Luigi Pulci, dettaglio da un affresco di Filippino Lippi nella Cappella Brancacci (Firenze)
L’11 Novembre del 1484 si spegneva a Padova Luigi Pulci, poeta colto e raffinato, nonché intellettuale di spicco dell’Italia quattrocentesca. Sebbene sia considerato un minore, bisogna ammettere che la cultura quattrocentesca italiana, nonché l’arte e la poetica, non sarebbero state le stesse senza Luigi Pulci. Pulci appartenne alla ristretta cerchia di Lorenzo il Magnifico, del quale fu molto amico. Fiorentino di nobile casato, all’interno del prestigioso entourage del Magnifico, per un lungo periodo, godette di grande stima e affetto, per l’indole allegra e bizzarra oltre che per la capacità di verseggiare.
Le medesime qualità caratteriali si riscontrano, veicolate attraverso giochi di parole, fantasia sfrenata e immagini dal forte impatto visivo, nel suo capolavoro, il Morgante, uno dei poemi più originali ed eccentrici del nostro Umanesimo.
A cinquecentoquaranta anni esatti dalla morte di Luigi Pulci, ripercorriamone la vita e i fondamenti della poetica.
Luigi Pulci: la vita
Luigi Pulci nacque a Firenze il 15 Agosto del 1432 da un’antica e nobile famiglia in cui l’esercizio letterario era pane quotidiano.
Anche i fratelli Luca e Bernardo furono poeti: il primo compose il Ciriffo Calvaneo, il secondo fu autore di rappresentazioni sacre.
Tuttavia i Pulci, ormai da tempo, vivevano solo dell’esigua rendita derivante da alcune proprietà agricole, pertanto le ristrettezze economiche resero a volte difficile l’infanzia e la giovinezza dei rampolli.
La svolta arrivò con la frequentazione di Palazzo Medici, che portò ad una stretta e sincera amicizia fra Luigi e Lorenzo, futuro signore della città, nonché ineguagliabile mecenate.
Per anni il giovane Pulci fu uno dei pilastri dell’allegra combriccola del Magnifico, dove spiccava per simpatia, giocosità e una certa bizzarria caratteriale.
Nel 1473, col favore del potente sodale e protettore, Luigi sposò Lucrezia degli Albizzi.
Tuttavia subito dopo la situazione cominciò a mutare profondamente e la sua influenza al’interno del gruppo a diventare sempre più fievole.
Nuove e arrembanti personalità, tra cui Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, finirono per scalzarlo dal posto d’onore che aveva a lungo ricoperto.
A creare il dissidio, in particolare, furono le posizioni e le curiosità eterodosse di Pulci in materia di fede, che mal si sposavano con la crescente pietà religiosa che si faceva strada nell’ambito del circolo letterario.
In particolare, l’accesa disputa sorta con Ficino a proposito dell’immortalità dell’anima, spinse il de’ Medici ad emarginare sempre di più l’amico poeta.
A quest’ultimo non restò altro da fare che lasciare Firenze per mettersi al servizio del capitano di ventura Roberto Sanseverino, che affiancò in vari viaggi.
L’11 Novembre del 1484, mentre accompagnava il condottiero a Venezia, Pulci venne colto da "febbri" e morì a Padova.
Le accuse di magia, eresia ed empietà gli costarono una sepoltura in terra sconsacrata, fuori dalle mura della chiesa di San Tommaso Apostolo.
Morgante: trama, tematiche, lingua e stile del capolavoro di Pulci
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Intorno al 1461, su suggerimento della madre del Magnifico Lucrezia Tornabuoni, alla quale lo legava un rapporto di intima confidenza, Luigi Pulci iniziò la stesura del Morgante, un corposo poema in ottave di argomento cavalleresco che derivava il titolo dal nome dell’omonimo gigante.
L’idea era quella di conferire dignità all’Orlando, un noto cantare popolaresco di soggetto carolingio che veniva spesso intonato dai cantastorie nelle pubbliche piazze e vie.
Attingere alla poesia popolare per elevarla di livello era di moda presso la corte medicea in quel periodo, ma Pulci, a differenza del Poliziano e dello stesso Magnifico, si distinse invece per la fedele adesione ai suoi schemi liberi e non convenzionali, poiché gli davano la possibilità di esprimere al massimo il suo estro mutevole.
Se è vero, infatti, che l’autore ricalca in gran parte la struttura originale del modello di riferimento, sebbene declinandola nel suo stile personalissimo e inconfondibile, la trovata geniale del Morgante sta nella creazione e nell’inserimento di vicende e personaggi nuovi talmente ben definiti da essere sufficienti, da soli, a rendere più che meritata la fama imperitura del loro ideatore.
Da secoli, solo per citare gli esempi più conosciuti, il furfante Margutte e il diavolo sapiente Astarotte, mantengono inalterata la loro iconicità.
La genesi del Morgante, le diverse edizioni e il Morgante Maggiore
La genesi del Morgante fu piuttosto lunga e laboriosa.
La prima edizione in 23 cantari uscita nel 1478 non ci è pervenuta, ma ne abbiamo due del 1482.
Risale al 1483 l’ultima e definitiva edizione, detta Morgante Maggiore in quanto ampliata fino a 28 cantari.
I cinque cantari aggiuntivi si ispirano ad un altro poema carolingio, la Spagna in rima, e sono imperniati sulla rotta di Roncisvalle e sulla morte di Orlando.
Vi si riscontra un impianto narrativo mutato rispetto ai passi precedenti, con una più evidente organicità, una presenza più marcata di spunti eruditi e un afflato epico-religioso prima assente.
Non è da escludere che la scelta fosse dovuta alla volontà di Pulci di immergersi nel clima "platonico" che aveva investito la corte medicea, pertanto alla volontà di gareggiare con gli amici e rivali artisti affrontandoli sullo stesso piano.
Morgante: trama e personaggi
I fatti narrati nel Morgante sono ripresi dalle leggende carolinge tanto conosciute e apprezzate in italia.
Il protagonista Orlando, bersaglio degli intrighi orditi da Gano di Maganza, decide di lasciare Parigi e l’ormai vecchio e un po’ rincitrullito re Carlo per cercare nuove e stimolanti avventure in Pagania.
Quando tre giganti minacciano la tranquillità di un convento, l’uomo ne uccide due ma il terzo, Morgante, si converte al Cristianesimo e, armato di un battaglio di campana, decide di seguirlo fedelmente nel suo viaggio.
Nel frattempo in Francia le losche trame di Gano convincono anche Rinaldo, Ulivieri e Dudone ad abbandonare la corte.
Segue la vivace cronaca degli amori, delle battaglie e delle mille avventure in cui i suddetti personaggi vengono coinvolti nelle lontane terre dell’Asia e dell’Africa.
Su tutte spiccano le imprese di Morgante e del mezzo gigante Margutte, entrambi destinati ad una fine tanto tragica quanto grottesca: il primo, dopo aver affrontato e brillantemente superato incredibili traversie muore per il morso di un piccolo granchio, il secondo invece, muore dal ridere nel guardare una scimmia indossare i suoi stivali.
Gano intanto, non smette di creare ogni sorta di difficoltà ai paladini e per accrescere il proprio potere si allea con il re moro Marsilio.
Di fronte alla minaccia saracena che incombe sul Paese d’Oltralpe, Orlando non esita ad accorrere in aiuto di re Carlo, ma perde la vita nell’agguato tesogli a Roncisvalle.
Sotto false sembianze, il diavolo Astarotte esorta Rinaldo ad intervenire.
Alla fine Gano, catturato, non si salva dal meritato supplizio e il poema può chiudersi con l’apoteosi di Carlo Magno.
Morgante: analisi e principali caratteristiche dell’opera
Alla corte dei Medici era prassi consolidata declamare i poemi davanti ad un pubblico e il Morgante, che non faceva eccezione, ha in sé i tipici caratteri delle opere destinate ad essere ascoltate piuttosto che lette.
La sua estrema disomogeneità balza agli occhi immediatamente: gli episodi descritti si susseguono senza un ordine preciso, affastellandosi senza apparenti legami l’uno con l’altro, come disposti a casaccio all’interno di una struttura narrativa volutamente arruffata e disorganica.
I personaggi sono stereotipati e senza alcuna traccia di approfondimento psicologico ed introspettivo: semplicemente ai paladini forti e coraggiosi si contrappongono i cattivi pagani.
Le fisionomie, inoltre, possono cambiare improvvisamente, senza motivazione effettiva, in maniera del tutto incoerente.
Se a ciò aggiungiamo il gusto per le scenette realistiche, il riferimento a novelle e proverbi, nonché gli interventi arguti e canzonatori della voce narrante, ecco che il poema si inscrive a pieno titolo nella tradizione borghesemente popolare e dialettale toscana, però non si ferma qui.
L’opera, infatti, rispecchia pienamente la personalità esuberante dell’autore, che nella materia cavalleresca trova terreno fertile per sbrigliare al massimo l’immaginazione e dare libero sfogo ai propri capricci umorali.
Per questo il Morgante assume toni diversi di passaggio in passaggio, toccando tutte le note espressive possibili, dal buffonesco all’eroico, dal risibile al patetico, senza tralasciare quei sapienti e ingegnosi tocchi favolistici che ne fanno un’avventura ben congegnata e mai scontata.
Mutevole come un caleidoscopio, il capolavoro pulciano si rivela imprevedibile se non, a tratti, del tutto inafferrabile.
Un’intelaiatura speculare al temperamento dell’autore, che considerava la vita "uno zibaldone mescolato di dolce e d’amaro e mille sapori varii", senza per questo mancare di serietà e capacità riflessiva, che pure si riscontrano, seppur in minor misura, nei suoi versi.
Morgante: la lingua e lo stile dell’opera di Luigi Pulci
La lingua e lo stile non possono che adeguarsi alla varietà strutturale e tematica del Morgante.
Per evidenziare l’aspetto ironico dei personaggi, l’opera si costituisce di un calderone di parole in cui gli ingredienti si mescolano realizzando un linguaggio composito fatto anche di sperimentazioni, innesti e innovazioni decisamente interessanti (numerosi i neologismi).
Con esito felicissimo, sulla base del toscano parlato e dialettale, di cui utilizza abbondantemente i termini più coloriti, Pulci inserisce un gergo all’avanguardia che mescola vocaboli scientifici, filosofici e letterari al latino e a detti provenienti dallo slang plebeo e furbesco.
Domina il gusto della deformazione: il piacere dell’eccesso e dello scherno burlone, della provocazione e del ribaltamento del serio in faceto, pongono la lingua e lo stile del Morgante esattamente agli antipodi del petrarchismo, collocandolo in una sfera letteraria che, mixando abilmente tradizione e novità, gli conferisce spunti di originalità ed anticonformismo che raramente è possibile riscontrare nei testi ad esso contemporanei.
Le opere minori di Luigi Pulci
Come il Morgante, anche le opere minori di Luigi Pulci seguono la scia del burlesco e della giocosità.
Menzioniamo:
- Beca da Dicomano, una parodia rusticale scritta in risposta alla Nencia da Barberino di Lorenzo il Magnifico, dove, in riferimento al villano, spiccano registri contenutistici e linguistici accentuatamente grossolani
- Giostra, poemetto in ottave somigliante, ma meno riuscito, alle Stanze del Poliziano. Realizzato nel 1469, celebra la vittoria del Magnifico ad una giostra d’armi
- sonetti giocosi e burleschi
- completamento del poema cavalleresco Ciriffo Calvaneo, lasciato incompiuto dal fratello Luca
- Confessione alla Vergine Maria, in terza rima, dove fa ammenda per i propri errori
- Epistolario, un documento di valore fondamentale per comprenderne a fondo la personalità improntata alla leggerezza e all’umorismo schietto e mordace, e per ricostruire il rapporto di amicizia che lo legò al Magnifico e agli altri artisti della cerchia gravitante attorno a Palazzo Medici.
- Importantissime, infine, le quattro epistole in latino nelle quali si addentra in una disquisizione filosofica sull’immortalità dell’anima in aperto contrasto con Ficino.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Luigi Pulci: vita, opere e poetica dell’autore del Morgante
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