Lindbergh, il viaggiatore errante del cielo. Nella realtà l’aviatore statunitense Charles Lindbergh è stato il primo uomo ad aver attraversato l’Atlantico in solitaria nel 1927 a bordo del suo velivolo Spirit of St. Louis; nella poesia il suo viaggio si trasfigura divenendo metafora della condizione umana, come nella splendida canzone di Fossati a lui dedicata. Lindbergh è uno dei brani più belli e intensi della musica leggera italiana, degno di essere letto come poesia.
Nel “folle volo” di Charles Lindbergh, denominato dai suoi contemporanei come il “trasvolatore pazzo”, Ivano Fossati coglie lo stesso ardore inquieto delle anime artistiche, sognatrici e solitarie, ovvero “i pesci con le ali” che non stanno a loro agio in nessun posto, né in cielo né in mare né in terra, poiché sono divorati dalla perenne ricerca dell’altrove. Il volo di Lindbergh che si spinge sino alla volta celeste per poter “annusare le stelle”, racchiude in sé il volo pindarico tipico delle persone che tendono a proiettarsi in mondi irreali, dai tratti metafisici.
Nel Lindbergh cantato da Fossati troviamo in potenza il labirinto dei mondi possibili di Borges, l’inquietudine di Pessoa, ma anche Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupèry.
Il firmamento stellato diventa mappa dell’universo e della mente, come nel celebre libro di Exupèry, che infatti, abituato da aviatore ad abitare i cieli, scriveva:
Di notte, guarderai le stelle. La mia stella per te sarà una delle stelle. Allora amerai guardarle tutte.
La stella di Lindbergh brilla alta da qualche parte, forse non nel “cielo vuoto” che lui stesso, con grande disillusione, aveva scoperto. L’impresa senza eguali di Charles Lindbergh, dopotutto, ci ha insegnato a sognare: l’aviatore americano, dopo oltre trentaquattro ore di volo ininterrotto, era giunto alla sua meta nello stupore generale e attonito del mondo intero, di chi ancora non poteva crederci. Nella canzone di Fossati tuttavia l’aviatore non è l’emblema dell’eroe vittorioso, ma dell’uomo deciso ad attraversare la strada della vita inseguendo i propri ideali (“la voglio fare tutta questa strada”) sino all’inevitabile finale (“sino al punto esatto in cui si spegne”).
In quel piccolo uomo, smarrito da qualche parte nel cielo buio a bordo di un precario velivolo fatto di tela e legno, possiamo riconoscerci tutti. Nella sua figura c’è tutta la fragilità e, al contempo, tutta la forza della condizione umana capace di vivere e resistere persino nel buio della notte più nera.
Il brano Lindbergh è tratto dall’album Lindbergh. Lettere sotto la pioggia del 1992, che usciva proprio nello stesso anno de Le nuvole di Fabrizio De André e in qualche maniera appare ad esso collegato, perché entrambi i cantautori interrogavano a loro modo il cielo in cerca di risposte, erano entrambi “viaggiatori del cielo” stranieri a sé stessi, anime di “pesci con le ali”, proprio come Lindbergh.
“Lindbergh”, la canzone di Ivano Fossati: testo
Non sono che il contabile dell’ombra di me stesso
Se mi vedete qui a volare
È che so staccarmi da terra e alzarmi in volo
Come voialtri stare su un piede solo.
Difficile non è partire contro il vento
Ma casomai senza un saluto.
Non sono che l’anima di un pesce con le ali
Volato via dal mare per annusare le stelle
Difficile non è nuotare contro la corrente
Ma salire nel cielo e non trovarci niente.
Dal mio piccolo aereo di stelle io ne vedo
Seguo i loro segnali e mostro le mie insegne
La voglio fare tutta questa strada
Fino al punto esatto in cui si spegne
La voglio fare tutta questa strada
Fino al punto esatto in cui si spegne.
Lindbergh di Ivano Fossati: la canzone
“Lindbergh” di Ivano Fossati: significato
Già l’incipit della canzone di Fossati è una poesia: “Non sono che il contabile dell’ombra di me stesso”, così si presenta Lindbergh, mettendo in evidenza non la sua veste di eroe, non le sue medaglie né tantomeno la grandezza della sua impresa, ma tutta la sua vulnerabilità. Sembra farsi un esame di coscienza, lassù nell’alto dei cieli, e ammettere d’un tratto di sentirsi fragile, irrisolto, contraddittorio persino nelle sue aspirazioni e nei suoi desideri.
Poi inizia a raccontare il proprio mestiere di aviatore descrivendolo come una condizione naturale, innata:
È che so staccarmi da terra e alzarmi in volo
Come voialtri stare su un piede solo.
A ben vedere la condizione di Lindbergh è la stessa dei sognatori, degli artisti, dei poeti, di coloro che riescono a contemplare una realtà altra, un “altrove” che gli altri non vedono. Un’attitudine che rappresenta anche una condanna. In questo brano breve, lirico e intenso Fossati dà conto dell’uomo che viaggia in direzione ostinata e contraria - come cantava De André - senza seguire le leggi del branco e che non trova conforto nemmeno nel pensiero di Dio o di un ipotetico al di là, perché “il cielo è vuoto”, ci dice Fossati e il suo protagonista lo raggiunge smarrito scoprendo di non trovarci “niente”.
Il finale ci commuove perché sappiamo che l’aviatore-uomo sta andando incontro alla morte, nei versi ripetuti due volte “fino al punto esatto in cui si spegne” si concretizza il presagio della fine, del buio eterno, del nulla.
In questa conclusione tragica, fatale, ma al contempo dolce poiché ci consola la certezza di aver vissuto e di aver visto le stelle e i loro segnali, è tradotto il destino di ogni essere mortale.
Ivano Fossati canta Lindbergh in un sussurro, come se ci stesse facendo sentire i pensieri che si susseguono senza tregua nella mente dell’aviatore in quella notte buia in bilico tra trionfo e fallimento, tra morte e vita. Dalla metà in poi tuttavia il tono si alza sensibilmente, come se Lindbergh stesso volesse rivendicare, in un sopraggiunto moto d’orgoglio, il proprio coraggio e i propri ideali.
“Difficile non è volare contro il vento” e ancora “Difficile non è nuotare contro la corrente”, ci insegna Lindbergh/Fossati, in direzione ostinata e contraria, ma è più terribile la nostalgia e il rimpianto di un saluto, di un amore non corrisposto, di un mancato addio. Attraverso l’opposizione semantica apparentemente conflittuale (si vede ad esempio nuotare/corrente) Fossati vuole offrire un’interpretazione tra l’inconciliabilità tra due mondi, da intendersi anche in senso platonico: il Mondo delle Idee a cui aspira l’aviatore-sognatore e il Mondo sensibile dove vivono tutti gli altri uomini. L’inconciliabilità raggiunge il suo culmine nella rivelazione dell’essere metamorfico dell’uomo:
Non sono che l’anima di un pesce con le ali
Volato via dal mare per annusare le stelle
L’anima ha le sembianze di un essere che non esiste, di un animale quasi leggendario. In questa rivelazione è contenuta la profonda analisi introspettiva che Fossati affida al brano; il suo protagonista si riconosce estraneo a sé stesso ed estraneo al mondo, una buffa creatura che invano cerca di trovare il proprio posto, ma sente di non appartenere a nessun luogo e a nessun elemento. Deve essere una condizione comune a molti artisti e a tutti coloro che hanno avuto l’ardire di realizzare un’impresa senza precedenti, di spingersi oltre le Colonne d’Ercole del mondo conosciuto, proprio come Charles Lindbergh.
Eppure, mentre compie la sua traversata eroica, l’uomo rivela tutta la propria debolezza, afferma ciò che lo tiene immancabilmente ancorato alla terra nonostante la sua aspirazione al cielo.
Ascoltando questo brano struggente non possiamo fare a meno di pensare che siamo tutti Lindbergh nel folle viaggio della vita.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Lindbergh”, la canzone di Fossati dedicata all’aviatore Charles Lindbergh
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