Marco Berardi, gastronomo e oste di Tramonti e Muffati, intervista Francesco Duscio, autore del libro “La Romanesca. Cucina Popolare & Tradizione Romana” (Fuoco Edizioni 2014, € 12,00).
- Qual è il tuo lettore ideale?
Un lettore curioso, che ama la cultura del cucinare e scoprire sempre qualcosa di nuovo. I sapori si apprezzano meglio se si conosce da dove provengono e perché esistono.
- Dato che ogni romano, ai fornelli, vanta una propria verità in fatto di ricette, come sei giunto a fissare una cucina romanesca per i posteri?
Ricercando la tradizione. Ci sono molte certezze. Niente cipolla nella Matriciana. Menta romana e non mentuccia nella Trippa. In mancanza scelgo il buon senso. Carbonara: scarto le versioni carbonai e patrioti carbonari. Non c’è ricetta scritta prima del 1945, gli osti romani creano il piatto utilizzando uova disidratate e bacon forniti dai soldati americani.
- Moltissime ricette che riporti nascono dopo l’unità d’Italia, quando l’urbanizzazione sostituisce un’agricoltura millenaria con quartieri senz’anima. La tua cucina romanesca è anche, o soprattutto, quella delle periferie urbane?
Non solo. Nasce dalla Cucina Ebraica del Ghetto, tra i più antichi al mondo, e da quella legata al Mattatoio inaugurato nel 1891. Il Ghetto è il cuore di Roma. Testaccio è Rione periferico urbanizzato con abitazioni popolari. Gli operai del mattatoio, pagati in natura con le “frattaglie”, ne portano parte a casa, vendendo il resto alle osterie. Le donne di Testaccio diventano esperte nella cucina del “quinto quarto”, trasformando ingredienti poveri in ricette note nel mondo.
- La cucina romanesca sorse anche da contaminazioni sociali e culturali. Secondo te, avremo mai una nuova cucina romana influenzata dalle più recenti immigrazioni da paesi lontani?
Forse, ma ci vorrà parecchio tempo. La “pizza alla napoletana” morbida e alta, a Roma diventa croccante e bassa. La contaminazione ci può stare al contrario, con la versione romanesca di una cucina lontana.
- Che cosa pensi degli chef di grido, quando rivisitano un piatto del tuo libro?
Non essendo nati a Roma non possono capire quanto sia importante il rispetto della tradizione per noi. Col cannone del Gianicolo “ce poi rimette l’orologio”. L’aglio lo metti nella Bagna Cauda, non nella Matriciana.
- Come hai condotto l’indagine sul campo? Raccontami l’episodio più singolare di questa tua ricerca.
Entrando nelle cucine. In un paese laziale la cuoca della trattoria mi spiega il coniglio alla cacciatora. Una telefonata: la figlia incinta sta male. Toglie il grembiule e me lo da: “Penzace te, si s’attacca allunga col vino bianco”. E se ne va. Per fortuna era un falso allarme, è tornata poco dopo.
- I libri di cucina sono sempre visti con una certa sufficienza dalla critica editoriale; ma quanto lavoro occorre per scrivere un "libretto" come questo?
Ci ho messo due anni. Devi avere certezza delle fonti e approfondire. La prima notizia va confrontata sempre con le altre per arrivare alla verità.
- Se tornassi alle bozze del libro, correggeresti qualcosa?
Un errore sul “Timballo di Anagni”. Ne era ghiotto Bonifacio VIII, morto nel 1303. Il pomodoro ancora non c’era, la sua ricetta ne era priva.
- Dedichi molte pagine alla cucina del Lazio, eppure manca quella dei Castelli Romani, che ha sempre vantato una sua certa autonomia. Secondo te, può essere ormai assimilata a quella "dentro le mura"?
E’ vero. Scrivo dei vini dei Castelli Romani, che adoro, ma non delle ricette. E’ che non ce la fai a considerare i Castelli come parte separata da Roma. Come fai se una delle bandiere di Campo Testaccio fu Amadeo Amadei, “er fornaretto de Frascati”? Sì, i Castelli so’ “dentro le mura"!
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La Romanesca. Cucina Popolare & Tradizione Romana: intervista allo scrittore Francesco Duscio
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Buon pomeriggio.
Solo ora ho letto l’intervista. Mi è piaciuta. Sono in Sicilia in vacanza con la famiglia. Ho dimenticato il libro a Roma, lo porto sempre con me. Ora volevo il conforto di una ricetta romana, (la gricia) che dovrò fare e volevo vedere se quella del libro la trovo su internet. Comunque mi ricordo, era solo se mi dimenticavo qualche Suo consiglio.
Acquistai il libro presso la libreria Edizioni Paoline di Albano due anni fa. Lo presi subito perché leggendo le ricette mi sembravano le stesse che faceva mia madre. Una in particolare mi colpì, quella della trippa finta fatta con le uova. Mia madre la faceva spesso. La preparai per mia moglie senza dire cos’era, rimase colpita.
Parlo spesso del Suo libro e lo consiglio a tutti.
Grazie per averlo scritto.
Colgo l’occasione per inviarLe i più cordiali Saluti.
Giuseppe Coletta