Giacomo Leopardi è uno dei geni della storia europea e non solo. Rivisitarlo genera sempre sorprese, tanto più che negli anni scolastici lo si è visto soprattutto sotto la luce riduttiva del pessimismo, rimpianto della gioventù perduta e denuncia della "natura matrigna" contro cui coalizzarsi e resistere. Poco se si indaga il suo pensiero filosofico e politico, la sua natura profetica tipica dei grandi uomini che, osservando il presente, scoprono i prodromi, le tendenze del futuro.
Trovo in edicola un bel libro a lui dedicato, che ne traccia la filosofia, la passione civica e patriottica, mettendo in risalto la sua modernità. Leopardi il Poeta di Giovanni Damiano (Altaforte, pp. 95, 2022) colloca l’autore a fianco di giganti quali Nietzsche e Schopenhauer. Quest’ultimo aveva dichiarato di leggerlo "spesso con ammirazione".
Non troviamo Leopardi nei libri di filosofia delle scuole superiori, eppure il suo concetto del "nulla", dichiarato in alcune pagine dello Zibaldone quale substrato dell’esistenza, privo di consolazioni metafisiche tradizionali, andrebbe davvero approfondito:
“Il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla”.
Considero che il "vuoto", "sunyata" in sanscrito, è caposaldo del Buddhismo, corrente tanto cara a Schopenhauer e studio essenziale della fisica quantistica. Einstein ha dichiarato che il vuoto è vivo.
Il "nulla" leopardiano, afferma l’autore, non è mai cinismo, piuttosto è la controparte alla vitalità delle illusioni che, sebbene tali, non possono essere eliminate. Anche in una lettera a Pietro Giordani del 30 giugno 1820, il poeta scrive:
“Io non tengo le illusioni per mera vanità, ma per certe cose in certo modo sostanziali, […] naturali e ingenite essenzialmente in ciascheduno; e compongono tutta la nostra vita.”
È la contraddizione di cui tutti siamo intessuti, per, afferma Damiano, "far leva sulle illusioni senza "illudersi". [...] Nella comunità politica le illusioni funzionano in modo virtuoso". Ed è quanto Nietzsche, in modo affine, chiama "pensiero impuro":
"antagonista e nemico della logica scientifica […] affine alla logica della superstizione, ma anche a quella della poesia”.
Continua l’autore: “Ora, l’impurità del pensiero leopardiano sta nel rifiuto del sistema”. È rifiuto categorico della modernità.
Leopardi, pur non essendo affatto un reazionario come suo padre, è contrario all’ideologia della Rivoluzione Francese, che ha divinizzato la ragione.
Nei Pensieri, libro pubblicato postumo dall’amico Ranieri, nel finale parteggia e si commuove per i non omologati al pensiero dominante, sparuta schiera di pochi:
"bambini fino alla morte nell’uso del mondo, che non possono apprendere”.
È un pensiero felliniano.
Contrario in modo totale anche al Romanticismo, in quanto esaltazione del Medioevo, il poeta si vergogna del suo presente, dove “l’amore di questa patria” è “languido e pressoché spento”, "con gl’italiani che paiono finanche vergognarsi di essere compatriotti di Dante e del Petrarca e dell’Ariosto e dell’Alfieri e di Michelangelo e di Raffaello e del Canova”.
Amante quindi del Rinascimento, considerato la "Seconda Roma”, ha un lucido sguardo sulla fine dell’impero romano, condannato dal suo globalismo:
“Quando tutto il mondo fu cittadino romano, Roma non ebbe più cittadini; e quando cittadino romano fu lo stesso che cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo”.
In una delle Operette morali, la prima, Storia del genere umano, sembra parlare dei nostri giorni:
“Mancherà dalla vita umana ogni valore […] il nome stesso delle nazioni e delle patrie sarà spento […] Perciocché non si proponendo né patria da dover particolarmente amare, né strani da odiare, ciascheduno odierà tutti gli altri, amando solo, di tutto il suo genere, se medesimo.”
Contrario al cosmopolitismo e all’amore universale, considerato una menzogna, rivaluta Machiavelli quale "maestro di vita".
Spesso nelle sue pagine ricorre la parola odio. È una parola forte, ma credo che l’"eretico" e “antagonista” Giacomo si rifaccia all’antico Eraclito per il quale la guerra dei contrari è il motore del tutto.
L’amor di patria è appassionato, espresso in molte prose e nei suoi primi tre Canti: All’Italia (riportato per intero alla fine del libro), Sopra il monumento di Dante e Ad Angelo Mai.
Questo amore può essere riassunto in una sua frase emblematica:
“Senza amor nazionale non si dà virtù grande”.
"Filosofo dell’esperienza" e non delle vuote astrazioni, ancora per citare i Pensieri, egli vede il potere deleterio del denaro, definito ironicamente “sapienza economica”, prevede la massificazione della cultura, organizzata e appiattita su scala industriale.
Rileggerlo, ristudiarlo nell’epoca tormentata in cui viviamo, è un apporto indispensabile all’allargamento della coscienza. Per realizzare l’"illusione" da lui sognata, auspicata, della "Terza Roma". Oggi? Eppure... l’Italia ha potenzialità immense nella sua civiltà.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Leopardi il Poeta: in edicola il libro di Giovanni Damiano dedicato al poeta recanatese
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