Cos’è la poesia? E cosa vuol dire essere poeta? Dipende dall’epoca e dalla cultura di appartenenza; dipende soggettivamente dalla propria sensibilità e dai gusti. Insomma è cosa opinabile, quindi è impossibile dare una definizione univoca di poeta. E ancora ci sono grandi poeti che non vengono considerati in vita, mentre poetastri vengono celebrati come grandi poeti.
Cosa significa essere poeta?
Secondo il sentire comune, è poeta chi riesce a commuovere le persone, chi riesce a toccare le corde del cuore, chi canta i buoni sentimenti. Però spesso le persone hanno una percezione errata della poesia. È vero che esiste anche la poesia popolare, ma alcuni furbastri scelgono la strada più facile, ovvero quella di essere a tutti i costi pop.
Anche quando sono i poeti a cercare di definire il loro ruolo, non si trovano di fronte a un compito affatto semplice. Anzi è piuttosto complesso perché per definire chi è il poeta e cosa deve fare finiscono per descrivere la loro poetica e anche la loro concezione del mondo.
Il poeta e la modernità
Essere poeti alla fine significa essere tutto e niente allo stesso tempo. La modernità ha presentato al poeta il conto. La società di massa è spersonalizzante, la razionalità tecnologica ha detronizzato l’umanesimo e quindi quasi tutti gli artisti; il nichilismo ha fatto perdere i valori e non ne ha fatti sorgere di nuovi.
Di fronte a tutte queste problematiche oltre a quelle esistenziali, filosofiche, umane di sempre, il poeta può avere un atteggiamento maniacale, autoesaltato, superomista, megalomane, irrealistico oppure depressivo, ansioso, pessimista, realista, catastrofico; sono due modi diametralmente opposti di reagire alle avversità.
Forse sto semplificando, ma è cosa nota che molti poeti soffrono di disturbi di umore e che l’esperienza vissuta, il proprio sentire determina la cosiddetta visione del mondo, come ci insegna la fenomenologia.
Sicuramente il discorso sarebbe più complesso e articolato, ci saranno pure più sfaccettature e più sfumature, ma quello che propone questo articolo è un riassunto, che ripercorre a grandi linee le definizioni del poeta nella modernità.
I poeti maniacali e i poeti pessimisti
I poeti maniacali come Rimbaud, Carducci e D’Annunzio ritengono di poter essere incisivi nella realtà, di avere un ruolo definito e importante nel mondo, di essere superiori agli altri, di poter insegnare, guidare, illuminare gli altri. Insomma ritengono di essere degli eletti.
I poeti pessimisti invece sono sfiduciati, rassegnati. Dirò di più: un poeta può essere pessimista perché il mondo è totalmente impoetico ma anche perché prende atto dei limiti conoscitivi e metafisici dell’essere umano.
Esiste una via di mezzo?
A ogni modo in fondo essere maniacali o depressivi sono solo due poli e alcuni poeti si situano a metà strada tra queste due estremità, mentre altri sono proprio maniaco-depressivi oppure ciclotimici.
Non solo, ma ecco un altro input, un altro piccolo spunto di riflessione: Umberto Eco distingueva i letterati in apocalittici e integrati.
Altro spunto di riflessione: ovvero McDonald qualche decennio fa divideva l’arte e tutti gli artisti in due sole categorie, cioè masscult e midcult.
Cos’è un poeta? Le definizioni dei poeti stessi
Tra i maniacali a ogni modo abbiamo: la condizione di poeta veggente di Rimbaud, di poeta vate di D’Annunzio, del poeta come un grande arciere di Carducci, del poeta come un’elegantissima anima che va a cena sulle stelle del cantautore livornese Piero Ciampi.
Tra i depressi abbiamo: John Keats, che considera il poeta come la più impoetica delle creature, Pessoa con il poeta come fingitore (che finge cioè di provare un dolore che non prova e non ha), Corazzini con il poeta come piccolo fanciullo che piange, Palazzeschi con il poeta come saltimbanco dell’anima.
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Per Pascoli il poeta è un individuo non eccezionale, come per Rimbaud e D’Annunzio, ma una persona che ha scoperto il fanciullino dentro di sé e allora può portare meraviglia tra gli altri uomini.
Per Baudelaire il poeta è come un albatros, deriso e schernito dai marinai, apparentemente goffo e inutile, ma capace di attraversare i mari con le sue grandi ali e di sopravvivere alle tempeste della vita: quindi nella stessa metafora sono racchiuse sia le difficoltà del vivere quotidiano che le grandi potenzialità, più o meno espresse del poeta.
Per Majakovskij il poeta è un operaio, visione un poco retorica e campata in aria, comunque troppo simbolica a mio avviso, perché il poeta difficilmente rischia la vita con le sue parole a meno che non sia apertamente contro una dittatura, mentre ancora oggi ci sono troppi infortuni mortali sul lavoro.
Per Giorgio Caproni il poeta è come un minatore, che scava dentro la sua anima per dire cose nuove oppure le cose di sempre della vita in modo nuovo.
Infine in chiave sia ironico che intellettuale il critico letterario Roberto Galaverni paragona il poeta al cavaliere Jedi, supereroe delle guerre stellari. Che avesse ragione Freud quando scriveva che i poeti vorrebbero avere gloria, ricchezza, donne e allora scrivono per questo motivo, ma — aggiungo io — la scrittura stessa diventa anche un rifugio dal mondo?
La situazione, obiettivamente parlando, è che i poeti degni di tale nome hanno delle capacità intellettuali e un poco di cultura, ma sono stati al contempo spodestati dall’antico ruolo di cortigiani del sovrano e ora sono ai margini talvolta della società, come ad esempio Alda Merini e Valentino Zeichen.
Al mondo d’oggi perfino i poeti riconosciuti fanno i poeti come dopolavoro, per passione, nel tempo libero, proprio come un esercito sterminato di aspiranti e sedicenti poeti, che scrivono e non leggono. Oggi tutti sono poeti e nessuno è poeta. In questa poesia Vivian Lamarque sintetizza bene nell’ultima quartina la condizione di tanti poeti nostrani. In fondo molti poeti e molte poetesse baratterebbero tutta la gloria postuma con un poco di stima e di considerazione in vita:
“A vacanza conclusa dal treno vedere
chi ancora sulla spiaggia gioca si bagna
la loro vacanza non è ancora finita:
sarà così sarà così lasciare la vita?
PS.: Siamo poeti
vogliateci bene da vivi di più
da morti di meno
che tanto non lo sapremo.”
Ma forse la poesia italiana contemporanea che rappresenta meglio di tutte l’attività del poeta è questa di Valerio Magrelli. Non dimentichiamoci che dal ’900 in poi la migliore poesia è sempre stata intellettuale. La poesia meritevole di attenzione è oggi più cerebrale che sentimentale. Ogni poeta che si rispetti oggi possiede un certo grado di intellettualità. Ogni poeta che si rispetti è sempre in ascolto di sé e delle voci del mondo. E allora sono calzanti e adeguati questi versi di Magrelli:
“Io abito il mio cervello
Come un tranquillo possidente le sue terre.
Per tutto il giorno il mio lavoro
È nel farle fruttare,
Il mio frutto nel farle lavorare.
E prima di dormire
Mi affaccio a guardarle
Con il pudore dell’uomo
Per la sua immagine.
Il mio cervello abita in me
Come un tranquillo possidente le sue terre.”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il poeta nella modernità: riflessioni, definizioni ed esempi celebri
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