Tutti conosciamo la celebre frase Meglio vivere un giorno da leone che cento da pecora, un motto comunemente attribuito a Benito Mussolini, che secondo la vulgata l’avrebbe detto per primo.
Se, però, andassimo a scavare nella storia di questo motto scopriremo interessanti sorprese e ci accorgeremmo che era già in uso prima che il Duce lo rendesse celebre: questo modo di dire ha, infatti, una storia affascinante che si lega alle vicende del fronte italiano nella Prima Guerra mondiale.
Non dimentichiamo, poi, che si tratta di un’espressione che appartiene al linguaggio comune, che viene spesso utilizzata nel parlare quotidiano, per questo sarà importante anche chiarirne il significato e chiederci quando può essere appropriata ed efficace.
Scopriamo allora insieme cosa vuol dire meglio un giorno da leone che cento da pecora e chi l’ha detto.
Il significato di “Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora”
Il nostro motto, insieme alle sue varianti – meglio un giorno da leone che cento anni da pecora e meglio un’ora da leone che cento anni da pecora – ha un significato chiaro che, però, può essere declinato in due modi leggermente diversi.
Se pensiamo a Benito Mussolini, al quale viene generalmente attribuita, e alla sua retorica imperialista e guerrafondaia, è chiaro che la frase, specie se utilizzata in un contesto guerresco, militare, o anche in sport estremi, o in prove atletiche che possono compromettere l’integrità fisica, è un invito allo sprezzo del pericolo e all’azione immediata, un motto pronunciato per infondere coraggio, che vuole esortare il soldato a lanciarsi nella battaglia o l’atleta ad affrontare la sfida.
La locuzione meglio un giorno da leoni che cento da pecora può avere, poi, anche una connotazione più evocativa ed esistenziale: questo modo di dire può infatti indicare la preferenza per una vita che, seppur breve, sia caratterizzata dall’eccezionalità, una vita dannunziana, vissuta in maniera intensa e inimitabile, da preferire senz’altro a un’esistenza anonima e riservata, dove la paura di essere sconfitti o di rimanere feriti ci suggerisce di non rischiare, e di non provare emozioni.
Chiaramente, soprattutto in quest’ultimo caso, molto dipende da fattori culturali, educativi, generazionali: se il nostro motto poteva essere pronunciato a cuor leggero quarant’anni fa, da un boomer, oggi probabilmente sarebbero molti meno quelli che riescono a guardare alla vita con audacia, incoscienza e propensione al rischio.
Di certo è un motto che si attaglia meglio ai giovani che, anche per la loro voglia di scoprire il mondo, potrebbero essere più propensi a preferire una vita avventurosa e piena di esperienze indimenticabili che la rendano soddisfacente e significativa. Di contro, chi guarda all’esistenza con uno sguardo più conservatore tende a preferire la stabilità e la sicurezza, a calcolare rischi e opportunità e, quindi, a evitare scelte arrischiate, seppur coraggiose.
Se infine riflettiamo sul nostro carattere nazionale ci accorgiamo che l’insegnamento del Duce ha fatto poca breccia sugli italiani, spesso indolenti e accomodanti, talmente poco interessati alla cosa pubblica e finanche a esprimere la loro opinione tanto che il partito del non-voto è sempre quello con la maggioranza assoluta. Siamo forse più spesso pecore che leoni, insomma, abuliche o, peggio, pronte a seguire il richiamo del pifferaio magico di turno, quando il piccolo schermo o i social network lo richiedono.
Meglio un giorno da leone che cento da pecora: chi l’ha detto
Anche se la frase è erroneamente attribuita a Benito Mussolini, che sicuramente l’ha resa famosa, la sua paternità è incerta e attorno ad essa circolano molte ipotesi.
Benedetto Croce, nella sua Storia del Regno di Napoli, ricorda che un proverbio napoletano propone un motto non dissimile dal nostro, anche se meno altisonante:
“Meglio toro due anni che bove cento anni”
Quando, invece, negli anni Venti si cercava di capire chi avesse coniato la frase, fu l’avvocato e deputato Luigi Grancelli a proporre una spiegazione plausibile e convincente dell’origine della vera origine del proverbio “meglio un giorno da leone che cento da pecora”. Secondo lui la locuzione sarebbe comparsa per la prima volta in una lettera privata che Francesco Donato Guerrazzi indirizzava al figlio, il giovane Francesco Domenico che, poi, diverrà un famoso patriota risorgimentale oltre che un noto scrittore. La frase sarebbe stata poi pubblicata per i tipi dell’editore Bemporad, nel 1901, negli atti di una conferenza di Giovanni Marradi che era stato il primo a citarla e a farla circolare. In questo caso, dunque, l’origine della frase sarebbe risorgimentale, quindi, e non fascista o bellicista.
Un dato certo – lo attestano le fotografie – è che la frase sia comparsa per la prima volta sul muro di una casa crollata a Fagarè, un borgo sulle rive del Piave, in provincia di Treviso, sulla quale sarebbe stata scritta prima della Grande Battaglia del Solstizio, nome evocativo, coniato da Gabriele D’Annunzio, per uno scontro decisivo che impegnò gli Arditi nel giugno del 1918, e che riuscì a bloccare l’avanzata austriaca.
L’oggetto del contendere è, in questo caso, l’autore delle frase, forse un anonimo fante del Piave, quasi certamente un soldato che aveva combattuto, o che era caduto, in quella stessa battaglia. Secondo alcuni, l’avrebbe scritta sul muro dell’edificio che ospitava il suo battaglione tale Bernardo Vicario, un soldato che, però, come dichiarò lui stesso nel 1931, non l’aveva coniata ma l’aveva riportata sotto la dettatura del maggiore Carlo Regoli, pochi giorni prima della battaglia, il 14 giugno, quando stava per iniziare un bombardamento nel quale il suo superiore perse la vita.
Altri la attribuiscono al materano Ignazio Pisciotta, un generale che aveva fatto carte false per tornare a combattere dopo essere stato mutilato e che sicuramente aveva coniato un altro celebre motto che circolava durante la grande guerra:
“Tutti eroi! O il Piave, o tutti accoppati!”
Certa è, comunque, la corsa alla paternità del motto meglio un giorno da leone che cento da pecora: molti se la attribuirono proprio perché la frase venne riportata in auge da Benito Mussolini in un discorso del 1928 in cui celebrava il maresciallo Armando Diaz, l’uomo che aveva trionfato a Vittorio Veneto e aveva risollevato le sorti della guerra dopo la rovinosa sconfitta di Caporetto e l’inumana gestione di Cadorna.
Perché meglio un giorno da leone che cento da pecora è una frase celebre
A cementare il nostro proverbio nella memoria degli italiani ha contribuito anche la numismatica: il Duce, infatti, sempre nel 1928, pensò bene di farla incidere sulla nuova moneta da 20 lire che la Regia Zecca di Roma coniò proprio per celebrare il decennale della vittoria italiana nel primo conflitto bellico.
La moneta, nota anche come Cappellone, del peso di 25 grammi, fu tirata in oltre 3000 esemplari, fu modellata da Giuseppe Romagnoli, mentre l’incisione dei conii venne affidata allo scultore Attilio Silvio Motti.
La frase era incisa sul rovescio della moneta, su sette righe, accanto al fascio littorio e sotto a una testa di leone, e recitava:
“Meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora"
Sul dritto, invece, campeggiava il volto del "re soldato", Vittorio Emanuele III, con tanto di elmetto militare e stellette in bella vista sull’uniforme.
Meglio un giorno da leone o cento da pecora? La risposta di Massimo Troisi
Per chi vedesse il motto come domanda esistenziale a cui trovare una risposta con motivazione filosofica, segnaliamo la risposta del personaggio interpretato da Massimo Troisi nel film Scusate il ritardo:
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Meglio vivere un giorno da leone che cento da pecora”: significato e chi l’ha detto
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