Quando ci si riferisce a Cecco Angiolieri la mente corre subito a S’i fosse foco, la poesia che, probabilmente, lo rappresenta più di qualsiasi altra.
Questo sonetto in effetti, accuratissimo dal punto di vista formale, ha fatto sì che il suo autore acquisisse nei secoli fama non solo di grande artista, ma anche di uomo sovversivo e turbolento, capace di ribellarsi alle convenzioni e alle regole di una società che gli stava stretta.
Ma è davvero così?
In realtà Angiolieri è una personalità complessa che si può pienamente comprendere solo se la si inquadra nel contesto storico, culturale e sociale nel quale visse e si espresse.
Lo stesso vale per S’i fosse foco, la sua poesia più celebre e irriverente, che poi è anche una delle più riuscite del filone comico-realistico toscano del ’200, della quale di seguito analizziamo testo e significato.
S’i fosse foco: testo del sonetto
«S’i’ fosse foco, ardere’ il mondo;
s’i’ fosse vento, lo tempestarei;
s’i’ fosse acqua, i’ l’annegherei;
s’i’ fosse Dio, mandereil’en profondo;s’i’ fosse papa, serei allor giocondo,
ché tutti cristïani embrigarei;
s’i’ fosse ’mperator, sa’ che farei?
a tutti mozzarei lo capo a tondo.S’i’ fosse morte, andarei da mio padre;
s’i’ fosse vita, fuggirei da lui:
similemente faria da mi’ madre,S’i’ fosse Cecco, com’i’ sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre:
le vecchie e laide lasserei altrui.»
S’i fosse foco: parafrasi
Se io fossi il fuoco, brucerei il mondo;
se io fossi il vento, scatenerei la tempesta su di esso;
se io fossi l’acqua, lo annegherei;
se io fossi Dio, lo farei sprofondare;
se fossi il papa, allora io sarei allegro,
perché metterei nei guai tutti i cristiani;
se io fossi imperatore, sai cosa farei?
Taglierei a tutti la testa per intero.
Se io fossi la morte, andrei da mio padre;
se fossi la vita, fuggirei da lui:
ugualmente farei con mia madre.
Se io fossi Cecco, come sono e fui,
prenderei le donne giovani e belle:
e lascerei agli altri quelle vecchie e brutte.
S’i fosse foco: metrica, stile e figure retoriche
La personalità scanzonata e sopra le righe dell’autore non deve trarre in inganno: S’i fosse foco, così come gli altri componimenti di Cecco Angiolieri, ha una struttura ricercata e studiata nei minimi particolari e denota una profonda conoscenza delle regole della poetica del tempo.
Lo vediamo innanzitutto dalle figure retoriche presenti e dall’uso sapiente della punteggiatura, che nulla lascia al caso.
L’anafora domina la prima quartina, ma compare, via via a scemare in quantità, anche nelle strofe successive (S’i fosse), mentre per quattro volte il condizionale chiude il verso (tempestarei, annegherei, imbrigarei, farei).
Questa particolare costruzione imprime al sonetto una struttura compatta e perfettamente simmetrica, alla quale contribuisce anche la cesura che, in nove versi su quattordici, si trova sempre nella stessa posizione.
La punteggiatura è l’altro punto di forza sotto l’aspetto formale di S’i fosse foco: a parte due virgole, dodici versi si chiudono con un segno di interpunzione forte, ovvero punto, punto e virgola e due punti.
E’ un espediente che serve a scandire bene un verso dall’altro e ad imprimere all’insieme un ritmo incalzante, quasi martellante, che si alleggerisce solo nell’ultima terzina, quando anche la veemenza e la costruzione anaforica si affievoliscono.
Analisi e commento
A lungo in passato, soprattutto nell’800 e nel ’900, S’i fosse foco ha fatto sì che il suo autore venisse considerato il prototipo dell’artista e dell’intellettuale ribelle, una sorta di "poeta maledetto" ante litteram, rancoroso fino a sfociare nella blasfemia.
La critica attuale, tuttavia, tende a ridimensionare tale giudizio, partendo dal presupposto che non sia possibile, evidentemente, trasferire schemi concettuali moderni su una persona vissuta in un periodo tanto distante dal nostro.
Chiariamoci però: le poche fonti biografiche a disposizione testimoniano realmente un modus vivendi non comune e un temperamento irascibile, ma Cecco Angiolieri fu anche e innanzitutto un fine poeta perfettamente calato nell’ambiente culturale del suo tempo, con una visione dell’esistenza e della letteratura ben precisi, rispondenti a canoni ormai lontani e che pertanto può essere pienamente compreso solo se non si pretende di decontestualizzarlo da quello che fu il suo mondo.
Il contenuto anarchico, arrabbiato e addirittura rivoluzionario di S’io fosse foco, almeno in gran parte, altro non è che un artificio tipico del genere comico-realistico che si affermò in Toscana intorno al 1260 e di cui Cecco Angiolieri, senese di nascita, fu il più grande esponente.
Bruciare il mondo o inondarlo, tagliare teste, creare tempesta, far morire i propri genitori e, in sostanza, la manifesta vocazione alla distruzione totale che si evince dalla lettura del sonetto non corrispondono ai reali desideri dell’autore, ma alla sua volontà di aderire ai criteri imposti dalla corrente letteraria di cui aveva deciso di far parte.
La vera personalità di Angiolieri, semmai, si esprime nell’ultima terzina, dove i toni diventano meno incandescenti e l’ironia si sostituisce al cieco furore dei versi precedenti.
Qui Cecco dichiara di volere per sé le donne giovani e belle e di voler lasciare quelle brutte e vecchie agli altri, affermazione che non stupisce da parte di un viveur noto ai contemporanei come un raffinato gaudente amante del gentil sesso, del buon cibo e degli agi.
"S’i fosse foco" cantato da Fabrizio De André
Una curiosità: il testo del sonetto di Cecco Angiolieri fu musicato nel 1968 dal cantautore Fabrizio De André e proposto nell’album Volume III con lo stesso titolo "S’i fosse foco".
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: S’i fosse foco: testo, parafrasi e analisi del sonetto di Cecco Angiolieri
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