L’8 maggio 1880 si spegneva improvvisamente lo scrittore francese Gustave Flaubert, oggi ricordato in particolare per i suoi capolavori L’educazione sentimentale (1869) e Madame Bovary (1856). Quest’ultimo romanzo fu al centro del processo più “letterario” della storia giuridica, svoltosi nel gennaio del 1857.
Spesso di quella diatriba giudiziaria si ricorda soprattutto la conclusione e l’epica frase su cui fu impostata la strategia di difesa che oggi regna sovrana nei manuali di letteratura e critica letteraria segnando, di fatto, l’avvento di una nuova postura autoriale:
Madame Bovary c’est moi
Gustave Flaubert fu accusato di oltraggio alla moralità pubblica e religiosa e al buoncostume, si riteneva che la sua narrazione e, soprattutto, il personaggio da lui creato, Emma Bovary, conducessero il pubblico femminile alla devianza e all’adulterio.
Un’opera “scandalosa” così fu definita dal procuratore imperiale Félix Cordoën che trascinò sia lo scrittore, Gustave Flaubert in persona, che il tipografo della rivista Revue de Paris, Pillet, che l’editore, Laurent Pichat, in tribunale sul banco degli imputati.
All’epoca infatti a tipografi ed editori veniva attribuita la medesima responsabilità dell’autore in quanto potevano legittimamente rifiutarsi di pubblicare l’opera, oppure censurare un contenuto ritenuto osceno o sconveniente.
Il processo si concluse il 7 febbraio 1857 con l’assoluzione dell’autore, cui furono inoltre rimborsate le spese processuali. Ma cosa accadde davvero in quell’aula di tribunale?
Scopriamo le opposte strategie di accusa e difesa, ma soprattutto il significato di quella frase-manifesto Madame Bovary c’est moi che per la prima volta portò la riflessione narratologica all’interno di un verdetto.
Il processo a Gustave Flaubert: la storia vera di Madame Bovary
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Forse non tutti sanno che Madame Bovary fu ispirato a una storia vera. Nel settembre del 1849 Flaubert chiamò nella sua dimora di famiglia di Croisset alcuni amici, Maxime Du Camp e Louis Bouilhet, per mostrare loro la prima stesura di un manoscritto che stava scrivendo e ricevere un parere.
Il giudizio fu impietoso: i due dissero a Flaubert che il suo testo sconfinava in un “eccessivo lirismo” e forse sarebbe stato meglio per lui interessarsi a dei fatti più concreti e contemporanei. Fu proprio Bouilhet a proporre allo scrittore di approfondire un fatto di cronaca recente avvenuto nella provincia di Ry, in Normandia, che aveva visto coinvolto un medico di nome Eugène Delamare.
Questo Delamare, gli disse Bouilhet, dopo essere rimasto vedovo in prime nozze sposò una certa Delphine Couturier, figlia di contadini normanni benestanti. La giovane donna, dopo aver dato alla luce una bambina di nome Alice, iniziò a inanellare una serie di relazioni clandestine. Il suo primo amante fu un certo Luis Campion Road che tuttavia la abbandonò proprio mentre lei cercava di convincerlo a fuggire all’estero per poter vivere appieno il loro amore. Delphine leggeva molti libri e dilapidava il patrimonio del marito che, resosi conto della sua depressione, tentò invano di aiutarla. Dopo aver intrecciato altre due relazioni destinate all’insuccesso, Delphine Delamare si avvelenò nel marzo 1848 e, nonostante il marito Eugène cercasse invano un antidoto per salvarla, la donna morì pochi giorni dopo in seguito a una lenta agonia.
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La tragica vicenda di Veronique Delphine Couturier - questo il nome da nubile della donna - ispirò a Flaubert la sua Madame Bovary. La stesura del manoscritto tuttavia fu lunga e travagliata, durò in tutto cinque anni.
Il romanzo fu pubblicato dapprima a puntate sulla rivista Revue de Paris fra il primo ottobre e il quindici dicembre del 1856.
La censura a Madame Bovary
Alcune avvisaglie del processo imminente furono date già dopo la pubblicazione dei primi capitoli del libro. La censura colpì l’autore e la rivista, intimando dei tagli e delle epurazioni della storia. La Revue de Paris fu costretta a censurare alcune scene, ritenute scabrose o dall’atmosfera troppo erotica. Flaubert, contrariato, fece pubblicare una nota il 15 dicembre 1856 in cui discuteva apertamente delle “mutilazioni” alla storia. Le rimostranze dell’autore ebbero l’effetto immediato di attirare l’attenzione della Sûreté publique che, in tutta risposta, segnalò la vicenda al procuratore imperiale Félix Cordoën. Dopo aver letto alcuni estratti del romanzo di Flaubert, Cordoën - religioso fino al midollo, convinto che la religione dovesse “regnare sovrana nelle anime” - decise di agire: l’opera di Flaubert doveva essere perseguita.
Il processo a Gustave Flaubert
La Francia del tempo giudicò intollerabile che un uomo irreprensibile e di buona famiglia come Gustave Flaubert venisse posto sullo stesso banco d’accusa dei mascalzoni e dei delinquenti.
Al processo, in difesa dello scrittore, parteciparono anche il principe Napoleone III e la principessa de Beauvau (leggenda narra che quest’ultima fosse l’amante di Pichat, il direttore della Revue de Paris, Ndr).
Flaubert, il tipografo Pillet e Laurent Pichat furono perseguiti per violazione dell’articolo 8 della legge del 17 maggio 1819 che sanzionava “qualsiasi oltraggio alla morale pubblica e religiosa”. A sovrintendere l’udienza era il giudice Treilhard.
All’accusa c’era l’avvocato Ernest Pinard che, agguerrito, ribadì più volte nel corso delle udienze il “colore lussurioso” del romanzo di Flaubert. L’adulterio compiuto dalla protagonista era, secondo Pinard, “un’offesa all’arte e al pudore”. L’epilogo che conduceva la donna al suicidio poi venne giudicato “un oltraggio alla morale cristiana”. Pinard si rivolse alla giuria decretando come unico e solo responsabile lo scrittore Gustave Flaubert sul cui capo invocò la pena “più severa” stabilita dal tribunale.
La difesa di Gustave Flaubert
La difesa dello scrittore francese invece si basava sul messaggio etico dato dal romanzo. Madame Bovary infatti nel finale si suicida, espiando con la morte la propria colpa. Secondo Maître Sénard, amico della famiglia Flaubert che declamò una lunga orazione della durata di quattro ore, il romanzo - definibile “realistico” solo perché ispirato alla realtà - in verità denunciava gli effetti di "un’educazione impartita a una donna al di sopra delle sue possibilità" e le conseguenze di una mancata istruzione religiosa.
In conclusione il libro fu giudicato “eccellente nel suo insieme” e fu ribadita la capacità delle pagine di ispirare “amore per la virtù e odio per il vizio”.
L’orazione più proverbiale fu però pronunciata da Gustave Flaubert stesso che, come ogni scrittore che si rispetti, seppe trasformare persino un processo a suo carico in una delle pagine più belle e interessanti della storia letteraria.
Madame Bovary c’est moi: il significato della frase di Flaubert
L’autore infatti affermò di essersi identificato totalmente con la sua eroina, al punto da esclamare:
Madame Bovary, c’est moi!
Madame Bovary sono io, disse ad alta voce Gustave Flaubert in uno dei secoli più misogini della storia. Lo scrittore francese prestava la propria voce a una donna, mettendo in luce il disagio femminile e denunciando la condizione subalterna patita dalle donne, soprattutto in provincia.
Il romanzo di Flaubert segnava l’avvento del realismo moderno, in cui l’autore non si limitava semplicemente a “osservare” la realtà ma la scomponeva nei suoi minimi termini, dissezionandola come un chirurgo con il suo bisturi. Con quella frase “Madame Bovary sono io”, lo scrittore sanciva una rivoluzione assoluta nella postura autoriale. Per la prima volta il piano dell’autore e il piano del narratore venivano distinti, come avrebbe osservato secoli dopo Italo Calvino.
Nel 1958 Calvino scrisse:
Flaubert, autore di Madame Bovary, proietta fuori di se stesso il personaggio d’una signora borghese di Rouen
Il realismo flaubertiano secondo l’ipotesi calviniana aveva la capacità di sgretolare la realtà, non di ricostruirla. Calvino afferma che in Flaubert la letteratura realistica tocca il massimo grado di “fedeltà all’esperienza” e aggiunge:
È sempre solo una proiezione di se stesso che l’autore mette in gioco nella scrittura, e può essere la proiezione d’una vera parte di se stesso come la proiezione d’un io fittizio, d’una maschera.
Diventa impossibile distinguere il confine tra la voce del narratore e quella del personaggio: sembra che, raccontando, l’autore sia nella testa del personaggio, giustifichi e approvi le sue azioni e il suo modo di vivere. Si trattava, di fatto, di una “rappresentazione scissa” in cui pare farsi strada una terza voce, a sé stante, che non appartiene né all’autore né al narratore ma alla storia stessa.
Flaubert con Madame Bovary segnava, in definitiva, la fine del romanzesco e la dissoluzione delle forme letterarie tuttora in atto. Nella creazione del personaggio di Madame Bovary - uno dei più affascinanti e complessi della letteratura - Flaubert mise in luce per la prima volta il contatto inedito tra realtà e immaginazione che conduce a generare una nuova forma di realtà, definita come “fittizia”.
Sembra che durante la stesura del romanzo Flaubert avesse rischiato più volte il collasso nervoso a causa dello stress e e dell’eccessivo sforzo cui la scrittura lo sottoponeva. Si era immerso completamente nel mondo della sua protagonista, costringendosi a leggere i libri che lei leggeva, a vedere le cose che lei vedeva, a pensare come lei pensava. Pare che alcune parole pronunciate da Emma Bovary siano poi state tratte dalle lettere inviate a Flaubert dall’amata Louise Colet, una poetessa sposata a un musicista che - proprio come Emma - tradì ripetutamente il marito con il filosofo Victor Cousin. Lo scambio epistolare con Colet stranamente si intensificò proprio durante la stesura del romanzo.
Il processo a Madame Bovary: il verdetto
Il fatto straordinario - che in verità non si rivelò determinante per l’esito del processo - fu che per la prima volta in un’aula di tribunale si discusse di elementi di narratologia. Secondo fonti più esperte l’assoluzione di Flaubert fu dovuta tuttavia a motivi politici: racconta Maurice Dreyfous che per lo scrittore francese era prevista una condanna severa, ma il verdetto fu ribaltato da Napoleone III che temeva una ripercussione negativa sulle elezioni legislative in Normandia, luogo dove per l’appunto il romanzo era ambientato.
Nell’aprile del 1857, Gustave Flaubert diede finalmente alle stampe Madame Bovary con l’editore Michel Lévy. Al testo definitivo furono apportate alcune modifiche, estranee alla sentenza. Tutte le scene eliminate dalla Revue de Paris furono reintrodotte. Il libro non fu perseguito dalla censura e, ancora oggi, possiamo leggere Madame Bovary nella sua forma originale grazie all’esito positivo di quel processo. Emma Bovary sarebbe diventata una delle eroine più amate della storia della letteratura: nella fine dell’Ottocento il personaggio diede origine a una vera e propria corrente di pensiero denominata bovarismo, che sanciva l’ineludibile divario tra reale e ideale, ora entrata anche nel lessico psicologico.
Una sorte diversa invece spettò alla Revue de Paris, la rivista fu chiusa definitivamente nel gennaio 1858 per ragioni politiche.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Madame Bovary c’est moi”: il processo a Gustave Flaubert
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