L’ispirazione del poemetto Picasso, facente parte della raccolta Le ceneri di Gramsci, nasce dalla visita che in una domenica del maggio 1953, “dorata”, “calda” e “silenziosa”, Pier Paolo Pasolini fece alla Galleria Nazionale di Arte Moderna in occasione dell’esposizione delle opere di Picasso, curata da Lionello Venturi e sostenuta dal PCI, giacché l’artista spagnolo era comunista.
Pubblicato nello stesso anno dalla rivista semestrale Botteghe oscure, ebbe numerose recensioni, che provocarono rilevanti discussioni.
Lo compongono nove sezioni da cui si rileva un tono polemico con una lingua tendenzialmente rivolta alla prosa.
Scopriamone testo, analisi e commento.
Picasso di Pier Paolo Pasolini: analisi e commento
Suggestivo l’incipit che mostra i “tremiti d’oro” che sparsi dal sole “sui floreali gessi e i gran ventagli / degli scalini. L’immobilità, ostile al cambiamento, si rileva nei versi che chiudono la prima sezione:
Una morte dolce come l’aria, / dove la classe più alta regna immota.
Il poeta, anche disegnatore e pittore, parla della prima tela, Il fumatore, rilevandone le tonalità, la tecnica artigiana, nonché l’invenzione artistica e gli viene in mente, riferendosi al periodo antecedente la prima guerra mondiale, lo spirito che nello scandalo promuoveva la “festa”: cioè, la nuova, prestigiosa modalità di espressione nel periodo francese di Picasso:
Insegna della Francia più alta, / quando il tramonto pareva un’infuocata / alba.
Difatti la pittura cubista, che si affermava nel “frantumarsi del secolo, assumeva un valore araldico. Nelle “riverberanti figurazioni”, sentendosi vicino a Picasso, scorge “Pura angoscia” e “pura gioia”. “
Recitano i versi:
Ecco l’Espressione, s’incolla alla cornea e al cuore, / irrichiesta, pura, cieca passione, / cieca manualità, impudico gonfiore / dei sensi, e, dei sensi, tersa noia.
Pasolini, avendo in mente la “cadente Francia” (quella della Rivoluzione francese o della seconda guerra mondiale), avrebbe accostato Goya a Picasso come suo successore. Bella l’immagine introduttiva della VI sezione che raffigura i visitatori in processione ordinata:
Orda del sentire e del fare, / non del credere.
Potrebbe anche riferirsi alle raffigurazioni di paesaggi e di persone o alle opere in cui “corporeo appare / il loro perduto essere oggetti”, identificate con La lampada (1931) o La poltrona rossa (1931).
Dopo aver caratterizzato alcune tele, utilizza l’ossimoro “calma furia di limpidità”, volendo dire che tali dipinti vanno ammirati per ciò che vi traspare e per la furia che, animandoli, li vivacizza. La critica a Picasso si fa accesa riguardo alle opere del secondo dopoguerra (sezione VIII):
Poi ecco, colmo, l’errore di Picasso:
esposto sopra le grandi superfici
che ne spalancano in pareti la bassa,fittile idea, il puro capriccio,
arioso, di gigantesca e bassa
espressività.
...
Assente
è da qui il popolo: il cui brusio tace
in queste tele, in queste sale...
Pasolini si riferisce specificamente alla tele più grandi: in particolare a quella raffigurante La Pace. Le osservazioni evidenziano un Picasso decontestualizzato, distante dalla storia e senza più il ruolo di nemico della borghesia. Il suo realismo è sostituito dalla fantasia come finzione mentre l’osannato idillio, di cui al catalogo della mostra, è a favore di un’idea bassa, fittile, capricciosa che genera l’assenza del popolo.
L’atto d’accusa è implicitamente rivolto non solamente al pittore. Anche al PCI che ne aveva celebrato le opere come espressione della lotta politica e quindi portavoce della sua ideologia.
Rispetto alla “calma furia limpidità” delle opere precedenti, il pittore spagnolo raffigura un idillio senza il presente storico quando invece, fuori dalle sale dell’esposizione della galleria, il popolo esplode “in un comune canto / ch’empie rioni e cieli, borghi e valli, / lungo l’Italia, fino all’Alpi, spanto / per declivi falciati e gialli frumenti – nei paesi della smarrita / Europa”.
Occorre per l’artista friulano restare dentro l’inferno “con marmorea volontà di capirlo”; qui è la salvezza:
Una società / designata a perdersi è fatale / che si perda: una persona mai.
Nell’incipit della sezione X Pasolini mostra il suo dolore per un Novecento che, appena cominciato (“ancora verde”), ha decenni “sfortunati” e “muti”.
Del resto, si tratta di un secolo:
Bruciato dalla rabbia dell’azione / non trascinante ad altro che a disperdere / nel suo fuoco ogni luce di Passione.
Preso di mira il vitalismo dannunziano, non vi si scorge un barlume di speranza.
Visitando le ultime stanze, le opere evocano momenti e luoghi della seconda guerra mondiale, quali “la periferia infetta dalle città incendiate”, “i cupi camions delle caserme dei fascisti”, “i carnami di Buchenwald”.
Terribili immagini che nelle tele dello “zingaro”, cioè Picasso, “si fanno infamanti feste, / angelici cori di carogne”. Richiamandosi Pasolini con molta probabilità all’opera di Erasmo da Rotterdam Elogio della follia, nonché alle maschere di Pirandello che non fanno scorgere la verità oltre le apparenze, affida la conclusione al motivo della “follia”:
… che bisogna
essere folli per essere chiari.
Come a dire che per essere “coscienza del Paese” occorrono limpidezza e trasparenza, tali da scuotere dall’accettazione passiva.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Picasso” di Pier Paolo Pasolini: analisi e commento del poemetto
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