Vittoria Ronchey, Aliberti da nubile, scrittrice, insegnante e traduttrice, è morta ieri a Roma, nella sua abitazione. Ne ha dato notizia la figlia Silvia.
Vittoria Ronchey: vita e opere
Docente, scrittrice e traduttrice, moglie del giornalista, scrittore e uomo politico Alberto Ronchey (1926-2010), Vittoria era nata a Reggio Calabria il 23 settembre 1925. Una vita lunga e intensa, piena di incontri e di esperienze, un’esistenza vissuta fino in fondo, perché la sua curiosità era tanta nei riguardi di tutto e di tutti.
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Laureatasi in Filosofia all’Università di Roma, dove fu per decenni assistente del filosofo Guido De Ruggiero alla cattedra di Storia della Filosofia Moderna, dal 1958 insegnò nei licei, fu autrice di romanzi e saggi tra i quali, il noto Figlioli miei, marxisti immaginari, sottotitolato “Morte e trasfigurazione del professore” (Rizzoli 1975), sui ragazzi e il mondo della scuola nel periodo del Sessantotto, che si aggiudicò il premio Viareggio Saggistica Opera Prima. Il libro, scritto in forma di diario, resoconto ironico e arguto della sua frustrante esperienza di docente che, proveniente da Bergamo, si ritrova a insegnare in un liceo della periferia di Roma durante gli anni della contestazione, colpì l’allora segretario PCI Enrico Berlinguer, tanto da citarlo in un suo discorso alla Camera dei Deputati.
“Mi hanno assegnato a un liceo il cui nome è rappresentato da un numero”.
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Vittoria Ronchey tradusse il romanzo La piccola Fadette della scrittrice francese George Sand. Nel 1992, per il romanzo storico 1944 (Rizzoli), venne inserita nella cinquina dei finalisti del Premio Strega, vinse inoltre il Premio Hemingway Lignano Sabbiadoro, sezione Narrativa, per La fontana di Bachcisaray (Mondadori, 1995).
Tra le sue opere segnaliamo inoltre:
- Il volto di Iside (Rizzoli, 1993),
- Un’abitudine pericolosa (Mondadori, 1997)
- Dodici storie di fantasmi (Longanesi, 1999).
Poche persone sanno che Vittoria Ronchey aveva una grande passione: il mare. Amava osservarlo, ormai da anziana, seduta al ristorante dello stabilimento “Glauco” di Fregene. Chi scrive ha avuto il privilegio di parlare con lei ed è stata una bella esperienza, da rimanere colpita dalla serenità del suo sguardo, pieno di esperienza, forte di una lunga vita dietro alle spalle.
Riavvolgendo il filo della memoria, la scrittrice raccontava del periodo vissuto in Russia accanto al marito Alberto, quando era inviato a Mosca per il quotidiano “Il Corriere della Sera”.
“La signora che ama il mare”, come l’avevamo soprannominata, rievocava gli anni di insegnamento, le case che aveva vissuto e molto altro ancora, sempre lucida, facendo capire all’interlocutore come la vita fosse sempre bella, anche quando le gambe erano ormai deboli, ma lo spirito e l’acume, no. Ovviamente amava leggere, c’era un assiduo scambio di copie tra la scrittrice e un’altra ex docente, amabile frequentatrice dello stabilimento. L’ultima volta che abbiamo visto Vittoria Ronchey è stato due anni fa, poi lo stabilimento ha chiuso ed è finita un’epoca.
La scrittrice osservava il mare, assaporandolo onda dopo onda. Di lei, oltre alla sua mirabile esperienza di vita, resta una copia preziosissima di Figlioli miei, marxisti immaginari, l’ultima edizione tascabile BUR, donata dalla stessa con dedica ancora avvolta dalla copertina di plastica.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: È morta la scrittrice Vittoria Ronchey, autrice di “Figlioli miei, marxisti immaginari” e di “1944”
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