Il primo contatto di Pasolini con il cosiddetto Terzo Mondo avvenne nel 1961 in Kenya durante un viaggio compiuto con Alberto Moravia e con Elsa Morante.
Seguirono Ghana, Nigeria e Guinea nel 1962. Sulla Guinea subito dopo il rientro scriverà nel febbraio dello stesso anno, pubblicandolo, il lungo componimento in terzine, La Guinea, che ora si legge nella raccolta Poesia in forma di rosa.
Scopriamo testo, analisi e commento del poemetto.
“La Guinea” di Pier Paolo Pasolini: analisi e commento
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Diciamo anzitutto che la sua Africa, dove ebbe modo di visitare tanti altri Paesi sahariani, essendo estranea al corso della storia, fu vista anche come un luogo edenico alternativo al selvaggio e galoppante progresso tecnologico che da noi stava comportando la dissoluzione della civiltà contadina con la conseguente stanchezza ideologica.
Ma nei versi della Guinea il continente africano viene smitizzato da ogni idealità e vi prevale una fisionomia concreta.
Ecco l’ammaliate incipit in cui viene attribuito ad Attilio Bertolucci il ruolo di interlocutore:
Alle volte è dentro di noi qualcosa
(che tu sai bene, perché è la poesia)
qualcosa di buio in cui si fa luminosa la vita:
un pianto interno, una nostalgia gonfia di asciutte, pure lacrime [...]
Dopo un excursus ad ampio respiro sul paesaggio di Casarola (sopra l’Appennino di Parma), che gli richiama alcuni pittori (“riprendono il motivo d’una pittura rustica / ma raffinata – il Garutti? il Collezza?”), Pasolini instaura frequenti parallelismi tra la povertà dei luoghi italiani e quelli africani.
La Guinea… polvere pugliese o poltiglia
padana, riconoscibile a una fantasia
così attaccata alla terra, alla famiglia,
com’è la tua, e com’è anche la mia:
li ho visti, nel Kenia, quei colori
senza mezza tinta, senza ironia […]
Bella, tra l’altro, l’immagine delle donne africane che “giravano covando millenaria gioia”. Ma ben presto il contrasto con la corsa in Occidente del neocapitalismo gli fa avvertire il disincanto:
Nulla gli può resistere: non vedi come suona debole / la difesa degli amici laici / o comunisti contro la più vile cronaca?
Disastrose le conseguenze. L’intelligenza non avrà più valore e nemmeno l’orrore degli orrori – quello dei Lager – susciterà il disprezzo dovuto.
Sembra proprio una lettura del presente! Siamo nella cultura dell’indifferenza alla quale il poeta reagisce in modo sferzante, riferendosi a “un popolo dissociato da secoli”, mentre tra lo squallore imperante si sente morire: la stessa sua voce non ha più senso in una realtà arrendevole e priva motivazioni.
L’atto di accusa è angosciante, è l’urlo senza speranza alcuna:
L’intelligenza non avrà mai peso, mai,
nel giudizio di questa pubblica opinione.
Neppure sul sangue dei lager, tu otterrai
da una dei milioni d’anime della nostra nazione,
un giudizio netto, interamente indignato:
irreale è ogni idea, irreale ogni passione,
di questo popolo ormai dissociato
da secoli, la cui soave saggezza
gli serve a vivere, non l’ha mai liberato.
Mostrare la mia faccia, la mia magrezza –
alzare la mia sola, puerile voce –
non ha più senso: la viltà avvezza
a vedere morire nel modo più atroce
gli altri, con la più strana indifferenza.
Io muoio, ed anche questo mi nuoce.
Il dominio della potenza industriale è inarrestabile e nessuno si oppone ormai allo sfruttamento illimitato delle risorse e della forza-lavoro: “distrugge ciò che deve distruggere”.
Profondo è il senso di stanchezza e di totale sconfitta:
Così mi risveglio, il mattino, in Italia, / con questa idea dei millenni stanchi / bollata nel cervello […] l’Europa è così piccola, non poggia / che sulla ragione dell’uomo, e conduce / una vita fatta per sé, per l’abitudine, / per le sue classicità sparute.
Con la fine dell’identità nazionale e della funzione sociale degli intellettuali, senza esitazione alcuna Pasolini confessa il suo scetticismo ad Attilio Bertolucci: “nulla da fare, mio incerto fratello…”.
A prevalere è l’incertezza dei valori e non viene intravista alcuna via d’uscita. Eppure la “Negritudine”, importante spessore della letteratura e cultura africanista, può farsi luce con la sua lotta di liberazione, auspicata dal poeta:
Non si sfugge, lo so. La Negritudine
è in questi prati bianchi, tra i covoni
dei mezzadri, nella solitudine
delle piazzette, nel patrimonio
dei grandi stili – della nostra storia.
La Negritudine, dico, che sarà ragione.
Ma qui a Casarola splende un sole
che morendo ritira la sua luce,
certa allusione ad un finito amore.
È il cupo e squallido presente della Resistenza tradita a spostare lo sguardo del poeta verso la concezione “terzomondista”, comprensiva del sottoproletariato “consumatore” rispetto al capitalismo produttore.
Negli anni della “decolonizzazione l’obiettivo è la “giustizia sociale”: perciò, in tale ottica il componimento va integrato con la lettura della “Resistenza negra”, nonché con la visione del documentario, apparso nel 1968, Appunti per un poema del terzo mondo, in due episodi: il primo Appunti per un film sull’India; il secondo sull’Africa, nato da un nuovo viaggio in Uganda e in Tanzania, dove il poeta era andato per acquisire informazioni dirette in merito al progetto di un film sull’Orestiade di Eschilo, ambientato in Africa proprio per la contemporanea “scoperta della democrazia”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La Guinea”: l’Africa in una poesia di Pier Paolo Pasolini
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