Miracolo a Milano è considerato dalla critica uno dei capolavori del cinema mondiale del Novecento e di quel filone culturale che fu il neorealismo italiano interpretato, tra gli altri, dal connubio artistico di due grandi come lo scrittore, soggettista e sceneggiatore Cesare Zavattini (1902-1989) e il regista Vittorio De Sica (1901-1974).
A loro due si devono pellicole importanti, tutte in bianco e nero e a volte interpretate da attori non professionisti: “Sciuscià”, “Ladri di biciclette”, “Bellissima”, “Umberto D.”, “Il giudizio universale”.
Forse molti hanno visto Miracolo a Milano, prodotto e diretto da De Sica nel 1951, tratto dal romanzo Totò il buono di Zavattini edito da Bompiani nel 1943.
Pochi invece conoscono l’intera storia di questa opera e la sua lunga gestazione.
Scopriamola insieme.
Le novelle di Cesare Zavattini su Totò
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Alcuni episodi citati nel romanzo - poi diventato soggetto cinematografico - vedono infatti la luce come novelle pubblicate da Zavattini su diversi giornali negli anni 1927- 1943: I poveri affittati come lodatori, Romanzi a puntate sulle tombe, Quello che segue il funerale per sfuggire i creditori, Il mangiare il pollo come spettacolo, O la borsa o la vita mia, Quello che segue il funerale per sfuggire i creditori.
“Il nostro Totò pensò di affittare i disoccupati ai cittadini di Bamba(...) Lodatori Lire 10 all’ora. (...) Ci fu un bambese che affittò due laudatori per mezza giornata: se li portò al parco, e seduto su una panchina si fece lodare interminabilmente sicché i poveri baracchesi non sapevano più cosa dire, ripetevano sempre le medesime lodi, ma il cliente era contento lo stesso”.
I baracchesi, scrive Zavattini, lavoravano e tutti mangiavano, poco ma mangiavano.
“Dicono che il problema principale della vita non sia quella di mangiare, bensì che altri non mangi più di noi. Non sempre è vero: una volta al mese uno di loro, per estrazione a sorte, mangiava il pollo e gli altri lo guardavano. Questo avveniva in una specie di teatrino (...) Quel giorno gli abitanti correvano a veder mangiare il pollo (…) c’era chi lo mangiava con tanta rapidità e distinzione e insieme da sollevare nutriti applausi”.
Queste novelle sono la radice – o il buon riciclo – del romanzo il cui personaggio principale – Totò - è uno nato sotto il cavolo cappuccio, nell’orto di una ricca città immaginaria che si chiama Bamba, nella cui periferia vivevano all’interno delle baracche i baracchesi, una moltitudine di persone che se la cavavano con poco, anche se su quei terreni zampillava il petrolio.
In poche parole, con una contrapposizione tra ricchi e poveri, tra buoni e cattivi, Zavattini con surreali, fiabesche e poetiche invenzioni racconta la vita dei meno abbienti che hanno pure un circolo dove si gioca a carte chiamato:
“Circolo dei meno abbienti, con il suo bravo regolamento nel quale era proibita ai nobili l’iscrizione (…) come del resto fanno i nobili che vietano l’iscrizione a chi non è nobile”.
A Bamba, contrariamente ai baracchesi, gli abitanti erano ricchissimi e “portavano l’abito da sera anche di giorno”.
Antonio de Curtis, il vero nome di Totò
Il nome di Totò è pure il nome d’arte del principe Antonio de Curtis, ovvero il grande attore e comico napoletano. Infatti Zavattini e Totò scrissero un primo soggetto di poche pagine con l’intenzione poi di farne un film, interpretato dallo stesso attore.
Il soggetto venne pubblicato nel 1940 sulla rivista Cinema ma non se ne fece nulla, anzi il 23 gennaio del 1941 De Curtis scrisse a Zavattini che rinunciava a qualsiasi diritto morale e materiale sul soggetto ma lo pregava di lasciare il suo nome accanto al suo:
“Come attestazione della mia adesione al soggetto che mi piace profondamente (…) perché quando me lo raccontasti sentii subito (…) come fosse Totò al cento per cento, nelle mie più segrete aspirazioni, e ti suggerii di far nascere il protagonista in un cavolo avendone sentito tutta la sua umanità fiabesca”.
La nascita di Totò
La nascita sotto o tra le foglie di un cavolo fa parte di un detto antico ed è un modo di dire che indica una nascita inaspettata o improvvisa. Ma ha pure un altro significato in quanto nel passato, quando procacciarsi del buon cibo era un problema di sopravvivenza, il cavolo era l’unico alimento che durante l’inverno garantiva vitamine e minerali. Da sempre simbolo di fecondità e di vita, veniva raccolto dopo nove mesi dalla semina, ovvero da marzo a settembre, proprio come il tempo di gestazione dei bambini.
Scrive Zavattini nel romanzo edito nel 1943 che:
“La signora Lolotta vide un cavolo che si muoveva (…) Scostò una foglia e si trovò davanti un neonato completamente nudo”.
Nell’incipit del soggetto del 1940 Zavattini – De Curtis scrivono:
“È l’alba, cinguettio di uccelli, il sole illumina un breve campo di cavoli(...) improvvisamente si odono dei vagiti(...) un grande cavolo lascia vedere un bel neonato (…) Così nasce il nostro eroe”.
Così nasce il Totò che viene allevato dall’anziana e vedova signora Lolotta e, alla morte di quest’ultima, in un orfanotrofio.Totò era povero, orfano e di una grande bontà e – racconta Zavattini - si preoccupava della salute e dell’umore della gente che fermava per strada domandando loro: “Come state?”, ma le persone protestavano con un: “Non vi conosco”, vedendolo vestito maluccio” .
Nella ricca città di Bamba viveva il personaggio antagonista, Mobic, (nel film di De Sica, a Milano si chiama “Mobbi”), un uomo d’affari, non molto amato e molto temuto, senza famiglia che possedeva palazzi, fabbriche, commerciava in olii, sete, cavalli. Mobic era pure un furbastro, sfruttava e manipolava i suoi operai.
Geniale è l’invenzione di Zavattini:
“Gli operai lavoravano, fruttavano il massimo in virtù di un accorgimento che aveva avuto il signor Mobic: quando i suoi operai erano un po’ stanchi chiedevano il permesso di andare qualche minuto nella Camera Mobic, che era uno stanzone dalle pareti nude, e gridarvi a volontà: Mobic è un birbante, Mobic è un furfante! Uscivano dalla camera allegri, sollevati, pronti a riprendere il lavoro con più lena”.
Le trame, i personaggi, i fatti e le invenzioni tra il romanzo Totò il buono e il film Miracolo a Milano differiscono di poco, per lo più nel finale.
Come in tutte le storie anche tra i poveri ci sono gli invidiosi e i traditori come il Rap (Rappi nel film, interpretato da un bravissimo Paolo Stoppa) che non sopporta la bontà di Totò e odia i propri simili baracchesi, desiderando di possedere un cappello duro – una bombetta da signori – e per questa ragione consiglia Mobic di acquistare i terreni dove sorge la baraccopoli per sfruttare il giacimento di petrolio. Ne seguono molte situazioni, sempre esilaranti, poetiche e surreali, dove il Mobic con l’aiuto del Governatore di Bamba, i soldati e le guardie, cerca di cacciare i baracchesi, senza riuscirvi per via di prodigi e miracoli che compie “Totò il buono”.
Come in tutte le storie fiabesche – e un pochino moralizzanti, cristiane e comuniste - c’è sempre qualcuno che tenta di aiutare i più deboli e in questa storia – come nel film – è rappresentato da due angeli che donano a Totò una colomba che ha il potere di esaudire ogni suo desiderio, come quello di far apparire in un baleno due uova fritte, ridare i capelli a un calvo, produrre una enorme quantità di cappelli duri e pellicce per signore e, durante gli scontri con le guardie e i soldati, una pioggia di topi, l’inceppamento dei fucili e dei cannoni e, addirittura, ridicolizzare il capo delle guardie che non riesce a dare gli ordini perché ogni volta la sua voce diventa simile a quella di un tenore.
“Miracolo a Milano”: le differenze tra libro e film
L’epilogo delle due storie, come dicevo, è differente. Nel romanzo Totò il buono il protagonista è addirittura riconosciuto dai bambesi come un capo per via dei suoi poteri e gli viene affidato il governo della città, erigendo pure un monumento in suo onore. L’avidità e gli onori contaminano Totò, che con la purezza perde pure i suoi poteri. Poi sparisce e molti lo credono morto.
In Miracolo a Milano, invece, Totò il buono è sopraffatto dal cattivo Mobbi che, con l’aiuto delle guardie carica tutti gli abitanti della baraccopoli su dei carri e li fa portare in Piazza del Duomo.
Le scope che volano: l’invenzione di Cesare Zavattini
L’invenzione più iconica di Zavattini, in ambedue i finali, fu quella del prodigio delle scope che volano nel cielo dell’immaginaria Bamba e in quello grigio di Milano con a bordo Totò il buono e gli abitanti della baraccopoli.
Nel romanzo Totò non è morto ma desidera ritornare il Totò di una volta e lasciare quel mondo che non gli piaceva. Viene però riconosciuto dai bambesi che lo rincorrono.
“Totò giunto davanti a una bottega dove vendevano scope ne inforcò una (…) la scopa si alzò nell’aria lasciando sbalorditi gli inseguitori (…) Poi indirizzò la scopa verso il nord e in breve sparì all’orizzonte (…) diretto verso un regno dove dire buon giorno vuol dire veramente buon giorno”.
Nel film Miracolo a Milano Totò riesce a liberare tutti i suoi amici imprigionati sui carri delle guardie e con un prodigio s’impossessa delle scope degli spazzini milanesi su cui salgono tutti i poveri verso quel regno nel quale tutti dicono “buon giorno” volendo veramente dire buon giorno.
Sembra che per realizzare gli effetti speciali di questa scena e di altre De Sica, in quanto produttore, si indebitò per molti milioni di lire. Alcuni critici sostengono che la scena del decollo delle scope abbia ispirato la scena dei ragazzini sulle biciclette volanti nel film del 1982 E.T. L’extra-terrestre del regista Steven Spielberg.
Nel 1961, dieci anni dopo Miracolo a Milano, il sodalizio artistico De Sica-Zavattini produsse il film Il giudizio universale. Il soggetto e la sceneggiatura furono scritti interamente da Cesare Zavattini e qui si rivede la vena surreale e, a tratti, compassionevole, di Totò il buono.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Miracolo a Milano”: Cesare Zavattini e l’invenzione di Totò
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