Paul Auster si è spento nella sua casa di Brooklyn nella notte di martedì 30 aprile. La notizia ha fatto il giro del mondo nella mattinata del 1 maggio. Lo scrittore americano, nato a Newark nel 1947, era malato da tempo di cancro ai polmoni.
In un certo senso si trattava di una dipartita annunciata; ma non si è mai pronti alla morte di uno scrittore. Forse perché uno scrittore non muore mai e possiamo ritrovarlo, sempre, aprendo a caso le pagine dei suoi libri. Inoltre, se c’è una cosa che i 36 romanzi di Paul Auster ci hanno insegnato è che i mondi possibili sono infiniti.
Ripercorriamo la sua vita attraverso i nodi nevralgici della sua produzione narrativa. Un ultimo libro di Auster sarà pubblicato postumo da Einaudi a ottobre 2024.
Paul Auster: vita e morte del grande narratore americano
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Nel bestseller pubblicato nel 2017, 4321, l’autore ingaggiava un formidabile gioco letterario con il concetto di destino, componendo un’opera fatta di sliding doors, immaginando le quattro vite possibili di un ragazzo del New Jersey di nome Archie Ferguson. Un ragazzo, nato a Newark, che potrebbe benissimo essere Auster e anche non esserlo.
Nelle quattro storie di Archie, Paul Auster inseriva anche frammenti della sua autobiografia, come il fatto che la sua carriera di scrittore iniziò di fatto a otto anni, quando perse l’occasione di ottenere l’autografo del suo idolo, la stella del basket Willie Mayers. Auster, bambino, non aveva una matita in tasca quel giorno; dopo l’amara delusione decise che avrebbe sempre tenuto una matita con sé per non perdere la possibilità di usarla. Un’occasione perduta si trasformò in un destino; ma di quante occasioni perdute è fatta una vita? 4321, il poderoso romanzo di Auster (supera le 900 pagine ma si legge d’un fiato), definito spesso dalla critica un “romanzo cubista” per la sua singolare struttura a matrioska, indaga a fondo questo concetto attraverso un abile intreccio di possibilità. Solo alla letteratura spetta la capacità di indagare l’altrove, una realtà parallela alla realtà vera che si serve del verbo al condizionale e del periodo ipotetico come di un sortilegio per indagare ciò che avrebbe potuto essere e non è stato.
Con la sensazione costante che i bivi e le parallele delle strade prese e non prese fossero tutti percorsi dalle stesse persone nello stesso momento, le persone invisibili e le persone ombra, che il mondo effettivo fosse solo una piccola parte di mondo, poiché la realtà consisteva anche in quello che sarebbe potuto succedere ma non era successo.
Paul Auster è sempre stato un grande sperimentatore, questo dobbiamo riconoscerglielo, non si è mai appiattito e ridotto a un unico genere narrativo, ha sempre cercato di portare la propria scrittura al suo massimo significante. Il suo testamento letterario oggi è considerato Baumgartner, edito da Einaudi nel 2023 in contemporanea con l’annuncio della malattia di Auster. Un libro che tratta il tema della vecchiaia e filosoficamente analizza le cose davvero importanti della vita; al centro dell’ultimo romanzo di Auster c’era la morte, che ormai l’autore sentiva inevitabilmente vicina a causa degli ultimi drammatici avvenimenti della sua vita (la morte per overdose del figlio Daniel, la scomparsa della nipotina Ruby, il suo tumore), ma non era la propria morte che narrava, il suo protagonista si trovava a fronteggiare la morte di una persona cara, la moglie Anna. Attraverso quel racconto - in cui descriveva il protagonista come morto nell’intimo - Paul Auster ci stava prefigurando la propria stessa morte, ma i lettori più fedeli sapevano che non era la prima volta che l’autore americano ne parlava. Pensiamo a quel piccolo capolavoro - spesso ignorato, ma è un’autentica perla - che è Diario d’inverno, in cui Auster rifletteva sulla propria intera vita guardandola dalla prospettiva della vecchiaia e quindi dell’inevitabile declino del corpo:
No, tu non vuoi morire, e pur avvicinandoti all’età che tuo padre aveva quando finí la sua vita non hai telefonato a nessun cimitero per prenotare un luogo di sepoltura, non hai dato via nessuno dei libri che sei sicuro di non leggere mai piú, e non hai cominciato a schiarirti la voce per gli addii.
In quelle pagine Auster cercava di creare un’esatta fenomenologia del corpo, mettendo in relazione le sensazioni provate dalla giovinezza alla vecchiaia: lo vediamo tornare bambino, a sei anni, mentre cammina a piedi scalzi sul prato, poi a dieci anni e poi ancora mentre cresce, giorno dopo giorno, tra “piaceri fisici e dolori fisici”, sino ad arrivare a quella mattina di inverno del suo sessantaquattresimo anno. Anche in Diario di inverno, Auster tornava a indagare il concetto a lui più caro, quello di possibilità: ritornava l’idea dei “mondi possibili” attraverso una autobiografia sperimentale.
È un esempio delle varie cose che non avrebbero mai potuto succedere, ma invece sono successe.
In quel piccolo libro, di appena centottanta pagine, era già racchiusa in nuce l’autobiografia di Auster: tutta la sua vita, dallo smarrimento al successo come scrittore, dal divorzio dalla prima moglie, Lydia Davis, sino all’incontro con il grande amore, la scittrice di origine norvegese Siri Hustvedt, che gli sarebbe stata accanto sino all’ultimo respiro.
Non possiamo ridurre Paul Auster al suo maggiore successo, la Trilogia di New York, che lo rese un autore di culto negli anni Ottanta del Novecento. Una trilogia di detective stories metaletterarie in cui la figura del detective e quella dello scrittore coincidono sullo sfondo della città di New York, anch’essa protagonista, riflesso di uno spleen baudelairiano e di un’inquietudine esistenziale insondabile. Anche la Trilogia di New York era un libro metafisico, il cui vero mistero non consisteva nel giallo, ma nelle plurime ramificazioni della realtà. La scrittura di Auster è sempre stata filosofica, il susseguirsi di una lunga serie di domande implicite. Tutto il mondo di Paul Auster narratore è contenuto nei mondi possibili - e potenzialmente infiniti - che ha contribuito a creare.
Pensiamo allo straordinario incipit de L’invenzione della solitudine, in cui lo scrittore affrontava la morte del padre:
Un giorno c’è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com’era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all’altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d’improvviso, capita la morte. Un uomo esala un leggero sospiro, si abbandona sulla sedia, ed è la morte. La sua subitaneità non lascia spazio al pensiero, non dà occasione allo spirito di cercare una parola che possa consolarlo. Restiamo soli con la morte, col dato inoppugnabile della nostra mortalità.
Del “dato inoppugnabile della nostra mortalità” la narrativa di Auster ha fatto la propria cifra stilistica e, con esso, ha ingaggiato la propria battaglia: quante vite ci sono in un’unica vita? Quanto influiscono gli agenti esterni - la loro imprevedibilità - nel percorso individuale di una vita? Rileggendo attentamente, pare che la multiforme produzione letteraria di Paul Auster si sia sempre interrogata, in maniera incessante, sugli stessi temi, tornandovi senza tregua come nel tentativo di disbrogliare una matassa aggrovigliata ma, per sua natura, inestricabile.
“Baumgartner”: di cosa parla l’ultimo romanzo di Paul Auster?
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Il professor Baumgartner, l’ultimo alter ego di Auster, non voleva morire eppure si sentiva morto dentro dopo la scomparsa della moglie, avvenuta dieci anni prima. Le pagine, riflessive, filosofiche, tese sulla linea della memoria, diventano la mappa interiore di un uomo che cerca di dimenticare per andare avanti.
La vita è fragile, è breve, ti inganna. Dopotutto, quante persone amiamo davvero nel corso della nostra vita? Poche, molto poche. Quando la maggior parte se ne va, la mappa del nostro mondo interiore cambia
L’idea di mappa ritorna come una costante nella scrittura di Paul Auster. Forse tutta la sua letteratura è stata, in fondo, il tentativo di tracciare una mappa, di ricercare un senso a ciò che, dopotutto, senso non ha. Una sorta di mappa piratesca e fitta di simboli per cercare un tesoro che non c’è.
In un passo della Trilogia di New York, nel libro intitolato La città di vetro, Auster scriveva:
Si chiedeva che forma avrebbe avuto la mappa di tutti i passi che aveva mosso nella sua vita, e quale parola avrebbe composto.
La sua ricerca tornava, inesausta, alla scrittura, alla parola come significante. Quale parola ci ha lasciato Paul Auster? Mi piace pensare che sia “possibilità”, perché è un concetto che, come autore, non ha mai cessato di indagare trasformando, a tratti, la parola letteraria in parodia, facendo della narrativa una sfida. In Follie di Brooklyn, Auster concludeva il libro con un happy ending anomalo: immaginando il protagonista mentre cammina sotto un cielo azzurro affermando di sentirsi completamente felice. È la mattina dell’11 settembre 2001, ma l’attentato ancora non che una possibilità, un’eventualità ancora a venire. Nulla è ancora accaduto e Paul Auster, come scrittore, ha la capacità di concentrarsi su quest’attimo sospeso, eterno come l’immortalità effimera che ciascuno di noi sperimenta in vita.
Come narratore, Auster decide di fermare la lancetta dell’orologio, lasciando la tragedia sullo sfondo. L’11 settembre 2001 diventa un giorno felice, ancora racchiuso in una possibilità, come una gemma o un fiore sul punto di sbocciare: ancora una volta l’autore ci sta proponendo la domanda chiave della sua narrativa, cosa sarebbe accaduto se?.
Ma per adesso erano ancora le otto, e mentre camminavo lungo il viale sotto quello splendido cielo azzurro ero felice, amici miei, l’uomo più felice che sia mai vissuto.
Paul Auster, in fondo è stato un mirabile architetto del tempo, capace di tradurre la letteratura in un’idea di destino. Ha tracciato le sue mappe e ce le ha consegnate sottoforma di libri, senza prometterci nessun tesoro ma incoraggiandoci a seguire il percorso dei “mondi possibili”, sempre in bilico tra realtà effettiva e realtà immaginata. Impossibile determinare il ruolo del caso nelle nostre vite, era questa l’ossessione di Auster come scrittore e al contempo il suo potere, la possibilità di costruire e decostruire, di farsi inventore di trame, di diventare demiurgo del proprio universo.
È difficile ora stabilire quale delle due realtà sia più vera; la mente umana non fa distinzione tra realtà e immaginazione e, come autore, Auster si è servito di questo concetto. Ciascuno di noi, in fondo, non è che un groviglio in eterno divenire e, chissà, forse l’11 settembre sarebbe potuto essere un giorno felice - forse lo è stato nella vita di qualcuno.
“Un paese bagnato di sangue”: il libro postumo di Paul Auster
Un altro libro di Paul Auster è in arrivo. Lo pubblicherà postumo la casa editrice Einaudi nel mese di ottobre 2024.
Il titolo originale è Bloodbath Nation e sarà pubblicato in italiano con il titolo di Un paese bagnato di sangue nella traduzione di Cristiana Mennella.
In parte memoir, in parte saggio, il libro offre una riflessione sul ruolo che l’arma da fuoco ha rivestito nella vita di Paul Auster sino a denunciarne l’uso nelle numerose sparatorie compiute in America.
Auster narra di essere venuto a contatto con le armi sin dall’infanzia: dalla pistola giocattolo da cowboy sino alla baionetta usata per sparare nella fattoria di un amico; quando in seguito si arruolò nella marina mercantile si sorprese del rapporto sconsiderato che alcune persone avevano con le armi da fuoco. Attraverso queste pagine scopriamo anche che nella storia della famiglia Auster si è verificata una morte per arma da fuoco significativa: la nonna di Paul Auster sparò al nonno davanti agli occhi impotenti dello zio. Lo scrittore dichiara di aver sperimentato da sé come un’arma da fuoco possa uccidere non una sola persona, ma un’intera famiglia e si sposta, ancora una volta, dal piano individuale a quello collettivo narrando l’impatto della violenza su un’intera nazione. Riportando dati e avvenimenti che hanno segnato la storia e la cronaca recente, Auster cerca di rispondere alla domanda: perché l’America è un Paese violento?
Il libro è corredato dalle fotografie di Spencer Ostrander che documentano visivamente la brutalità delle sparatorie avvenute sul suolo americano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Addio a Paul Auster, lo scrittore dei mondi possibili
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