Patria
- Autore: Francesco Bruni
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Francesco Bruni, insigne studioso e storico della Lingua italiana, ha dedicato un accurato excursus ( Patria, edito per Marcianum Press nel 2018) alla storia di una parola, “Patria”, ripercorrendone, “tra ragione e sentimento” (come detta il titolo del capitolo 2), la preistoria, la ricorrenza del motivo nella civiltà classica greca e latina, e attraverso i secoli e le epoche storiche, sondandone le risorse e la vitalità fino ai nostri giorni.
Se ne deduce l’impressione di una parola che è anche un luogo identitario di affetto e di riflessione per le civiltà che si sono succedute nella vicenda umana oltre che, al contempo, parola dell’infanzia e dell’apprendistato letterario e civile dell’autore medesimo. Viene da pensare, soffermandosi su queste pagine di raffinata erudizione storico-filologica che sollecitano riflessioni acute e profonde sulla identità culturale della civiltà occidentale, a una frase di Bertrand Russell:
“Nessuno può comprendere la parola formaggio se prima non ha un’esperienza non linguistica del formaggio.”
E forse nella lungimiranza di questa frase articolata sul filo sottile e tagliente del paradosso è possibile rintracciare lo spirito altrettanto sottile che anima l’impresa intellettuale di questo libro, che nell’indagine su quel “prima”, nella rilettura di secoli e di epoche attraverso la lente di una parola intellettuale (e dunque fondamentalmente ambigua, portatrice nel tempo di una pluralità di significati conviventi in un solo significante) tenta di raggiungere una comprensione critica, ragionata della Realtà storica, politica, culturale.
Se insomma ciascuno scrittore è essenzialmente la lingua in cui si esprime nella totalità delle sue idee e del suo immaginario, si potrebbe aggiungere che ciascun individuo consiste nella sua individualità e totalità in una Patria. Ed ecco pertanto che la ricognizione rigorosa della vita di questa parola in varie epoche e contesti civili e culturali appare imprescindibile dalla rilettura di opere, poemi, trattati di autori famosi antichi, moderni e contemporanei, come a evidenziare l’impossibilità di astrarre la parola e il suo senso concreto e reale da quell’orizzonte ideale, che è stato (ed è ancora?) la Patria delle Lettere, in cui il Pensiero e le Leggi, la Ragione e il Sentimento consistono in un’unica potente visione.
In tal senso la parola Patria acquista lo spessore di un luogo, integro, di elezione, e in questa accezione, al contempo reale e ideale, può esprimersi nella pienezza e nella potenza germinativa della sua progettualità culturale e politica che ne ha contrassegnato la vitalità e la centralità nella Storia umana.
Attorno a questo principio interpretativo e programmatico mi sembra che si annodino efficacemente le opere e le esperienze evocate in queste pagine. Si pensi alla formulazione presentata da Cicerone nel trattato De Legibus, in cui il grande filosofo e politico romano distingue tra una patria “germana” (in cui consiste la radice originaria di un individuo) e la “civitas” intesa come associazione di individui soggetti alla stessa Legge. O ancora, sul crinale tra la dissoluzione del mondo antico e la nascita del Medioevo cristiano, la grandiosa visione agostiniana nel De civitate Dei, laddove alla Patria terrena, di natura, si sovrappone l’altra Patria vera, quella celeste, che ci attende al termine della vita. Entrambi i concetti, quello ciceroniano di “doppia cittadinanza” e quello agostiniano delle “due città”, saranno fonte di ispirazione per i alcuni tra i più esemplari monumenti di civiltà e pensiero dei secoli seguenti, dalla Commedia dantesca al Canzoniere di Francesco Petrarca (troppo sovente ristretto, ricorda il professor Bruni, “alla fisionomia di un innamorato sospiroso”), alla trattatistica politica e storica di Machiavelli e Guicciardini, svolgendo la trama coerente e inflessibile (Ii un’Italia sorprendentemente divisa e prostrata sul piano politico e civile, quanto dinamica e propositiva su quello intellettuale e progettuale; emblematica a tal proposito, nella “Storia d’Italia” del Guicciardini , l’evidenza di un’accezione del termine quale “Patria comune”, in senso politico, coincidente dunque con l’Italia) di una lunga e condivisa tradizione - e costruzione - umanistica e classicistica.
Nello sforzo di restituire alla parola una storia che le appartenga, l’autore si sofferma con altrettanto puntuale rigore di indagine sulla controversa evoluzione della parola in epoca moderna e contemporanea, quando, in concomitanza con l’affermarsi di nuovi modelli e istanze culturali, veicolati in particolare dalle avanguardie artistiche e dall’avanzata di organizzazioni politiche di matrice nazionalistica e totalitaria, proprio quella tradizione umanistica sembra arretrare a favore di visioni diverse e cangianti, non di rado contraddistinte da spinte localistiche. Per un flagrante paradosso, nei sacri recinti della Patria-Tempio idealizzata nei tempi lunghi e bui prima dell’Indipendenza italiana, e realizzatasi nella temperie risorgimentale, si insinua progressivamente, sotto le insegne del gioco politico ambiguo e sovente demagogico, dell’assenza di capacità autocritica, enfatizzata dalla stagnazione di “problemi malposti o schivati” (ad esempio la repentina e tartufesca autoassoluzione alla conclusione della Seconda Guerra mondiale di una Nazione dai propri legami fino a poco prima tenaci e profondi con il regime fascista che aveva di fatto identificato la Patria con il Fascismo stesso; o in tempi più prossimi gli equivoci e le seduzioni delle sirene federaliste) e della manipolazione culturale sempre più monopolio della “piazza” (e, nella fattispecie attuale, di una “piazza mediatica”), l’idea di una Patria inessenziale, desacralizzata, ridotta a residuato retorico e nostalgico, a tal punto da rischiare di apparire come un’ospite sgradito “di cui non si sentiva un gran bisogno”.
Ciò che maggiormente ha inciso nell’“indebolimento della nozione affettiva e razionale della Patria e del senso della Nazione” è da ravvisarsi, seguendo il filo del discorso dell’autore, nella costante latenza di un “esame di coscienza” (l’ultimo, non a caso, severo e chiaroveggente, è databile agli anni della Grande Guerra ad opera del critico e soldato Renato Serra) degli individui e della collettività, necessaria per conservare un senso della realtà e un atteggiamento costruttivo in luogo del qualunquismo o, ancor peggio, del “far finta di nulla”.
Patria e Politica sembrerebbero, insomma, due categorie inscindibili e strettamente connesse. L’eclissi dell’una comporta fatalmente la dimissione anche dell’altra. Che cosa resta dunque di questa parola, della sua storia, delle sue alte idealità nel complesso contesto geopolitico del presente? Quale il Destino di una “Patria italiana svuotata” e sempre più instabile, negli orizzonti odierni di un’Unione Europea dal profilo alquanto tecnocratico e purtuttavia composta da patrie e Stati nazionali, in cui pertanto solo chi proviene da una patria coesa e identitaria può imporsi, preservando la propria autonomia e una prospettiva spendibile di futuro?
“Forse la patria italiana non merita di andare in soffitta, e varrebbe la pena di rianimarla, di renderla viva e credibile, nell’interesse dell’Italia e del contributo che l’Italia può offrire al resto del mondo”.
È quanto afferma il professor Bruni a conclusione della sua riflessione, che è anche una grande narrazione della nostra civiltà nel tempo, delle sue costanti e contraddizioni, della sua memoria e dei suoi valori, esaltati o traditi, o più banalmente, dimenticati.
Patria
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