Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943
- Autore: Alessandra Kersevan
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Nutrimenti
- Anno di pubblicazione: 2024
Anche il fascismo ha costruito lager e nascosto verità imbarazzanti in un virtuale armadio della vergogna. “Italiani brava gente” crolla davanti alle violenze oltre il confine orientale e ai patimenti inflitti nel campo per prigionieri civili jugoslavi di Gonars, a sud di Udine e in quello famigerato di Arbe, sull’isola dalmata di Rab.
Sono stati luoghi del disonore per l’Italia - insieme a Visco, sempre in Friuli, Monigo in Veneto, Cairo Montenotte in Piemonte, Renicci nell’Aretino, Alatri e altri minori - e di sofferenza per migliaia di slavi di ogni età, molte donne, tanti bambini.
A oltre quindici anni dalla prima pubblicazione nel 2008, l’attivissima saggista Alessandra Kersevan firma la seconda edizione della ricerca Lager italiani. Pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943 (Nutrimenti, Roma, gennaio 2024, collana “Igloo”, 384 pagine).
La storica monfalconese ha corretto qualche refuso nell’edizione originale, aggiornato la bibliografia, aggiunto alcune note. Soprattutto, ribadisce la condanna della fitta cortina di silenzio e del processo di rimozione dalla coscienza nazionale che hanno sempre nascosto questi crimini di guerra italiani.
Gli storici e la storiografia non li hanno ignorati, producendo studi sui luoghi d’internamento dell’Italia fascista, ma l’argomento non si è mai allargato all’opinione pubblica. La ricercatrice sostiene di avere rilevato una nota di sorpresa generale e incredulità nelle numerose conferenze di presentazione del libro, accanto indubbio interesse raccolto. “Com’è possibile” che di tutto questo non si sia mai parlato in tanti decenni di Repubblica nata dalla Resistenza?
Una risposta esauriente, aggiunge, coinvolge aspetti anche culturali e di psicologia sociale, accanto a quelli documentali, storici, politici. Riguardano la rappresentazione che gli italiani hanno di se stessi.
Ha condotto la ricerca sugli atti, negli archivi. Ha consultato la pubblicistica e attinto alle esperienze dirette, attraverso le testimonianze raccolte. È derivato un documento storico in molte parti corale, che muove dei primi confronti tra lo Stato italiano postunitario e le comunità non allogene al confine orientale, soffermandosi ovviamente sulla questione slava sotto il fascismo e sull’italianizzazione forzata imposta da Mussolini: solo la nostra lingua, vietati dialetti alieni, no ad altre tradizioni etniche.
Incomprensioni tra le due parti e tossine d’odio covato su antichi rancori hanno fatto deflagrare le violenze reciproche.
C’è stata la reazione slava, tanto nel settembre 1943 che alla fine del conflitto, con la giustizia sommaria, le vendette, le foibe e l’esodo forzato degli italiani dai territori dalmato-giuliani, dall’Istria e dalla Slovenia. Era stata preceduta, dopo l’occupazione nazifascista della Jugoslavia nel 1941, dalle efferate rappresaglie italiane per gli episodi di resistenza armata del forte esercito di liberazione jugoslavo di Tito e dei partigiani locali, i rastrellamenti indiscriminati, la distruzione di villaggi, l’oppressione della popolazione slovena, croata, dalmata, serba, montenegrina, il trattamento disumano dei prigionieri e prigioniere non combattenti. Tutto contrasta con la vulgata nazionale degli italiani brava gente nella seconda guerra mondiale e in genere del comportamento indulgente dei nostri militari.
Secondo Alessandra Kersevan il problema deriva anche dalla confusione fra l’atteggiamento quotidiano benevolo con le popolazioni occupate, osservato da gran parte dei nostri soldati nelle pause tra le operazioni belliche e il loro comportamento nei cicli operativi antipartigiani o nei rastrellamenti, nelle retate e deportazioni, sia pure su ordine delle autorità militari e politiche.
Nei Balcani occupati, come nelle colonie africane, adottarono condotte simili a quelle di tutti gli eserciti aggressori della storia, esercitando:
“Con estrema violenza, rappresaglie, saccheggi, eccidi non solo dei combattenti ma di intere popolazioni”.
Non fa molta differenza essere arrestato, maltrattato, internato, torturato, impiccato, fucilato, da aguzzini che di solito si comportano in maniera “simpatica”.
Per i lager italiani, è stato analizzato un periodo più lungo, a partire dagli ultimi anni dell’800, con il diffondersi nella classe dirigente italiana di un pregiudizio antislavo che avrebbe fatto da presupposto ideologico prima alla repressione delle minoranze slovena e croata, poi alla guerra e alle efferatezze compiute in nome della “superiore civiltà italiana”.
Fonti di varia natura: dagli archivi dell’esercito e del Ministero dell’Interno alle memorie di ex militari italiani, in più, testimonianze di internati sopravvissuti e un apparato fotografico. Gli atti sono contestualizzati e messi a confronto, per far sì che le ricostruzioni delle condizioni di vita e delle vicende nei campi possano sempre basarsi su più tipi di documenti, a conferma o smentita reciproca.
Alessandra Kersevan, insegnante di lettere nella scuola media fino al 1992, attiva ricercatrice storica, si è sempre interessata di territorio, cultura, musica e lingue friulane. Da anni si dedica allo studio del Novecento nelle terre del confine orientale. Nel 1995 ha pubblicato Porzûs. Dialoghi sopra un processo da rifare, dedicato a una delle più controverse vicende della Resistenza italiana.
Nel 2003 è stata la volta di Un campo di concentramento fascista. Gonars 1942-1943, per conto del Comune friulano. È contitolare con il marito di una casa editrice e coordina la collana “Resistenzastorica” delle edizioni Kappa Vu.
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