Una delle principali cose da sapere sul Rinascimento, per conoscere questo periodo e comprenderne i tratti caratterizzanti, è la sua esatta collocazione temporale: generalmente, si fa infatti coincidere questo momento con il periodo intermedio tra Medioevo ed Età Moderna, sebbene occorra fare un’ulteriore, necessaria distinzione. Sono, infatti sia l’Umanesimo che il Rinascimento a interporsi tra la storia medievale e quella della modernità e il secondo è da considerare a sé stante, seppur caratterizzato da molti punti di contatto col primo, elabora, infatti, e porta a compimento concetti e premesse già presenti nell’Umanesimo e ha dei connotati propri.
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Il termine Rinascimento fu utilizzato, per la prima volta, nel 1855, dallo storico Jules Michelet per indicare la “scoperta del mondo dell’uomo” mentre fu, poi, ne “La civiltà del Secolo del Rinascimento in Italia” di Jacob Burckhardt (che riprendeva una definizione di Giorgio Vasari) che questo termine arrivò ad individuare un preciso momento storico, collocabile tra la seconda metà del XV secolo e i primi tre decenni del XVI secolo.
Tra le cose da sapere sul Rinascimento la principale, forse, proprio che questo complesso movimento artistico, letterario ma anche scientifico, diede luogo a una significativa rivoluzione culturale, possibile anche grazie a una fase diffusa di crescita e benessere economici e alla lungimiranza delle figure protagoniste della scena politica dell’epoca.
In consonanza con l’Umanesimo grande valore fu assegnato alla lezione dei classici non solo in ambito linguistico e stilistico ma anche in ambito filosofico ed estetico. Tali ideali oltre ad estendersi in tutti i campi dello scibile umano, compreso il sapere scientifico, ebbero anche un’applicazione pratica e influenzarono il modo di porsi dell’uomo nella società e nel mondo.
Il Rinascimento: il contesto storico-politico
L’epicentro del Rinascimento, come anche della cultura umanistica, è l’Italia, patria della vita culturale, artistica ed intellettuale e, allo stesso tempo, scenario di un quadro politico estremamente frammentato, dove al potere delle corti si affianca quello delle potenze straniere.
Alla piena crisi degli antichi stati italiani, nella loro forma repubblicana, seguono le Signorie: nel primo Cinquecento città come Firenze (Este), Milano (Sforza), Firenze (Medici), Mantova (Gonza), Urbino (da Montefeltro) ma anche Venezia e Roma (Papato) diventano centri culturali di primaria importanza, luoghi di grande splendore che, grazie alla lungimiranza e all’importanza assegnata alla politica culturale dai loro principi, si configurano come poli d’attrazione per artisti, letterati, scienziati che godono di ospitalità, finanziamenti e prestigio.
La frammentazione politica e militare è condizione dell’effervescenza culturale ma anche fattore di crisi e debolezza: l’Italia, infatti, priva di un centro decisionale e di un esercito in grado di difenderla fu preda delle mire espansionistiche di Francia e Spagna. Sotto la sfera d’influenza di quest’ultima, dopo la pace di Cateau-Cambrésis (1559) entreranno molti stati italiani.
La Riforma protestante e lo scisma causato dalle tesi di Martin Lutero (1483-1546) che si opponeva alla pratica della vendita delle indulgenze da parte della Chiesa di Roma fu un evento che ebbe conseguenze anche ideologiche: la rottura dell’unità del mondo cristiano determinò la reazione della Chiesa Cattolica che con il Concilio di Trento (1545-1563) e la Controriforma dischiuse un periodo caratterizzato da un profondo senso d’angoscia d’inquietudine e da una minore libertà artistica e intellettuale, fattori questi che determinarono la crisi degli ideali rinascimentali e l’esaurirsi della loro spinta propulsiva.
Economia e società nel Rinascimento
Le nuove scoperte geografiche iniziate nel 1492, con la scoperta dell’America da parte di Colombo, sconvolsero la prospettiva mentale dell’uomo europeo, rimettendo in discussione e relativizzando verità ritenute fino ad allora indiscutibili.
La preponderanza della cultura cortigiana determinò anche l’affermarsi definitivo del volgare sul latino che gli Umanisti avevano, invece, privilegiato, essendo impegnati nella riscoperta dei classici e nella diffusione classicismo. All’italiano volgare si inizia a guardare, seppur in forma ancora aurorale, come una lingua nazionale, antitetica al latino.
A ciò occorre affiancare un’innovazione tecnica di primaria importanza, la stampa a caratteri mobili, che determinò la centralità culturale di Venezia, soprattutto in campo editoriale, grazie alla figura di Aldo Manunzio.
La diffusione dei libri modificò radicalmente anche la percezione del testo scritto: se, infatti, testi che potevano potenzialmente essere letti da tutti, potevano essere prodotti a un costo molto basso, il pubblico a cui si rivolgeva lo scrittore non era più la corte, quanto piuttosto, il popolo (sebbene sia ancora prematuro parlare di popolo come di lingua nazionale). Fu anche per questo che il volgare si affermò sul latino che, comunque, era stata la prima lingua diffusa dalla stampa, per diffondere quei testi della cultura classica (latina ma anche greca) che la cultura umanistica aveva recuperato nei monasteri e nell’impero bizantino.
Il Rinascimento nella letteratura
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Alla base della cultura rinascimentale, come anche dell’Umanesimo, vi è l’esaltazione dell’uomo e del valore della sua vita terrena, sostenute da una profonda fiducia nelle sue capacità intellettive e nelle sue virtù etiche.
L’uomo, che intrattiene un rapporto armonico con la realtà circostante, assume un ruolo centrale in essa: riesce a comprenderla e a dominarla grazie alla ragione, al sapere degli antichi che è oggetto di un rinnovato interesse, di recupero, di studio attento e approfondito e di una diffusione capillare. L’uomo affronta le difficoltà che si trova di fronte non perché spera in una ricompensa ultraterrena ma perché ha l’occasione di dimostrare la propria virtù mettendo in pratica le sue capacità e le sue competenze: si afferma, così, il primato della cultura e delle arti.
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La riscoperta dei classici (e la correlata nascita della filologia), già presente nell’Umanesimo, prosegue nel Rinascimento: il dibattito sulla “Poetica” di Aristotele conduce a una teorizzazione dei modi e delle finalità dell’espressione artistica mentre la riflessione sull’“Ars poetica” di Orazio e sulla celebre formula del “miscere utile dulci”, porta all’affermazione della finalità pedagogica del testo letterario all’interno del quale avrebbero dovuto trovare posto sia i precetti morali che il piacere estetico.
Altro dibattito teorico di primaria importanza nel Rinascimento è quello relativo alla questione della lingua. Il volgare si affermò presto come lingua necessaria per parlare alla corte ma anche a chi non ne faceva parte e contribuì al grande apprezzamento dei poemi cavallereschi – “L’Orlando innamorato” di Ludovico Ariosto e la “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso - commissionate da ma anche scritte per i cortigiani. Da qui prese il dibattito teorico e critico (la cosiddetta “questione della lingua”) su quale dovesse essere il volgare più adatto alla scrittura letteraria: a Dante che già aveva affrontato la questione nel Medioevo, seguirono le proposte di Machiavelli, sostenitore del “fiorentino vivo”, di Baldassarre Castiglione, il migliore esempio di cortigiano cinquecentesco che nel “Libro del Cortegiano” realizzò un vero e proprio manuale di pedagogia per l’uomo di corte e sostenette che la lingua delle lettere dovesse, appunto essere quella delle corti e, infine, di Pietro Bembo (la posizione teorica che nel tempo si affermò) che nelle “Prose della volgar lingua” identificò in Petrarca e in Boccaccio i modelli a cui ispirarsi per la lingua della poesia e della prosa. La tendenza classicista (alla quale può essere ricondotta anche la posizione di Bembo) che, ispirata da un ideale di ordine e di razionalità, intende l’arte e la letteratura come forme di espressioni capaci di trascendere la dimensione contingente ebbe, comunque, un suo contrappunto in singoli scrittori che adottarono forme stilistiche espressionistiche, talvolta burlesche (Francesco Berni), talvolta scanzonate e irriverenti (Pietro Aretino), talvolta dialettali (Teofilo Folengo, Ruzzante).
Il genere principale del Cinquecento è, però, la trattatistica, genere nel quale l’intellettuale cortigiano offre al lettore un modello di conoscenza del reale, una partizione del sapere con la quale dà prova di una formazione accurata e poliedrica.
Oltre al già citato “Cortegiano” di Baldassarre Castiglione (1478-1529) e al “Galateo” di Giovanni della Casa (1503-1556), veri e propri manuali del perfetto uomo di corte, è la storiografia una delle discipline al quale occorre guardare con più attenzione. Nei “Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio” e, soprattutto, nel “Principe”, Niccolò Machiavelli individua nella politica una disciplina indipendente che trova in sé stessa i propri principi e i propri codici di comportamento e non nella morale.
Francesco Guicciardini, nei “Ricordi” e nella “Storia d’Italia”, scandisce una riflessione politica di sapore pessimistico dove la componente soggettiva riveste una importanza preponderante, la diversità dell’operato individuale fa sì che anche al verificarsi di condizioni simili non possa mai ripetersi lo stesso, identico scenario storico.
La filosofia e la scienza rinascimentali
Il tratto saliente del pensiero rinascimentale è il crollo del modello tolemaico, in seguito al progresso scientifico: non vi è più un cosmo ordinato che ha la terra al suo centro mentre l’uomo, parte dell’universo, diviene un elemento attivo nella natura: agisce e influisce su di essa, oltre ad esserne influenzato. Niccolò Copernico (1473-1543) è il primo a formulare quella teoria eliocentrica, tanto dibattuta e avversata che, difesa anche da Giordano Bruno, sarà perfezionata e da Tycho Brahe (1546-1601) e da Galileo Galilei (1564-1642), scienziato che offri numerosi e fondamentali contributi anche per la formazione del nuovo metodo scientifico moderno, nel “Sidereus Nuncius”, ne “Il Saggiatore” e nel “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”.
Accanto alle scienze esatte persiste nel Rinascimento l’interesse per scienze occulte quali la magia, l’alchimia, l’astrologia e la cabala, sviluppate sovente secondo un’impronta gnostica e iniziatica. Il recupero dei testi platonici e neoplatonici avviato da Marsilio Ficino dà luogo a una filosofia di stampo idealistico dove l’uomo, e non Dio, è posto al centro del mondo e la realtà delle cose è collocata in un mondo slegato dalla dimensione materiale. L’aristotelismo, corrente maggioritaria nel Medioevo, grazie al ritorno in Occidente di testi dello stagirita prima sconosciuti, vira verso l’approfondimento degli aspetti naturalistici della sua filosofia.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Rinascimento: le cose da sapere per conoscerlo e studiarlo
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News Scuola Filosofia e Sociologia Scienza Storia della letteratura Ludovico Ariosto
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