Salvatore Salomone-Marino è innanzitutto noto come autore del volume Costumi e usanze dei contadini di Sicilia (Palermo, 1897).
Nostalgico del buon tempo antico scriveva:
Io prediligo i contadini perché formano essi la parte più eletta del popolo, la più ingenua, la più sana, la più laboriosa, la più onesta. Non giunti ancora, o sfiorati appena dall’influsso modificatore della civiltà sono rozzi, sono superstiziosi, gli è vero: ma, non attossicati peranco dall’alito corruttore che logora oggi le viscere delle plebi cittadine, conservano costantemente inalterato il patrimonio de’ costumi e delle tradizioni degli avi.
Dal 1869 al 188 diresse, insieme a Giuseppe Pitrè, le Nuove effemeridi siciliane. Coltivò l’interesse per i canti popolari a carattere storico, ma a dargli molta notorietà fu il poema La Baronessa di Carini. Leggenda storica popolare del secolo XVI in poesia siciliana, pubblicato nel 1870. Salvatore Salomone-Marino svolse la sua attività anche nel campo della novellistica e condivise col Pitrè la faticosa passione delle fiabe, raccogliendo a Borgetto e a Partinico, comuni della provincia di Palermo, novelle e aneddoti da lui stesso pubblicati nel 1884.
Nel secondo volume dell’opera di Giuseppe Pitrè Fiabe Novelle e racconti del popolo siciliano (1875) si legge il suo racconto Lu Pisci russu, narratogli a Borgetto da Francesca Leto.
Breve la narrazione, ma incisivamente rappresentativa della “mala sorte” che infine si muta in buona fortuna.
Scopriamone analisi e commento.
Lu pisci russu: un’analisi del racconto di Salvatore Salomone-Marino
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Al solito, l’incipit è realistico: narra di un pescatore, già avanti negli anni e con una famiglia numerosa sulle spalle. Egli stesso quasi figlio della mala fortuna (“figghiu di la mala furtuna”), alla quale un giorno, di sicuro tra i più neri della sua vita (i bambini piangevano per la fame e la moglie era a letto ammalata), in riva al mare si rivolge con parole disperate, mettendosi a imprecare:
- Oh, fortuna maledetta, che mi passi sempre per traverso e mi hai tolto la vita e ora a poco a poco, molliche dopo molliche, mi stai facendo il cuore a pezzi (O furtuna mmaliditta, ca mi vai sempri a travirsari, ca m’hai livatu la vita, ed ora mi stai sminuzzannu lu cori muddichi muddicchi).
E ancora:
Oh, fortuna maledetta, raccoglimi nel fondo di questo mare! E si getta a capo in giù nell’acqua (E ttùffiti, si ittau a testa appuzzuni ‘ntra l’acqua).
L’intervento magico è dato da un pesce rosso: lo mette in salvo e gli assicura che la fortuna sarà con lui:
“Sappine approfittare, e tutte le ricchezze che ha questo mare saranno tue.” (sattìnni prufittari, e di quantu ricchizzi havi lu mari su’ tutti toi).
Ecco poi la metamorfosi: da pesce qual era si trasforma in un splendida ragazza (’na bedda giuvina, un àncilu cu li capiddi d’oru): era una Sirena del mare che lo istruisce sul comportamento da tenere.
- Ascoltami, pescatore: se vuoi le ricchezze che ti ho detto, devi venire qui ogni mattina all’alba, devi portare le canne da pesca e le reti, e poi chiamarmi dicendo per tre volte:
“O Sirena di lu mari,
portami pisci rari,
ca eu vegnu di matinu
Pri piscari di continu.”
(o Sirena dei mari,
portami pesci rari,
ed io vengo di mattino,
per pescare di continuo.)
In meno che non si dica, la giovane si muta nuovamente in pesce rosso, attuffandosi in un subito:
La Sirena turnau pisci russu e si sammuzzau ‘ntra un fallanti.
Il pescatore, non riuscendosi a capacitare dell’accaduto, in modo sollecito e scrupoloso esegue ciò che gli era stato detto:
Accussì ogni matina, prima d’arrispigghiarisi l’acidduzzi, iddu era a lu ascògghiu” (Così ogni mattina, prima di risvegliarsi gli uccellini, lui era allo scoglio).
Recatosi dunque a pescare, chiama per tre volte la sua sirena, e lei in forma di pesce rosso gli porta i pesci più reali e magnifici.
Gli occhi del marinaio rimangono abbacinati: entro un poco tempo si carica i migliori pesci che c’erano e li vende ricavando un tesoro ( e ‘ntra un nenti si carricau di li megghiu pisci chi cci sianu, ca li vinnìu un tisoru). Dopo tanti anni di andare e tornare in questo modo, senza cessare mai, il povero marinaio diventa il più ricco di terre, palazzi e denari proprio come nessuno ne aveva mai avuto da quelle parti: Chi mai cci avía statu a chiddi parti.
Deliziosa la chiusura del racconto:
“Arristau filici e cuntenti, / e nui ccà senza nenti”. (Rimase felice e contento, / e noi qui senza niente).
Il modello culturale delle cosiddette classi subalterne è chiaro; buona parte delle novelle mettono in risalto il fiabesco come mezzo di compensazione della povertà: la magia non è avulsa da una realtà concreta, dominata dalle vicende sventurate dei personaggi che hanno modo di soddisfare le esigenze della vita familiare, nutrita di stabili affetti.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Lu pisci russu”: analisi e commento del racconto popolare siciliano
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