di loro. I miei grandi amori sono la fede, la terra, la poesia…
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