Oggi nel mondo si celebra la Giornata internazionale contro i test nucleari, pare particolarmente indicata alla ricorrenza la poesia politica di Bertolt Brecht, La guerra che verrà, che professa sin dall’incipit una grande verità, storica e umana: “la guerra che verrà non è la prima”. E non sarà nemmeno l’ultima, aggiungeremo noi, che oggi più che mai siamo portati a riflettere sull’illusorio concetto di una pace duratura, mentre il mondo intero al grido ipocrita di “pace! pace!” sembra lanciato in una sfrenata e inarrestabile corsa agli armamenti.
Nel film di Christopher Nolan, Oppenheimer, ora nelle sale italiane, viene portata alla ribalta la medesima riflessione: la bomba atomica, dunque il nucleare, sembra rappresentare il trionfo di questa ingenuità puramente umana. Il fisico Oppenheimer sostiene che dopo aver utilizzato l’arma letale da lui stesso ideata “ogni guerra diventerà impensabile”; è convinto che il mondo, dopo aver scoperto il segreto di Los Alamos, vorrà la pace. L’uso dell’atomica, nell’intento dello scienziato, avrebbe salvato l’America e portato nel mondo intero una pace duratura. Oggi, purtroppo, sappiamo che le cose non sono andate così e che l’umanità è molto più stupida, ottusa e incline all’autodistruzione di quanto il visionario Oppenheimer allora potesse immaginare. Tornano a echeggiare, come un monito, le parole di Bertolt Brecht ne La guerra che verrà, scritte all’alba del secondo conflitto mondiale.
Le poesie contro la guerra di Brecht, composte durante l’esilio in Danimarca negli anni Trenta e Quaranta e pubblicate nei Poemi di Svendborg (1939), hanno ancora molto da dirci. Narrando il suo tempo il drammaturgo tedesco sembra narrare anche il nostro: ci presenta una società in balia dell’incertezza che si trova ad affrontare una situazione di crisi, economica e soprattutto politica, causata dalle stesse ragioni sociali. Brecht, attraverso i suoi versi epigrafici, insegna all’umanità a guardare nel futuro facendo sempre tesoro del passato e così fornisce alle persone gli strumenti per affrontare la realtà, spesso cupa, che si presenta loro innanzi.
La guerra che verrà è particolarmente emblematica di questo pensiero. Brecht rifiuta ogni artificio lirico - la sua non è la poesia romantica di Rainer Maria Rilke - e adotta il ritmo e il sentimento del tedesco parlato, mescolando modi di dire comuni, gergo burocratico e termini letterari. Attraverso la poesia viene riflessa così l’acutezza di un’idea. Dev’essere per questo motivo che le poesie contro la guerra di Brecht sembrano attraversare il tempo e parlare sempre al presente.
In La guerra che verrà con le sue dichiarazioni perentorie Bertolt Brecht mette a nudo la contraddizione insita nell’umano, toccando il cuore pulsante di una verità ineludibile: “la guerra che verrà non è la prima”.
“La guerra che verrà” di Bertolt Brecht: testo
La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
Faceva la fame. Fra i vincitori
Faceva la fame la povera gente egualmente.
“La guerra che verrà” di Bertolt Brecht: analisi e commento
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Con il suo consueto stile lapidario, Brecht rivolge un monito al popolo tedesco alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Fa riflettere che questa poesia così audace (e profetica) fosse stata scritta proprio sulla soglia di uno degli avvenimenti più tragici e catastrofici della storia recente. La guerra che verrà è una profezia e, al contempo, la sua ipotetica negazione. Un monito che sembra inutilmente avvertire di un pericolo ormai inevitabile. Per questo il linguaggio di Brecht è semplice, elementare; le sue sono parole comprensibili da chiunque, tanto che diventano satira, canzonatura di un governo e di una politica corrotta sino all’osso, incapace di curarsi dei bisogni e delle necessità della povera gente. Nelle guerre chi ci rimette è sempre la povera gente; Brecht lo aveva già capito nel 1939, senza bisogno di altre inutili stragi. Oggi, nel 2023, siamo ancora qui a parlare di bombardamenti sui civili e di vittime.
La critica di Brecht, in La guerra che verrà, era rivolta alle élite, Die Oberen (le alte sfere), che vivono in modo decadente mentre la stragrande maggioranza della gente muore di fame. La guerra che i politici stanno pianificando, osserva l’autore, è il paradosso più estremo perché ucciderà vincitori e vinti, affamerà e ridurrà allo stremo entrambi. In una guerra non ci sono vincitori; così ci ammoniva Bertolt Brecht alle soglie della Seconda guerra mondiale. Eppure non l’avrebbero capito i tedeschi; non l’avrebbero capito nemmeno gli americani, pronti a creare un’arma di distruzione di massa in nome della pace. Quanto male è stato fatto in nome di una presunta “pace”. Gli uomini dicono di volere la pace, la scrivono sui muri e la sventolano come slogan sulle bandiere, eppure continuano a combattere e a far scorrere sangue a fiumi.
A questo proposito risulta interessante che l’enfasi, nella poesia di Brecht, sia riposta sul futuro: “che verrà”, scrive. L’attualità del suo pensiero risiede anche in questo acuto stratagemma grammaticale: lo sguardo rivolto sempre al futuro trasforma il presente stesso in un avvenimento storico, porta l’umanità a storicizzarsi.
La guerra che verrà non è semplicemente un monito contro la guerra, ma è una riflessione sulla natura dell’uomo.
Come ha notato un amico di Bertolt Brecht, il filosofo Walter Benjamin, le parole di questa poesia sembrano essere state scritte con il gesso da un partigiano che - nel momento in cui noi le leggiamo - è già caduto. Sono però scritte al futuro, dunque la prova che la vita alla fine vince. Il drammaturgo tedesco guarda nell’occhio profondo dell’abisso, ma vede anche oltre: come tutti i grandi visionari Brecht vede anche un “tempo lontano” in cui i tempi bui finiranno. Scriveva una raccolta dedicata alla guerra ormai imminente, ma vi inseriva anche poesie rivolte ai bambini, che un giorno sarebbe state lette anche da coloro che sarebbero nati dopo quella guerra.
La bellezza de La guerra che verrà di Brecht è data dalla sua capacità di professare una verità ineludibile, una verità storica che va dunque al di là del bene e del male. Con il suo ritmo secco e sentenzioso, enfatico come un versetto biblico scritto da un profeta, ancora oggi ci incoraggia ad agire.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La guerra che verrà” di Bertolt Brecht: una poesia-riflessione sulla natura dell’uomo
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