Lorenzo, Poliziano, Sannazaro, nonché Poggio e Pontano
- Autore: Francesco Tateo
Francesco Tateo ci consegna un’immagine straordinaria del panorama della cultura letteraria del secolo XV, che fondamentalmente è l’età di Lorenzo, Poliziano, Sannazaro, nonché Poggio e Pontano. Questo volume, ambizioso anche nel formato, ha innanzitutto il pregio di offrire pagine dense e illuminanti di due degli assi portanti della cultura quattrocentesca italiana, vale a dire l’asse fiorentino di Lorenzo, Poliziano e Poggio e quello napoletano, riconoscibile nelle vivaci esperienze intellettuali di Sannazaro e Pontano, magistralmente introdotti e profilati da Tateo e dalla significativa lettura realizzata da Davide Canfora, su due testi di grande significato, etico-politico nel caso del dialogo sferzante Contra Hypocritas di Poggio Bracciolini e umanistico – anche se sotto l’indiscutibile azione della cultura cristiana – nel caso del De partu Virginis di Iacopo Sannazaro. La necessità, avvertita fin dall’età comunale, di far rivivere gli antichi caduti nell’oblio, liberandoli dagli ‘ergastoli’ – per dirla con il Bracciolini – della media aetas collima proprio con il bisogno di riformare radicalmente la stessa natura comunale della città, della civitas che dal ’300 si organizza in città-stato e vuole, con piena coscienza politica, in quanto respublica, misurarsi con Roma, «che strappava la campagna, retroterra lavorativo degli eletti ozi cittadini, alla prospettiva feudale, trasformandola nel corrispettivo ludico del lavoro cittadino» (p. III). E se ancor prima della nascita delle póleis, la ‘parola scritta’ si evidenzia per la sua capacità di cementare i principi della civile convivenza, nell’età dell’Umanesimo come non mai, il revival degli antichi alimenta non solo il mito della civitas, ma fa sì che gli Umanisti rintraccino «negli stessi antichi i modelli della celebrazione letteraria nei generi loro trasmessi ed ora in gran parte recuperati». Il mito dell’Antichità, pertanto, è tutto risolto nei termini di «imitazione» e «innovazione». A giocare un ruolo di primissimo piano è proprio la lingua latina che, confusa la sua funzione per aver «accompagnato la civiltà occidentale attraverso le trasformazioni politiche, sociali e spirituali dei secoli passati», si avviava ad un’impegnata «avventura finalizzata alla scoperta e alla ricreazione di un mondo perduto». E le radici assolute della scrittura, dei suoi caratteri e delle sue attribuzioni non potevano che essere riconosciute nelle auctoritates di Virgilio e di Cicerone. Ebbene, Tateo mette in rilievo lucidamente il concetto che la «vera nascita […] non può essere che una rinascita, la vera creazione non può essere che una ricreazione. I momenti di assoluta originalità sono inconcepibili come, sul piano della storia civile, la fondazione di una città è sempre avvolta in un alone mitico e non è che la proiezione leggendaria della sua storica rifondazione; così sul piano della lingua, l’altra istituzione che accompagna la nostra storia, è impensabile attingere il momento dell’origine – sia che ci si riferisca al linguaggio come mezzo di comunicazione, sia che ci si riferisca alle lingue storicamente determinate» (p. IV). Il volume offre la certezza assoluta del rigore filologico e storico oltre che di una lettura ben condotta sui testi, qui in versione integrale, garanzia di una rilettura del passato attraverso la finezza della modernità.
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