La morte del tempo
- Autore: Umberto Curi
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2021
Siamo esseri nel tempo, e in quanto temporanei siamo, come dire, soggetti a logoramento. L’umanità si misura da sempre con un parricidio: il tempo fagocita la sua progenie così da perpetuare se stesso. La mitologia greca la sapeva già lunga: Chronos (il Tempo) è infatti una divinità paurosa e tremenda, figurata da un colosso che divora i suoi figli. Lo fa per rancore verso la giovinezza, lo fa per brama di potere, per preservare il potere financo dalle insidie della propria discendenza. Nel cupissimo Saturno che divora suo figlio c’è più matericità che divinità: il vegliardo che emerge dallo sfondo nero di Francisco Goya è uomo più che dio, ed è pazzo. Lo tradiscono gli occhi fuori dalle orbite, l’urlo con il quale spalanca la bocca per addentare le membra della giovane, le mani con le quali ne artiglia il corpo senza testa con violenza spropositata. Il vecchio è reso folle dallo sgomento di scoprirsi altro da sé (cioè pazzo e/o vecchio), dal terrore della transitorietà e su tutto dalla paura della morte. Il Saturno di Goya giganteggia avvolto da un buio terrificante, in cui il rosso del sangue risalta per contrappasso.
Il dipinto fa parte delle quattordici pinturas negras realizzate da Francisco Goya intorno al 1820, traslato autoriale di un’incoerenza ontologica: il tempo che per perdurare uccide le sue creature, officia altresì la sua stessa fine.
Si intitola, non a caso, La morte del tempo il saggio di Umberto Curi ispirato al Saturno goyano (il Mulino, 2021): un caposaldo dell’arte moderna raccontato e speculato nelle sue carature intrinseche ed estrinseche. Il capolavoro è oscuro, non solo cromaticamente, e Umberto Curi gli si approssima muovendo da tempo e luogo della sua concezione (Goya dipinse il Saturno per le pareti della propria casa, costruita sulle rive del Manzanarre vicino Madrid), dalla mitologia che ne detta il movente, e dalla filosofia giocoforza correlata al tema di Tempo e Morte.
Quindi si arriva all’acuta traduzione dell’opera d’arte, riepilogata in questo modo dall’autore, alle pagine 93, 94 e 95 del volume:
“L’allontanamento di Goya dai modelli tradizionali di raffigurazione di Saturno si può cogliere non soltanto nella totale mancanza di attributi convenzionali del dio, ma anche nella metamorfosi che ne stravolge l’immagine convenzionale. L’artista spagnolo converte Saturno in un vecchio che divora una giovane, in una frenesia orgiastica che deforma il volto e tutto il suo corpo. Siamo dunque in presenza di una figura spogliata di ogni riferimento meramente metaforico, non più destinata a rinviare ad altro, non investita di altro significato che non sua quello che il dipinto mostra in tutta la sua feroce evidenza: un uomo vecchio che divora il corpo di una giovane donna. Nel Saturno, Goya ha aperto un varco verso l’unico autentico ‘sfondo’ – il nulla che la grande arte occidentale, nelle sue espressioni più lucide, aveva presentato al di sotto della in scena delle figure”.
Corredato da suggestive foto a colori, il saggio esce nella collana “Icone” diretta da Massimo Cacciari.
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