Lettera alla madre di Salvatore Quasimodo, contenuta nella raccolta La vita non è un sogno (1949), è spesso stata definita un colloquio tra madre e figlio, ma è soprattutto una poesia sulla lontananza.
In questi versi Quasimodo condensa la propria autobiografia poetica nell’addio alla madre: è una poesia di esilio, di lontananza, di rimpianto, in cui convergono i temi del commiato e della mancanza. La mater dolcissima di Salvatore Quasimodo era Clotilde Ragusa, qui raffigurata ormai anziana ed eternamente in pena per quel figlio “fuggitivo” che aveva deciso di vivere da poeta e aveva salutato per sempre la terra del sole, la Sicilia, per guadagnarsi il pane lassù al Nord.
Oppresso dalla nostalgia, Quasimodo inaugura la propria “lettera poetica” con delle scuse, rammaricandosi di non poter consolare né mitigare la vecchiaia solitaria della madre. È il cruccio di tutti i figli lontani: i genitori che invecchiano senza saperlo in una terra che è sempre uguale, eppure non è mai la stessa. Lo scorrere del tempo si raccoglie nelle rughe dei vecchi come in una clessidra - e non c’è niente che possa fermarlo. Questo è il grande rammarico di Quasimodo che aggiunge drammaticità ai versi di Lettera alla madre, rendendo l’incipit in latino Mater dolcissima, simile a un requiem. Sua madre, Clotilde, sta andando verso la morte come tutti i vecchi che attendono e non si sa che cosa; e lui, suo figlio, si rammarica di essere per lei un rimpianto incuneato come un coltello nelle piaghe della vecchiaia.
Lettera alla madre è un dialogo che diventa preghiera, il canto di tutti i figli lontani che non possono essere di conforto alla vecchiaia dei genitori.
Scopriamone testo, analisi e commento.
“Lettera alla madre” di Salvatore Quasimodo: testo
Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
gli alberi si gonfiano d’acqua, bruciano di neve;
non sono triste nel Nord: non sono
in pace con me, ma non aspetto
perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani. Oggi sono io
che ti scrivo. - Finalmente, dirai, due parole
di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
di treni lenti che portavano mandorle e arance,
alla foce dell’Imera, il fiume pieno di gazze,
di sale, d’eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
questo voglio, dell’ironia che hai messo
sul mio labbro, mite come la tua.
Quel sorriso m’ha salvato da pianti e da dolori.
E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
per tutti quelli che come te aspettano,
e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
non toccare l’orologio in cucina che batte sopra il muro
tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater.
“Lettera alla madre” di Salvatore Quasimodo: analisi e commento
Nostalgia e rimpianto si mescolano nei versi di questa poesia componendo un canto struggente. Mater dolcissima, scrive Quasimodo adottando un latinismo comune nelle preghiere: è con questo vocativo che tradizionalmente ci si rivolge alla vergine Maria, colei che è anche Mater dolorosa, poiché molto patì per suo figlio Gesù. Il poeta crea in questo modo un parallelismo laico tra sua madre e la Madonna, madre di tutte le madri. Prima la rassicura sulla sua sorte, mentre descrive con solennità il grigio paesaggio del Nord, triste e lugubre come un’insidia; poi si scusa con lei, come in un vano tentativo di consolazione ritraendola come una martire, condannata a causa del suo culto per il figlio.
So che non stai bene, che vivi
come tutte le madri dei poeti, povera
e giusta nella misura d’amore
per i figli lontani
Il destino di Clotilde Ragusa è comune a quello di tutte le madri che hanno i propri figli lontani. Si delinea lentamente il ritratto di questa donna ormai anziana, sola, che vive in una grande casa nella soleggiata Sicilia angustiandosi per la sorte di quel figlio “poeta” che ha sempre avuto grilli per la testa e ora vive lontano da lei, inseguendo chissà quale chimera.
Al pensiero della madre anziana Quasimodo mescola il ricordo della propria infanzia e giovinezza. La donna è ormai diventata nume tutelare della casa, dove è custodita la memoria del suo passato: nessun altro nel mondo conserva così cara la testimonianza del sensibile bambino Salvatore, poi del ragazzo impulsivo che voleva divenire poeta.
L’autore ricorda sé stesso quando, appena diciottenne, dopo il diploma da geometra, fuggì di notte dalla natìa Sicilia con un mantello corto e alcune poesie in tasca. Nella narrazione autobiografica unisce i pensieri della madre, come se fosse lei a narrare la storia: “Povero figlio, così sensibile, me lo uccideranno presto in qualche modo”. La pena di Clotilde iniziò da quella partenza e non trovò mai pace.
Quasimodo rammenta il congedo dalla luminosa terra natale, di mandorle, fiori e arance, attraverso la partenza di quella notte a bordo di un treno merci nella stazione di Licata vicino alla foce del fiume Imera. Nell’offrirci il contesto della sua partenza, il poeta sottolinea il contrasto irreversibile tra la bella Sicilia e la grigia Milano, dove ora vive, come se si fosse condannato da sé a una vita di perenne inquietudine.
Si consola pensando di aver ereditato l’ironia di sua madre, la salda Clotilde, che in fondo gli ha sempre salvato la vita anche dinnanzi a tante ingiustizie.
Entriamo ora nella parte più straziante della poesia, quando Quasimodo riflette sulla vecchiaia della madre e, al pensiero di lei sola in perenne attesa in una casa vuota, gli scivola lenta una lacrima lungo il viso.
Nella conclusione il poeta rivolge una solenne invocazione alla Gentile Morte, cercando quasi di ingraziarsela in una forma di captatio benevolentiae per evitarle di compiere il suo fatale dovere. Ed è qui che la poesia si rivolge in preghiera, nella supplica alla morte - ora personificata, fatta persona - a “non toccare le mani, il cuore dei vecchi”, ovvero a non ucciderli e - cosa ancor più straziante - a non intaccare la loro capacità di agire (le mani) e la loro capacità di amare (il cuore).
Il figlio chiede alla morte “pietà”, che non provochi dolore alla madre, non la faccia soffrire nel momento inevitabile della dipartita.
Quasimodo si sofferma sulla figura dell’orologio che assume un valore simbolico importante facendosi correlativo oggettivo del tempo che scorre. Sulle lancette di quel grande orologio in cucina, osserva il poeta, è trascorsa la sua infanzia: un’età allietata dalle cure costanti e dalle premure di mamma Clotilde che ora vive la sua vecchiaia in solitudine, senza la consolazione di quel figlio tanto amato. Le due età opposte della vita - infanzia e vecchiaia - rivelano qui il proprio punto di giuntura nel bisogno di accudimento. L’orologio che scandisce le ore è sempre lo stesso e procede nel suo ticchettio inesorabile, portando la vita, portando la morte. Il finale ha il sentore angoscioso di un addio definitivo: la poesia Lettera alla madre si conclude con un’epifora ripetendo la medesima espressione iniziale ma con uno strazio rinnovato e amplificato dal congedo che si presagisce ormai senza ritorno Mater dolcissima.
“Lettera alla madre” di Salvatore Quasimodo: figure retoriche
Lettera alla madre, scritta nel 1949, è una composizione in versi liberi. Scopriamo le figure retoriche inserite nel testo:
- Apostrofe: la poesia inizia con un’invocazione, “mater dolcissima”, che è amplificata dall’uso del latino e del vocativo. Nel finale la medesima espressione viene ripetuta creando di fatto un’epifora.
- Perifrasi: la frase molti mi devono lacrime è una perifrasi utilizzata per indicare coloro che dovrebbero chiedere perdono al poeta per il dolore che gli hanno inflitto.
- Personificazione: la morte viene personificata nella poesia, il poeta le si rivolge in un’accorata supplica.
- Ossimoro: gentile morte è una sorta di ossimoro e una tecnica di captatio benevolentiae per ingraziarsi la fatale nemica.
- Epifora: nella conclusione viene ripresa l’espressione iniziale ma con una leggera variazione nell’ordine dei termini: dolcissima mater.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Lettera alla madre” di Salvatore Quasimodo: la poesia per la mater dolcissima
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