La gabbia di vetro
- Autore: Colin Wilson
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Carbonio editore
- Anno di pubblicazione: 2018
Per diversi anni ho letto libri di fantascienza a ritmo sostenuto. Lo stesso non mi è successo con i gialli, qualcuno, di tanto in tanto e solo se inspessito da plausibili tratteggi psicologici. Per il poco che importa: questi sono i miei gusti e ve li ho detti, anche per cercare di spiegare perché la lettura di “La gabbia di vetro” (per la prima volta tradotto in italiano da Nicola Manuppelli per Carbonio) ha assecondato in pieno le mie aspettative.
Se proprio vogliamo rifarci al genere, si tratta di un romanzo trascendente, assomiglia a tutti e a nessuno dei thriller che mi è sin qui capitato di occhieggiare. Del serial killer de "La gabbia di vetro", per esempio, si sa che opera a Londra e che smembra le sue vittime, ma se siete in cerca di dettagli splatter è meglio che cambiate romanzo e vi rivolgiate altrove (contenti voi…). Si sa inoltre che sui muri che corrono lungo il Tamigi (scenografia dei macabri rinvenimenti), l’assassino è solito scrivere versi che si rifanno alla mistica del poeta Willian Blake. Un fil-rouge alquanto elevato per un comune macellatore di uomini e donne (ebbene sì, il killer fa fuori - evviva! evviva! - anche gli uomini).
Convinto che un animo capace di appassionarsi a Blake non sia del tutto irredimibile, lo studioso-misantropo Damon Reade abbandona pro tempore la quiete di Lake District dove si è autoesiliato e si mette sulle tracce del pazzoide: il bello è che lo fa per sfida, per puro atto di curiosità intellettuale. Damon Reade appartiene infatti alla specie anti-eroica degli a-morali: più teoria che prassi, ma l’evolversi della storia lo costringerà a coniugare entrambe in buona dose.
“La gabbia di vetro” risale al 1966 e alla fantasia poliedrica di Colin Wilson (da qui il richiamo alla fantascienza dell’inizio, personalmente conoscevo Wilson per “I vampiri dello spazio” e “I parassiti della mente”), punto di confluenza di cronaca vera - la vicenda del “macellaio di Cleveland”-, auree vittoriane, speculazioni filosofiche, omicidi e miti murder mistery (Jack Lo Squartatore, "Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde"), riveduti e corretti in chiave sghemba, autonoma, atipica. Come atipici appaiono, senza dubbio, i due protagonisti principali (Reade e lo smembratore): caratteri antitetici tra loro, accomunabili da un sentire ontologico divergente rispetto a quello comune.
Se tenete conto che l’orrido della trama è continuamente misurato con il vitalismo pulsante dello swinging London anni Sessanta (donne disponibili, locali notturni, ritrovi gay e altri malfamati, feste ad alto tasso alcolico) e dosi consistenti di ironia, l’idea d’insieme è quella di un romanzo dai connotati dialettici e dai possibili sotto-testo filosofici. Un romanzo dal taglio e il passo inconsueti, che sgorga ritmo e inventiva quasi a ogni pagina. Persino superfluo aggiungere che è da non perdere.
La gabbia di vetro
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