Un bagliore
- Autore: Jon Fosse
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2024
Un uomo alla guida di un’auto in una fredda giornata d’autunno, mentre è immerso nei suoi pensieri, si addentra in un bosco sul far della sera dopo aver percorso un lungo tragitto. Resosi conto dell’accaduto, invece di fare retromarcia e tornare sulla strada principale per recuperare la direzione di casa, prosegue senza una meta precisa e si allontana sempre di più in direzione opposta, spinto da un istinto insopprimibile di esplorare l’ignoto e di allontanarsi dalla sua confort zone. L’auto a un certo punto però va in panne e rimane bloccato nel fitto del bosco circondato dal freddo e dalla neve.
È questo il tema portante di un racconto scritto dallo scrittore norvegese Jon Fosse intitolato Un bagliore (La Nave di Teseo, 2024, trad. di Margherita Podestà Heir) che è davvero singolare per molti aspetti e che merita un’attenta analisi in quanto si discosta per molti aspetti da quelle che sono le tipiche caratteristiche di una storia, poiché non ha una vera e propria trama, un’ambientazione del tutto definita e, protagonista a parte, non si conosce il nome dei personaggi veri e propri ad animare la vicenda. Quest’ultima è narrata in prima persona dall’uomo del quale l’autore non ci fornisce molte informazioni, come il nome appunto mai menzionato in tutto il corso della storia, la professione, l’età e il luogo di provenienza, anche se dalla descrizione del paesaggio e dal clima rigido si deduce che ci troviamo in Norvegia, la nazione di appartenenza di Jon Fosse.
La particolarità del racconto è il senso di mistero e di forte aspettativa che l’autore sa creare nella narrazione, pur non scendendo in grandi dettagli spazio temporali ed elementi biografici sul protagonista, che possano delineare un contesto alla vicenda. L’unica certezza che ci viene data è che l’uomo vive da solo, che non ha quindi nessuno che lo aspetti a casa e quindi facendosi sera e buio nel cuore del bosco la sua unica preoccupazione è di trovare un posto dove possa trovare riparo dal freddo e del cibo, in attesa di trovare qualcuno che possa aiutarlo trainando la sua auto o dandogli un passaggio per tornare a casa.
Il problema è che nel bosco, nonostante ci siano dei sentieri battuti e che quindi spingono a ritenere che ci siano delle abitazioni e delle persone che vivono nei paraggi, non riesce a scorgere la presenza concreta di un essere umano e quindi deve trovare un riparo di fortuna dal freddo, nella speranza che prima o poi compaia qualcuno in suo soccorso. L’unico elemento che suscita curiosità nel protagonista e anche un sottile velo di speranza è la presenza di un misterioso bagliore, una luce che man mano si fa più intensa e che sembra a un tratto addirittura affiancare l’uomo e guidarlo in una direzione a lui sconosciuta. Tale bagliore sembra però che possa essere associato a un’entità soprannaturale e non umana e il mistero sia per il protagonista che per il lettore si infittisce. La stranezza e forse anche uno dei limiti di un racconto che, nonostante la qualità stilistica della narrazione e il forte senso di curiosità e attesa che genera nel lettore, ha in realtà dei grossi limiti legati a buchi e carenze nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi, è che il protagonista, supponendo che il racconto sia ambientato ai nostri giorni, anche se non è dato saperlo, non abbia nell’auto un navigatore e cosa ancora più incredibile un cellulare. Questo non gli permette di chiedere aiuto e provare a cercare dei tempestivi soccorsi.
Ben presto però si intuisce che il racconto ha un forte valore simbolico e che nulla è davvero come appare; pertanto la scelta di limitare elementi che caratterizzino meglio ambientazione e personaggi è voluta dall’autore. Questo però non toglie che la narrazione risulti da questo punto di vista poco credibile ed efficace lasciando dubbi su tale scelta.
Non si conoscono dettagli sull’abbigliamento dell’uomo, se cioè è equipaggiato per affrontare la notte, se guidando un’auto abbia con sé una torcia, un accendino o qualcosa per illuminare il sentiero e il bosco che lo circonda, ma pare di no. Non ci sono rumori particolari che egli avverte e solo gli alberi, le piante, la luna che illumina la notte e altri elementi naturali, come una roccia ad esempio, sono presenti in questo misterioso scenario nel quale si viene a trovare, senza incontrare anima viva per un lungo tratto a parte questa luce emessa da questa entità che appare e scompare, ma che sembra essere a conoscenza della sua presenza.
A un tratto compaiono le uniche due presenze umane del racconto, i due genitori del protagonista, che egli riconosce; si stupisce inizialmente della loro presenza ma poi inizia a tessere un dialogo con loro per cercare di capire come poter uscire da quel bosco che sembra diventato una sorta di labirinto per tutti e tre. I dialoghi però avvengono sempre e solo in modo indiretto per tutta la narrazione, che si configura quindi di fatto come una sorta di flusso di coscienza del protagonista, il quale ripete pensieri e concetti di continuo, creando un senso di ansia e di frustrazione perché l’enigma sembra non sciogliersi e nemmeno i suoi genitori sembrano saper fornire le giuste risposte.
Non si sa se l’uomo abbia avuto dei figli o dei fratelli e si intuisce solo che essendo adulto viva da tempo da solo e che non veda sempre i suoi genitori, ma non si capisce da quanto tempo esattamente. Questo continuo mistero non solo sull’esito della vicenda ma anche sulla vita e le caratteristiche del protagonista e dei personaggi rende la trama piuttosto scarna e il valore simbolico della vicenda prende il sopravvento, a tal punto che dettagli rilevanti per contestualizzare meglio la vicenda e renderla più chiara al lettore sono colpevolmente omessi. Anziché crescere di intensità in fatto di tensione, il racconto, peraltro piuttosto breve, tende poco a poco invece a scivolare in una sorta di noiosa attesa di una risoluzione, che si intuisce quale possa essere, perdendo il fascino e l’intensità iniziale.
Senza svelare l’esito della vicenda, ciò che si può anticipare è che pur chiarendo in parte il mistero, l’autore lascia in parte spazio all’interpretazione del lettore ma non tanto con un finale aperto, bensì con una visione spirituale molto personale che chiude il racconto ma che di fatto nulla aggiunge di particolarmente rilevante rispetto a quel senso di attesa con il quale si era aperto. Insomma, un racconto che vive di simbolismo e di atmosfera ma povero di trama, con un tentativo di rispondere ad alcuni quesiti di carattere esistenziale che da sempre l’essere umano si pone, ma fatto in maniera un po’ approssimativa e non del tutto originale.
Un racconto insomma dove lo stile di scrittura, il ritmo e il non detto sembrano prevalere rispetto a ciò che spesso caratterizza una storia classica e cioè una trama ben delineata, una struttura robusta e dei personaggi ben caratterizzati. La lettura si conclude lasciando un senso di vuoto e di incompiutezza nel lettore, tipico di quelle storie dove il contenuto viene sacrificato in favore della forma. E questo genera un senso di delusione in chi ama le storie vere dove c’è una linearità e una struttura definita.
Jon Fosse si dimostra quindi uno scrittore bravo nello stile, nel dare un ritmo alla narrazione e nel creare, almeno inizialmente, un pathos e una tensione palpabile, ma difetta di brillantezza, di credibilità e di capacità di emozionare il lettore, almeno in questo racconto, e quindi anche di empatizzare con il protagonista.
Jon Olav Fosse, nato nel 1959 a Haugesund, cittadina situata nel fylke (contea) di Rogaland sulla costa sudoccidentale della Norvegia, scrive in nynorsk, una delle due lingue riconosciute come ufficiali presenti nella sua nazione, che significa neo norvegese, detta anche landsmal cioè "lingua della terra" e che è parlata solo dal 10- 5 cento della popolazione, mentre la maggioranza dei norvegesi usa il bokmal, "la lingua dei libri", considerata quindi più colta e raffinata rispetto al nynorsk che ha un’origine più umile. Vive attualmente nella residenza di Grotten, situata nel cortile del Palazzo reale, che gli è stata concessa dal re per meriti letterari. Nel 2023 ha vinto il Premio Nobel per la Letteratura, quarto norvegese in ordine di tempo a ricevere tale riconoscimento. Questa la motivazione del premio:
per le sue opere innovative e la sua posa che danno voce all’indicibile.
Jon Fosse è poeta, drammaturgo, romanziere, saggista e la sua produzione letteraria è molto ricca, sia per quantità che per la ricchezza dei temi trattati. Ha ricevuto altri numerosi e prestigiosi premi e riconoscimenti internazionali e nazionali. È considerato il più importante scrittore norvegese contemporaneo insieme a Dag Solstad e anche uno dei più importanti a livello mondiale.
Sì è fatto notare per la prima volta dal pubblico norvegese con il romanzo Raudt, Svart (Rosso, Nero) del 1983 non ancora tradotto in italiano, mentre ha conosciuto la fama internazionale grazie all’opera teatrale Qualcuno arriverà del 1993. Il suo capolavoro è considerato Settologia, un’ opera monumentale suddivisa in tre volumi per complessivi sette libri. Nel 2012 si è convertito al cattolicesimo.
Diverse sono poi nel tempo le sue opere che sono state tradotte in italiano, che comprendono anche alcuni libri per bambini di recentissima pubblicazione.
Un bagliore (titolo originale dell’opera Kvitleik) è stata pubblicato in Norvegia nel 2023 e in Italia dalla La nave di Teseo nel 2024, nella collana Oceani con la traduzione di Margherita Podestà Heir. Jon Fosse ha soprattutto avuto il merito di creare una lingua e uno stile particolari con il quale racconta il mondo.
Va detto che, a giudizio di chi scrive, questo libro lascia a livello di trama, di struttura della storia e caratterizzazione dei personaggi molte perplessità e certo non rientra nei canoni tradizionali di un racconto, risultando anche un po’ pesante e noioso per certi aspetti, pur essendo indiscutibile la bravura stilistica e l’abilità nel creare un’iniziale tensione narrativa da parte dell’autore. Certo, pensando ad altri grandissimi scrittori norvegesi vincitori del Premio Nobel come ad esempio Bjornstjerne Bjornson o Knut Hamsun, e alla forte spiritualità delle loro storie, alla capacità di creare personaggi con cui il lettore può stabilire empatia e l’emozione delle vicende narrate, di stampo narrativo più classico e di più fruibile lettura, pur nella ricchezza dello stile di scrittura, si avverte una notevole differenza.
Jon Fosse è scrittore complesso e non di facile lettura, che sembra anteporre l’uso della lingua alla trama, almeno in questo racconto, che onestamente dal punto di vista delle emozioni e della credibilità e verosimiglianza di certe situazioni narrate risulta un po’ carente ma forse è necessario accostarsi anche ad altre sue opere per una valutazione e una conoscenza di questo importante autore.
A volte, più che farsi guidare solo dai propri gusti e dalle proprie emozioni, per maturare come lettori occorre anche leggere autori più impegnativi e complessi nel loro modo di concepire la narrazione, in modo da acquisire una maggiore consapevolezza e cultura in campo letterario e abbracciare la complessità della vita e del diverso modo che ciascun essere umano ha di interpretarla.
Un bagliore
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un bagliore
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