Mio nonno è stato un IMI
- Autore: Daniele Pizzoli
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
“Pizzoli Chiarino, nato a Castel d’Ario di Mantova, l’11/11/1908, contadino”: si legge questo sulla tessera del partito fascista, che a metà degli anni Trenta non rinnoverà attirandosi un sacco di guai. È riprodotta, come tantissime altre immagini in bianconero, nel testo di un diario storico, tra l’autentico e il narrato da un nipote, diversi decenni dopo. Qualcosa è vero, sebbene non di pugno di Chiarino, tanto è aggiunto con molta onestà intellettuale e dopo parecchio studio da Daniele Pizzoli, autore di Mio nonno è stato un IMI. Dalla mia terra all’inferno del lager, storia di un diario mai scritto, pubblicato dall’Editoriale mantovana Sometti (febbraio 2024, collana Narrativa, 200 pagine) con il patrocinio del Comune di San Giorgio Bigarello (MN).
Realizzandolo, il discendente ha sciolto un debito con Chiarino, di conoscenza, perché non l’ha mai conosciuto. Daniele è nato nel 1954 a Stradella di Bigarello ed è cresciuto “nel culto dell’assenza” del nonno, deceduto in prigionia nel 1944, in Germania.
Da scolaro, dormiva con nonna Ebe e prima di spegnere la luce c’era il bacio della buonanotte al medaglione con l’immagine del marito, che portava al collo. Nelle piccole stanze se ne percepiva la presenza, che lo ha influenzato:
se sono arrivato a fare una ricerca e scrivere queste pagine sul suo destino di militare, questa è la prova.
Avrebbe potuto farlo prima, ma non aveva ancora la maturità o era presto, più semplicemente. A un certo momento, le poche foto, le lettere ritrovate, il chiedersi perché il nome non fosse inciso sul monumento ai caduti in guerra di Stradella, gli hanno fatto capire che il tempo giusto era arrivato, dopo averlo atteso quasi sessant’anni. Quasi altri quattro gli sono serviti per la ricerca, sebbene resti tuttora ignoto il luogo in cui è terminata la breve esistenza del nonno. Non smetterà mai di sperare ancora in qualche indizio.
Le difficoltà maggiori Daniele Pizzoli le ha incontrate nell’avviare la ricerca, dovendo scoprire dove reperire i documenti e quali. Testimoni diretti non ce ne sono più, anche se molte informazioni derivano dai ricordi orali di chi lo ha conosciuto. È servito l’aiuto di amici appassionati di storia e si è rivelato indispensabile consultare il web, che gli ha spalancato un mondo ignoto o conosciuto solo superficialmente. Ha scoperto il termine IMI, “Internato Militare Italiano”, di fatto “schiavo di Hitler”, che non volle riconoscere come prigionieri di guerra i soldati italiani, “traditori” dell’alleanza con la Germania. Esclusi dalla tutela della Convenzione di Ginevra, vennero adibiti a lavori forzati anche nell’industria bellica. Catturato dagli ex alleati sul fronte albanese dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, il nonno venne deportato nel campo di prigionia per IMI di una località imprecisata della Germania, dove risulta deceduto il 18 giugno 1944.
Il nipote sostiene di aver voluto intraprendere un percorso letterario sotto forma di “diario scritto da lui”, sostituendosi al nonno nel cercare di restituire le tappe di una storia personale che incrocia quella dell’intera Europa e degli altri almeno 720 mila militari italiani che conobbero le durezze dell’internamento nazista e del lavoro coatto. È orgoglioso delle “semplici e drammatiche righe”, in parte ispirate da diari di sopravvissuti che in condizioni difficili annotavano quotidianità, emozioni e paure, come se rappresentassero una speranza di vita e un’ancora di salvezza. Scritti scampati alle ispezioni, alle distruzioni e ai bombardamenti.
Questo per le vicende generali, perché per risalire agli aspetti caratteriali si è affidato principalmente alle memorie familiari, ai documenti rinvenuti, a qualche episodio analogo e alle frasi scritte personalmente da lui (purtroppo poche, vergate con una calligrafia nitida sul retro delle foto inviate a casa). Dove tutto questo è mancato, ha provato a immaginare “seguendo comunque uno schema logico”, basandosi su dettagli e accenni storici di quegli anni, relativi in particolare agli avvenimenti sul fronte albanese. Il possibile percorso verso l’internamento trae spunto, ad esempio, dal diario del tenente Ettore Ponzi, sopravvissuto, che era a Berati l’8 settembre 1943. Le tappe del viaggio in treno verso il campo si basano su fatti realmente accaduti e uno studio a ritroso della linea ferroviaria in Albania.
Gli eventi nel capitolo "Storia di un diario mai scritto", ricalcano episodi tratti da diari di reduci internati IMI, romanzati e adattati a quello che potrebbe essere accaduto realmente al nonno, intervallati da eventi storici nei dieci mesi dall’8 settembre al giugno 1944. L’importanza di questi diari è fondamentale per la ricerca storiografica e la conoscenza storica, in aggiunta alle fonti orali e archivistiche; sono la rappresentazione dal vivo dei traumi psicologici, delle aspettative e della vita quotidiana dei protagonisti. Si contano più di 5 mila memorie clandestine, per lo più di ufficiali, finanche nemmeno annotate, tenute solo a mente. Le trascrizioni dopo la guerra sono rimaste a ingiallire, rifiutate dall’editoria commerciale. A parte i bestseller autobiografici di Guareschi, Alessandro Natta e Primo Levi, dal 1945 sono stati pubblicati solo 400 diari di reduci e antologie di testimonianze, per lo più editi in proprio e fuori commercio, con tirature modeste, di difficile reperimento.
Le pagine di Mio nonno è stato un IMI sono punteggiate di foto in bianconero, tantissime, per lo più di piccolo formato. Qualcuna, che ritrae le località albanesi, è ricavata dal web. Sebbene non scattate a Berati, mostrano luoghi molto simili. In copertina, infine, l’ultima istantanea del nonno ricevuta dal fronte in Albania, dove era inquadrato in un reparto del Genio delle Camicie Nere (altra punizione da contrappasso del rifiuto di riconoscersi fascista). Nella sua semplicità, concorre anch’essa ad assolvere il dovere della memoria da trasmettere alle nuove generazioni, che Daniele Pizzoli avverte tanto intensamente.
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