

Le ultime ceneri dell’Avana
- Autore: Alessandro Zarlatti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Non sono a conoscenza di libri di poesia firmati da Alessandro Zarlatti; ciò che so per averne letto Le ultime ceneri dell’Avana (Il Foglio Letterario, 2024), è che la prosa di cui è capace Zarlatti (di)stilla poeticità. Sebbene ruvido. Sebbene non faccia sconti. Sebbene realista, Le ultime ceneri dell’Avana sfoggia una semantica musicale, una liricità funzionale alla forma quanto alla sostanza. Vale per la minuzia con cui sono restituite le panoramiche interiori dell’io-narrante, vale per il proscenio di un’Avana rappresa nel suo reiterarsi tra fascinazione e contraddizione.
Del resto l’Avana è un paradigma. L’epitome di un’isola-mondo che ancora sconta i prezzi del suo essere (stata?) fortilizio sovietico in seno all’America capitalista. È anche vero che l’Avana sopravvivente tra le pagine di Zarlatti è tutt’altro che folklorica (altro merito dell’autore), piuttosto riflesso chiaroscurale dell’animo del protagonista, lo scrittore soggetto-oggetto di riverberi mentali e prese di coscienza dolorosi, disillusi, anche per via del declinare dell’età. Quello dell’io-narrante del romanzo è un io dolente. Più che per traumi subiti, per mal de vivre. Per affezione ontologica più che per rigetto di ciò a cui un tempo ha creduto.
Le ultime ceneri dell’Avana è tutt’altro che un libro cartolinesco, è invece una narrazione pre-apocalittica, assisa laddove l’apocalisse individuale coincide con quella di un mondo (non solo il microcosmo cubano) che lentamente muore nell’indifferenza generale. Ancora: se parliamo di Le ultime ceneri dell’Avana, parliamo di un romanzo cupo e affatto compiaciuto della sua cupezza. Un romanzo esistenzialista, per rivelazione intellettuale invece che per posa. Di tutto ciò l’Avana è motore-immobile, ideale cul de sac per anime alla deriva. Punto attrattivo/repulsivo, testimone e artefice al contempo di un esistere sterile per tramonti impassibili dai colori arroventati, bottiglie di vino a poco prezzo, boleri, fica, per l’amore e l’amore per la scrittura, persino.
Quante volte ho ripetuto vuoto? E niente? Sembrano le mie due parole chiave. E invece sono spigoli in cui sbatto la testa da una vita intera. Questo me lo dico mentre mi annoio in fila al baretto. Bottiglie di vino a buon prezzo e le sigarette per F. È un mondo che sta spegnendo le luci, una ad una. Nella mia testa ma forse non soltanto. Ce ne andremo via di qui. Perché il luna park sta mostrando la sua faccia più sconcia agli ultimi visitatori, quelli che restano fino alla chiusura. A noi. La meno attrattiva. E allora ti domandi se valga la pena restare. Vestire i panni dell’idealista ad oltranza, quello che affonda con la nave, una cosa così. No, non c’è nave che valga la pena. Forse persone ma non navi. Compro due bottiglie di Merlot rosso e un pacchetto di Hollywood nere. Il commesso sembra uscito da una tomba giusto in tempo per attaccare al lavoro.
Le ultime ceneri dell’Avana progredisce e si consuma così. Più o meno in questo modo. Un peregrinare per stati d’animo e paesaggi esteriori. Un flusso di coscienza - interno/esterno - su Cuba e su stessi. Il lento crepuscolo di un uomo sullo sfondo del crepuscolo sempiterno dell’Avana. La narrazione bifocale e parimenti impietosa di uno scrittore in crisi (esistenziale) e di una nazione altrettanto. Entrambi - l’uomo e il Paese - senza più ancore di salvataggio (le ha esautorate tutte il globalismo capitalista), privi di punti di riferimento, orfani, straniati a sé stessi, a un passo dai richiami di un nichilismo derivato da sconfitta, a un passo dalla resa definitiva, con soltanto strenue parole a cui ancora aggrapparsi. Per ostinarsi - per costringersi - a vivere per raccontarla, la vita; se mi è concesso infine parafrasare Marquez. La vita o ciò che ne rimane in questi anni e giorni omologhi, immemori, distratti, ultimi, contigui alla fine del mondo.
Il cielo ha un colore plumbeo come le occhiaie dei negri, e la gente dovrebbe essere buttata su un letto a svuotare bottiglie e perdere la voglia di vivere. E infatti forse sta tutta là, con il sottofondo ronzante di ventilatori russi e la musica di un vicino che gracchia in lontananza – tutti hanno lo stesso vicino – malinconico e disperato. Chi è malinconico e disperato mette boleri, altrimenti che campa a fare? […] volume alto a contagiare ogni angolo di questi pomeriggi. Boleri e sole, l’accoppiata vincente.

Le ultime ceneri dell'Avana
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