Il 21 febbraio 2002 moriva a Roma Laudomia Bonanni, scrittrice troppo a lungo dimenticata e solo recentemente riscoperta. Sul suo nome bello, melodioso e altisonante si stende un incomprensibile oblio che oggi assume le sembianze oscure di una maledizione.
Laudomia Bonanni, in quel mese di febbraio del 2002, morì in seguito a una caduta in casa che le aveva provocato la frattura del femore. Sola, abbandonata, dimenticata. Aveva novantacinque anni - una vita pienamente vissuta, direte voi. Sulla sua lunga parabola esistenziale si allunga tuttavia l’ombra scura di un’infelicità velenosa.
Da tempo Laudomia aveva smesso di scrivere: proprio lei che sin dalla nascita era stata “scrittrice”, non scriveva più neppure un rigo. Non si trattava di una sopraggiunta stanchezza, di una necessità di “pensionamento anticipato”: era proprio un rifiuto categorico, consapevole, drastico. Con la carta stampata lei, Laudomia Bonanni, decise di interrompere ogni rapporto.
Su questa domanda “Perché ha smesso di scrivere?” si incaponisce in particolare Giulia Caminito nel suo bellissimo libro Amatissime (Giulio Perrone editore, 2022). Caminito trova le risposte che cerca nella vita di Laudomia e, soprattutto, nella mancata pubblicazione del suo ultimo romanzo La rappresaglia, poi uscito postumo nel 2003 per la casa editrice aquilana Textus edizioni.
Scopriamo la triste storia di questa scrittrice dimenticata.
Laudomia Bonanni: la vita della scrittrice
Era nata in Abruzzo a L’Aquila l’8 dicembre 1907, figlia di una maestra elementare e di un commerciante di carbone. Fu la madre, Amelia, a darle quel nome altisonante e melodioso “Laudomia” che già prefigurava il suo avvenire di scrittrice. Laudomia era infatti il nome della protagonista di un romanzo di Massimo d’Azeglio, Niccolò de’ Lapi, cui la donna era molto affezionata.
Nomen omen, si dice, la giovane Laudomia sviluppò una precoce passione per la letteratura. Scriveva racconti, poesie, abbozzi di romanzi; ma capì presto che bisognava adattarsi alla vita vera. Nel 1924 si diplomò presso l’Istituto Magistrale e iniziò subito lavorare come maestra, seguendo le orme della madre. La spedirono nelle scuole dei paesini montani abruzzesi: doveva fare parecchia strada a piedi per arrivare e spesso si trovava a gestire classi caotiche e piene di spifferi, con oltre trenta o quaranta studenti da ammansire. L’esperienza le fu utile perché conobbe le dure condizioni di vita delle popolazioni montane, le difficoltà di chi doveva mantenersi ogni giorno col lavoro manuale ed era dunque concentrato unicamente sull’esigenze primarie, necessarie, della sopravvivenza.
Nel 1930 Laudomia iniziò a lavorare nelle scuole elementari cittadine dell’Aquila e trovò un po’ di agio, riuscendo finalmente a dedicarsi con continuità alla scrittura. Lo sviluppo della sua arte letteraria fu tuttavia legato all’ascesa del Partito Fascista: nel 1927 infatti Laudomia si era iscritta al partito, divenendo di fatto un’intellettuale di regime. Grazie a questa rappresentanza, nel 1938, venne eletta giudice laico, non togato, per il Tribunale dei minorenni dell’Aquila. Per lei fu l’inizio di una svolta decisiva: si dedicò alla narrativa per l’infanzia e, in particolare, approfondì il mondo dei riformatori minorili che sarebbe stato fondamentale per la stesura del suo romanzo-capolavoro Vietato ai minori (1974).
Laudomia Bonanni: il trionfo letterario
Il trionfo letterario venne nel 1948 quando la sua raccolta di racconti, Il fosso, si meritò il plauso di Maria Bellonci vincendo il concorso per le opere inedite indetto dagli Amici della domenica. Laudomia Bonanni fu incoronata scrittrice e non c’era pagina o inserto letterario che non elogiasse il suo nome. Il fosso ricevette le lodi di Montale che paragonò la sua scrittura a quella di James Joyce in Gente di Dublino. Bonanni venne quindi catapultata nella girandola del mondo dei circoli e dei premi letterari. Fu la prima donna a vincere il Premio Bagutta Opera Prima.
Sembrava essere il trionfo di una predestinata - Laudomia, un personaggio letterario, del resto lo aveva scritto nel nome. Alla salita sull’Olimpo tuttavia seguì un imprevisto e terribile declino.
Dopo il successo inatteso de Il fosso il mondo editoriale che l’aveva osannata iniziò a screditarla. Il suo primo romanzo venne rifiutato da Mondadori: l’editore si rifiutò addirittura di riceverla e per Laudomia fu un vero shock. Non era preparata a un rifiuto: lei che era stata elogiata da Montale con quella recensione profetica sul quotidiano milanese Corriere d’informazione:
Questa Laudomia farà certo strada.
così aveva predetto il poeta, futuro premio Nobel per la Letteratura.
Forse la ragione del rifiuto di Mondadori era da attribuire ai trascorsi di Bonanni come militante nel partito Fascista che ora, a guerra conclusa, le si ritorcevano contro. O forse, davvero il romanzo non era ritenuto in continuità con la linea editoriale della casa editrice.
Sta di fatto che per Bonanni quel rifiuto fu un colpo duro. Si acuirono le crisi depressive di cui aveva sofferto sin da ragazza e niente sembrava giovarle, non trovava consolazione. In seguito iniziò una collaborazione - infine rivelatasi rovinosa - con Bompiani che nel 1960 pubblicò L’imputata e successivamente L’adultera.
I libri non ottennero il successivo travolgente de Il fosso e la depressione di Laudomia peggiorò. Sentiva di non essersi integrata pienamente nel mondo editoriale dell’epoca, neppure dopo il suo trasferimento definitivo a Roma, avvenuto nel 1969.
Vietato ai minori: il capolavoro di Laudomia Bonanni
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Nel 1974 Laudomia Bonanni interruppe il lungo silenzio con un nuovo romanzo di successo, Vietato ai minori, che arrivò finalista alla ventottesima edizione del Premio Strega poi vinta da Guglielmo Petroni con La morte del fiume. Nel romanzo narrava della sua esperienza nei riformatori e nei luoghi di detenzione minorili, mostrando così quei luoghi dimenticati dal mondo sotto una nuova luce. Vietato ai minori, per l’eleganza della scrittura e l’originalità della tematica trattata, incontrò un subitaneo successo di pubblico e di critica.
Nell’esergo del libro Bonanni aveva posto una frase folgorante:
La verità scotta perfino più della calunnia.
Vietato ai minori raccoglieva svariati racconti, alcuni già apparsi precedentemente su rivista. In ciascuno Bonanni tratteggiava una folta schiera di bambini e adolescenti abbandonati e bisognosi di ascolto, comprensione, aiuto. Nelle pagine ritraeva piccoli uomini in realtà vittime della guerra, dell’ignoranza e spesso dell’arroganza degli adulti, dipingendoli come “agnelli sacrificali”. Raccontava una verità scottante, bruciante che tuttavia ora, messa nero su bianco, non poteva più essere ignorata.
Il catalogo della casa editrice Bompiani lanciò il romanzo con queste precise parole che traducono una decisiva presa di coscienza letteraria da parte di Laudomia:
"Il libro" dice Laudomia Bonanni, "dev’essere come un sasso che si butta per colpire". Questo libro colpisce veramente e definitivamente.
Laudomia Bonanni: il declino di una scrittrice
Non fu, purtroppo, un trionfo duraturo. Da tempo Bonanni aveva capito le dinamiche serrate (e talvolta infide) del mondo dell’editoria, giungendo a definire in termini dispregiativi lo stesso Premio Strega come un “gioco editoriale”. Dopo la morte dell’amica Maria Bellonci si sentì sempre più abbandonata.
Il suo ultimo libro edito da Bompiani, Le droghe, fu praticamente ignorato da pubblico e critica. Un fallimento totale.
Laudomia sperava tuttavia di risorgere, come una novella fenice, attraverso un romanzo cui lavorava in modo assiduo e meticoloso da anni: La rappresaglia.
Una volta ultimato, il titolo originario era forse Stridor di denti, lo propose alla sua storica casa editrice Bompiani che, inaspettatamente, lo rifiutò.
Bompiani non se la sentiva più di scommettere su Bonanni dopo l’insuccesso de Le droghe.
La rappresaglia: il libro postumo di Laudomia Bonanni
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La rappresaglia era una storia originalissima: narrava le vicende de La Rossa, una donna partigiana, una voce fuori dal coro. “La Rossa” viene catturata da una banda di fascisti che decide di fucilarla. La donna, però, è incinta: i suoi aguzzini allora decidono che la sua morte avverrà dopo la nascita del bambino che porta in grembo.
I ruoli tradizionali della cosiddetta Letteratura resistenziale si ribaltano: sono i fascisti e non i partigiani a vivere alla macchia, in un eremo, dopo essere fuggiti dal paese.
La donna-madre sembra essere del tutto incurante riservata a sé e del figlio in procinto di nascere. L’io narrante, inoltre, è un maestro che tempo prima aveva deciso di aderire al Partito fascista e ora si trova a mettere in discussione le sue idee e la propria scelta politica. Infine sarà lui a raccontare trovandosi nel ruolo di “disperatamente spettatore”.
Si tratta di una storia di guerra, “una storia qualunque delle tanti di ogni guerra”; ma è la presenza della donna e del bambino a renderla tragica.
La rappresaglia era una narrazione cruda, violenta, che ribaltava i consueti ruoli di vittima e carnefice. Laudomia credeva con tutta sé stessa nelle potenzialità della sua protagonista femminile e del suo libro.
L’autrice non si perse d’animo: lo corresse, lo revisionò pagina per pagina e si rivolse quindi a Mondadori trovando, però, dinnanzi a sé un’altra porta chiusa. Aveva preso il treno per Milano per incontrare Arnoldo Mondadori in persona e l’editore si rifiutò di riceverla. Il dattiloscritto le fu restituito: glielo misero tra le mani, come un pacco rispedito al mittente. Era il 1985, per Laudomia Bonanni quel secondo rifiuto fu il colpo di grazia, la ghigliottina della sua carriera di scrittrice.
Come può una scrittrice smettere di scrivere? Immaginiamo Laudomia in quel momento, a Milano, davanti a una porta chiusa. Immaginiamo lei che si ritrova il proprio manoscritto tra le mani mentre un impiegata la invita ad andarsene con fare stizzito, guardandola come se fosse un problema da risolvere. Pensiamo a cosa deve aver provato nel fare marcia indietro, lasciarsi palazzo Mondadori alle spalle, attraversare la città di Milano con il buio nel cuore mentre la folla attorno corre, non si ferma, e lei cammina ma dentro si sente immobile come un orologio rotto.
Immaginiamola mentre riprende il treno per Roma e, a bordo del vagone, le sue mani stritolano quell’ammasso di pagine che sarebbe dovuto diventare il “suo libro”.
Lei era una scrittrice, scriveva, per lei era un’attività naturale come respirare. Era una scrittrice, scriveva; ma nessuno voleva pubblicarla. L’avevano elogiata e poi messa da parte: era stata osannata, benedetta, acclamata e poi scartata senza neppure una motivazione. Lei era una scrittrice, scriveva; ma in quel momento decise che non avrebbe scritto più. Posò la penna in un cassetto, proprio come i migliori tennisti appendono le racchette al chiodo.
Non scrisse più un rigo e scivolò lentamente nell’oblio, da viva.
La rappresaglia sarebbe stato pubblicato postumo dall’editore abruzzese Textus nel mese di ottobre 2003 in un volume a cura di Carlo De Matteis dopo un lungo e meticoloso lavoro di recupero.
Nel mese di marzo 2013 il romanzo di Laudomia Bonanni è uscito anche negli Stati Uniti con il titolo inglese di The Reprisal .
La scrittrice che smise di scrivere: sembra un paradosso, ma è una storia vera. Oggi accanto al nome di Laudomia non c’è il rimando a personaggio letterario di Massimo D’Azeglio, ma l’epiteto di “scrittrice”, l’unica definizione che davvero meritava.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi era Laudomia Bonanni, la scrittrice che smise di scrivere
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Complimenti per l’articolo, degno di una grande scrittrice.
Sai dirmi di più su suo padre Giovanni, barone decaduto, fine musicista e commerciante di carbone?