Giuseppe Ungaretti, grazie a una poetica capace di ridefinire totalmente lo scenario letterario precedente, è una delle figure principali della poesia italiana del Novecento.
Conoscere la poetica di Giuseppe Ungaretti è, quindi, utile non solo per comprendere meglio tanta parte della produzione poetica italiana successiva ma anche per prepararsi al meglio in vista degli esami: i versi di questo poeta, caposcuola dell’Ermetismo, sono, infatti, spesso oggetto delle tracce che, ogni anno, impegnano gli studenti nella prima prova degli esami di maturità.
Vita e opere di Giuseppe Ungaretti
Nato da una famiglia di umili origini, emigrata ad Alessandria d’Egitto, Giuseppe Ungaretti (1888-1970) dopo essersi trasferito a Parigi, si laureò alla Sorbona e strinse i primi, importanti contatti con gli esponenti, francesi e italiani, dell’avanguardia simbolista.
Schieratosi tra gli interventisti, di fronte alla Prima Guerra Mondiale, a cui prese parte come volontario, Ungaretti pubblica negli stessi anni la sua prima raccolta poetica (Il porto sepolto, 1916) che, con le sue rielaborazioni successive (Allegria di naufraghi, 1919 e, poi, L’Allegria), costituirà uno dei lavori decisivi per la formazione della poesia italiana contemporanea.
Rientrato in Italia (1921), Ungaretti aderì al fascismo, da cui prese le distanze nella seconda metà degli anni Venti; dopo la conversione al cattolicesimo (1928) diede alle stampe la sua seconda raccolta poetica (Sentimento del tempo, 1933).
Nel 1936 ottiene la cattedra di letteratura italiana presso l’università di San Paolo del Brasile, città dove rimane fino al 1942 quando si sposta a Roma dove continua a insegnare letteratura italiana all’università. Le raccolte poetiche successive (Il Dolore, 1947; Un Grido e Paesaggi, 1952) sono contrassegnate dal tragico evento della morte del figlio Antonietto (1939).
Muore nel 1970 a Milano, dopo aver visto la sua intera opera raccolta nel volume Vita di un uomo, inserito nella prestigiosa collana dei Meridiani Mondadori l’anno precedente.
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L’Ermetismo
Ungaretti viene generalmente indicato come il caposcuola dell’Ermetismo, una corrente, affermatasi negli anni Venti, che tanta parte ha avuto sulla produzione poetica successiva e che afferma un nuovo modo di fare poesia, frutto di un lungo lavoro di ricerca e di sperimentazione, ma anche di un rifiuto generalizzato dei maestri precedenti, compresi i Crepuscolari, di cui viene abbandonata la discorsività, in favore della musicalità e di una essenzialità della parola, sempre connotata dal gioco analogico.
Convinti che il linguaggio della poesia fosse stato abusato e svilito dai predecessori, gli ermetici si pongono l’obiettivo di restituirgli verginità e novità, riportandolo a una dimensione essenziale, scabra e, talvolta, consapevolmente oscura. La parola poetica torna, così, ad essere lo specchio della realtà, divenendo per l’uomo strumento per percepire l’inesprimibile sostanza del mondo circostante, apparentemente privo di senso.
Facendo tesoro della lezione di Mallarmé, gli ermetici vogliono restituire alla parola poetica la pregnanza semantica degli ètimi, per questo ricercano espressioni quasi raggrumate, capaci di folgorazioni liriche, capaci di portare alla luce frammenti, indizi, corrispondenze, della sostanza segreta del reale.
Proprio per perseguire questo obiettivo ricorrono frequentemente alla figura retorica dell’analogia, sacrificando, a favore dell’essenzialità, il nesso logico-discorsivo; discorso simile vale per l’uso della sinestesia: richiamando e intrecciando sensazioni di diversa origine sensoriale il poeta, come afferma lo stesso Ungaretti,
“cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza fili”
Il rifiuto dei modelli tradizionali è una scelta stilistica che, però, sottintende una scelta etica: gli ermetici rifiutano la visione ottimistica e fiduciosa del positivismo e le mitologie consolatorie del progresso, allineandosi, in tal senso, come le altre esperienze italiane ed europee del loro tempo. Il poeta, in definitiva, non ha più certezze da proporre nel suo canto ma solo un sentimento pessimistico di desolazione e di naufragio.
In questo isolamento dedito alla difficile arte della distillazione della parola, che avviene riprendendo molti degli elementi del decadentismo francese di fine ’800 (corrispondenze, rifiuto dell’oratoria e delle forme chiuse, valore noumenico della parola, perfezione geometrica del verso, rigorosa autocoscienza del poeta) bisogna intravedere anche una risposta etica alla retorica fascista.
Più in generale, le scelte stilistiche degli ermetici non sono mai frutto del caso, quanto, piuttosto, della necessità di mettere in relazione forma e contenuto del poetare: l’essenzialità è, quindi, la modalità preferibile per esprimere il male di vivere che li accomunava e li rendeva pessimisti circa le possibilità per l’uomo, e per la stessa poesia, di approdare a solide certezze.
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La poetica di Giuseppe Ungaretti
In Ungaretti poesia e biografia sono strettamente collegate: la seconda fornisce spesso alla prima la materia del canto. Ciò è evidente nell’esperienza della trincea dove, tra intemperie, sporcizia e commilitoni stremati, il giovane poeta scopre una dimensione della vita, e della sofferenza che richiede nuovi mezzi espressivi per essere adeguatamente descritta.
Un esempio evidente di questa posizione lo si trova in Allegria di naufraghi, raccolta dove, partendo dalle proprie emozioni, Ungaretti dà vita a versi essenziali, enunciazioni fulminee, parole emerse dal silenzio, riaffiorate dall’abisso della sofferenza.
La presenza di un vissuto personale è manifestata dall’uso molto frequente di dimostrativi e possessivi, ma anche dall’indicazione di luoghi e date precisi, sintomi di una fortissima affermazione del soggetto e di un suo coinvolgimento nelle vicende, traumatiche, della guerra.
Sul piano stilistico assistiamo a una sperimentazione totale che è anche una distruzione della metrica tradizionale: il rinnovamento dell’endecasillabo dà luogo a versi spezzati, ridotti in alcuni casi a singole parole, giustapposte senza punteggiature e accostate solo attraverso lo strumento dell’analogia; la scomposizione del verso ha lo scopo di eliminare la discorsività della produzione poetica precedente e di ridare pregnanza alla parola poetica.
Nella raccolta successiva, Sentimento del tempo, che raccoglie le liriche composte dal 1919 al 1933, si assiste a un’evoluzione della poetica, stavolta meno autobiografica e più esistenziale, incentrata sull’”Uomo”, inteso come specie e non come singolo, intenta a a quei conflitti e a quella ricerca di certezze che sono di tutti e che si riflettono nel poeta:
“e mi sento esiliato in mezzo agli uomini, ma per essi sto in pena”
Giuseppe Ungaretti esprime il nodo esistenziale dell’uomo che viene sciolto attraverso il recupero della fede, pur non annullando la conflittualità tra il sentimento religioso e il dolore del singolo o della collettività. L’evoluzione della poetica è visibile anche sul piano stilistico dove si assiste al passaggio alla “volontà di canto” e dove, tramite i moduli della tradizione poetica (Jacopone da Todi, Dante, Cavalcanti, Leopardi), “il canto della lingua italiana che cercavo nella sua costanza attraverso i secoli” è ritrovato e affinato.
Comune a questa raccolta e a quella successiva, Il dolore (1947), è il tema del rapporto tra contingente ed eterno e l’esigenza meditativa sebbene, in quest’ultimo lavoro, l’elemento biografico torni a essere preponderante, come dimostra la prima sezione, dedicata al figlio morto prematuramente, altissima per verità umana e completo dominio dei mezzi espressivi.
Nella sezione Roma occupata, che riflette sulle vicende contemporanee, emerge, pur essendo evidente la riconquista della fede, l’altro momento – quello collettivo – del destino di dolore dell’uomo. La lirica, che recupera anche una metrica più tradizionale, è, quindi, sia malinconia soggettiva o coralità della tragedia comune.
Le poesie più famose di Giuseppe Ungaretti
Tra le poesie più belle e famose di Giuseppe Ungaretti citiamo:
- Soldati (pubblicata per la prima volta in Allegria di naufragi, in seguito ne L’Allegria)
- Mattina (apparsa prima nella raccolta collettiva Antologia della diana e infine ne L’Allegria)
- I fiumi (da L’Allegria)
- Non gridate più (da Il dolore)
- Veglia (da L’Allegria)
- Il porto sepolto (prima in Allegria di naufragi e presente in seguito ne L’Allegria)
- Risvegli (L’Allegria)
- San Martino del Carso (L’Allegria)
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"Silenzio"
(commento come lo avrebbe scritto Ungaretti)
Il ricordo della città è ancora vivo: l’immagine luminosa è nei suoi occhi.
Il ricordo del distacco è presente nel suo cuore che conserva i suoni e i colori abbaglianti della città che sparisce all’orizzonte.
Ciò che esiste solo nel ricordo non può che essere vago e indeterminato.