Chiedile chi erano i Gatti di Vicolo Miracoli (Capitttooo!)
- Autore: Franco Oppini
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Diego li accompagnava come tecnico delle luci, “quasi autista”, dice. Da Milano raggiungevano città, paesi, locali. Lui davanti con Umberto, dietro gli smilzi, Jerry, Nini, Franco. A chiamarli per cognome, si capisce tutto: Abatantuono, Smaila, Calà, Salerno, Oppini. Perché questa citazione è tratta dalla prefazione del popolare terruncello al libro-intervista brillante e divertente Chiedile chi erano i Gatti di Vicolo Miracoli (Capitttooo!). Conversazione poco seria con Paolo Silvestrini di Franco Oppini, un volume illustrato in bianconero e a colori, pubblicato dalle edizioni romane Iacobellieditore (luglio 2024, collana Pop Story 184 pagine).
Alle coordinate editoriali vanno aggiunte le chilometriche ma puntuali indicazioni sulla copertina interna:
con un un pensiero di Maurizio Costanzo, la prefazione di Diego Abatantuono, una nota di Carlo Verdone, le testimonianze di Jerry Calà, Umberto Smaila, Nini Salerno, Gian Andrea Gazzola, Spray Mallaby, Francesco Oppini e la partecipazione straordinaria di Ada Alberti e Alba Parietti.
I quattro Gatti erano sei e sono nati alla fine degli anni Sessanta, a Verona, con altri nomi, anche un serissimo Studio 24. Con loro, Gianandrea Gazzola e Spray Mallaby, musicista e cantante, perché il gruppo suonava e cantava e fece colpo nel 1970 sul regista Dore Modesti. Li notò e scritturò per uno spot a Roma, che poi non si fece, ma aprì a un provvidenziale contatto con Cino Tortorella. Il popolare Mago Zurlì, presentatore, anche regista televisivo e talent scout, fece “una magia”: li portò al Derby, cabaret storico di Milano, culla di tanti, Cochi e Renato, Villaggio, Jannacci, Faletti. Li presentò al proprietario, giurando sulle loro potenzialità.
Debutto alla grande, “il coronamento di una favola”. Conobbero subito Diego Abatantuono; il Derby apparteneva agli zii, la madre era la guardarobiera e lui il tecnico delle luci. Un po’ il quinto Gatto ad honorem. C’erano anche i due Gatti della prima ora e Spray era una ragazza molto bella. S’innamorò di Gazzola e Franco Oppini uscì dal gruppo. Andò a fare teatro d’avanguardia a Verona, montava le scene, recitava e faceva il fonico. Lo richiamarono quando Gianandrea lasciò, nel 1975. Poi se ne andò anche Spray, lo stress del palcoscenico non è semplice da gestire.
Sempre con Tortorella, arriva il salto in televisione. Prima un programma per la Tv dei ragazzi, “Gioco-città”, poi gli sketch nel varietà “Non stop”, mitica fucina di talenti, sei serate nel 1977, altrettante nel 1979 e arriva il successo.
Insomma, nel gennaio 1971 un gruppo di ragazzi partì da Verona per conquistare Roma. Si chiamavano Studio 24, perché tanti erano gli studenti della compagnia che si era formata nel teatrino del liceo classico veronese Scipione Maffei, frequentato da tutti loro. Per strada cambiarono nome e arrivarono nella capitale trasformati in Gatti di Vicolo Miracoli. Seguiranno anni di spettacoli, di risate, di musica, di “Ciaooo!”, “Capittooo!”, “Prooova!”: erano nati i Monty Python italiani.
Paolo Silvestrini accoglie la versione di Franco, ma interroga in lunghe telefonate anche gli altri Gatti, “un po’ spelacchiati dagli anni”. Jerry, Nini e Umberto all’inizio sono restii, poi diventano alluvionali. Ricordano, svelano, ridono, s’arrabbiano, si prendono in giro. Danno versioni spesso non esattamente coincidenti.
Perché Gatti? Un nome originale andava trovato per riportarlo sul cartellone del Derby Club e scelsero al volo quello di un vicolo di Verona che prima della Seconda Guerra mondiale a un capo ospitava l’ufficio delle imposte, all’altro una casa di tolleranza: una strada dove comunque si finiva in mutande.
Non c’è soltanto la conversazione in tono semiserio con Silvestrini: i Gatti chiacchierano dei Gatti e di altro. La parola passa anche ai parenti stretti: mogli, fratello, figlio parlano di Franco. Poi tocca alla discografia, “a volte da Oppini commentata”, seguono gli spettacoli, la filmografia, la televisione... e un accenno polemico finale contro i critici e i giornalisti dei loro primi anni, che li accusavano d’essere goliardici, etichetta difficile da cancellare. Sono certi che se avessero avuto successo oggi, l’intellighenzia che allora li snobbava li osannerebbe, lo dicono con una vena di nostalgia per un riconoscimento meritato ma mancato.
Per fortuna il pubblico li ha “capitttiii!” e alcuni ottimi amici si sono legati a loro. Carlo Verdone scrive ch’erano davvero dei bravi ragazzi, estroversi e pieni di vitalità. Di Umberto ricorda che suonava il pianoforte, aveva la battuta sempre indovinata, faceva tanto ridere, aperto e positivo tirava su il morale. Con Nini Salerno e Franco Oppini andava qualche volta al cinema. Jerry Calà era il più distratto, sempre occupato a organizzarsi con le ragazze.
In apertura, ecco quello che Maurizio Costanzo pensava dei quattro veronesi (Oppini arrivato da Ostiglia). Sosteneva di non avere mai capito la gente che decide senza decidere di buttare il tempo, l’amore, le occasioni. Di essere sempre rimasto affascinato invece dalla velocità. Per lui, i Gatti di Vicolo Miracoli non avevano buttato il tempo né l’amore per questo mestiere, quando erano giovani. Riteneva di averli quasi battezzati, scrivendo qualche rigo per il retro del loro primo disco. Negava di averli inventati, perchè si erano inventati da soli, assorbendo come spugne la nebbia fitta di Milano all’uscita del Derby, piena di facce e personaggi unici. Aggiungeva che
Quei quattro ragazzi erano così veloci, unici, geniali nei loro sketch, sono diventati nella mia memoria quattro mosche bianche, che ogni tanto sbattono qui e là, per ricordarmi che sono ancora qui come allora.
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