

Desamorais.v, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons
Venerdì 21 Marzo 2025 alle ore 20.00, lo scrittore e regista Emmanuel Carrère, nella sede del Teatro Studio Borgna, durante la rassegna romana “Libri Come 2025 – Festa del libro e della lettura” terrà un reading in omaggio dello scrittore e fotografo Édouard Levé, autore di Autoritratto e di Suicidio (Bompiani, 2007), il suo romanzo più noto anche per le circostanze drammatiche della sua morte per impiccagione.
Il suicidio nella letteratura


Link affiliato
Esiste una vasta pubblicistica su questo tema scritta da filosofi, psicologi, psichiatri e sociologi, richiamando anzitutto i testi di Platone e Seneca e i lavori di Freud e Durkheim, ma il testo più prezioso è quello del critico letterario inglese Al Alvarez (1929- 2019) con il suo Il Dio selvaggio. Suicidio e letteratura, uscito nel 1971, pubblicato nel 1975 da Rizzoli e da Odoya nel 2017.
Poi ci sono altri testi italiani come quello di Susanna Schimperna L’ultima pagina (Iacobelli, 2020), e io stesso su Sololibri.net ho pubblicato l’articolo Gli scrittori e il suicidio: la storia di un “vizio assurdo” da Dante a Camus.
Dopo di noi il Dio Selvaggio
scriveva il poeta Yeats in Autobiografie parlando di Tezcatlipoca, la divinità atzeca della notte, nemica di tutti e di tutto, portatrice di guerra anche contro se stessi. È il dio fulminatore al quale Alvarez s’ispira per intitolare il suo libro, ma il suo saggio sul suicidio, rispetto ad altri lavori, rispetta l’intimità e non fa pettegolezzi su chi ha deciso di chiudere anzitempo la propria vita. Scrive Al Alvarez nel suo saggio:
Il tema del mio lavoro è il suicidio e la letteratura, non il suicidio nella letteratura. Non mi interessano cioè tutte quelle tragiche autosoppressioni cui gli autori, fin da quando ha avuto inizio la letteratura, si sono sbarazzati di personaggi da loro stessi creati. […] L’argomento da me scelto è più vago e meno facile da determinare: non tratta di suicidi specificamente letterari, bensì dell’attrattiva che questo genere ha esercitato sull’immaginazione creativa.
Non sappiamo se Alvarez ha letto e commentato il libro e il reale suicidio di Levé e se la sua drastica scelta è la conseguenza di una forte attrattiva di stampo esistenziale o artistico.
Édouard Levé: vita e opere
Édouard Levé (1965– 2007) è stato un fotografo e scrittore francese. È stato pure un pittore astratto, ma poi aveva scelto di distruggere tutte le sue tele per darsi alla fotografia. Le serie fotografiche più famose sono Pornographie, dove alcuni modelli perfettamente vestiti mimano pose palesemente pornografiche, mentre i loro visi non esprimono assolutamente nulla. In Angoisse, Levé gioca con il termine “angoscia” e vi associa delle immagini fotografiche “angoscianti” di un’anonima cittadina francese.


Link affiliato
Come scrittore, prima di Suicidio, aveva pubblicato
- Opere (2002), dove descrive 533 opere d’arte per le quali ha avuto l’idea, ma non le ha prodotte;
- Diario (2004), dove Levé compone un collage di notizie delocalizzate, spersonalizzate e de-ideologizzate che hanno lo scopo di suggerire una serie di riflessioni sull’arte, la letteratura o la narrativa;
- Autoritratto (2005), dove presenta se stesso in 1.400 e più frasi, una raccolta dei pensieri personali, organizzati non in ordine cronologico, ma saltando da un’idea all’altra, senza che ci sia un formale collegamento tra loro.
C’è in Levé, scrive la critica, continuità tra la parola dei suoi testi e l’immagine delle sue serie fotografiche. La sua opera fotografica e quella letteraria sono intimamente e concettualmente collegate. L’artista e docente universitario Denis Briand aveva definito la sua
un’opera di coerenza implacabile e inquietante in cui la forma letteraria sembra continuare e duplicare quella della fotografia.
Per alcuni critici, in Levé sono forti i richiami al movimento dadaista, allo scrittore francese Georges Perec e all’esperienza di OuLiPo. OuLiPo: Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero "officina di letteratura potenziale", è un gruppo di scrittori e matematici che mira a creare opere usando, tra le altre, le tecniche della scrittura vincolata, detta anche a restrizione. Venne fondato nel 1960 da Raymond Queneau e François Le Lionnais. Altri membri di spicco sono stati i romanzieri Georges Perec e Italo Calvino.
Per Carrère, il pittore, fotografo e artista Levé
faceva quella che si dice arte contemporanea e i quattro libri che ha scritto sono tanto concettuali quanto, ad esempio, la sua serie di fotografie pornografiche vestite o i suoi ritratti di omonimi di persone famose.
“Suicidio”: contenuto dell’opera
Il suicidio di un familiare o di un amico è per molti un’esperienza devastante. Alcuni scrittori l’hanno raccontata anche con opinioni differenti, come fece Majakovskij di fronte al suicidio di Esenin:
In questa vita / non è difficile / morire / Vivere / è di gran lunga più difficile.


Link affiliato
O come Pierre Drieu La Rochelle che scrive il romanzo Fuoco Fatuo e le brevi pagine di Addio a Gonzague ispirato dalla morte per un colpo di pistola al cuore dello scrittore dadaista e surrealista Jacques Rigaut, autore di Agenzia generale del suicidio.
Morire è ciò che potevi fare di più bello, di più forte, di più.
Poi per un tragico gioco del destino e degli specchi, sia Majakovskij che Drieu La Rochelle moriranno suicidi anche loro.
Pure Levé si toglie la vita, impiccandosi il 5 ottobre 2007 dopo aver consegnato dieci giorni prima al suo editore parigino il manoscritto di Suicidio, che raccontava il suicidio, avvenuto vent’anni prima, di uno dei suoi amici adolescenti.
L’incipit di quello che, pur definito un romanzo, non ne rispecchia i tradizionali canoni narrativi – trama, personaggi, conflitti, dimensione temporale storico-geografica, azioni, dialoghi, ecc. – è comunque accattivante per il lettore, attratto dal titolo brutale e inequivocabile, in cerca di una storia drammatica:
Un sabato d’agosto esci di casa in tenuta da tennis insieme a tua moglie. Mentre attraversate il giardino le fai notare che hai dimenticato la racchetta. Torni a prenderla, ma, anziché dirigerti verso l’armadio dell’ingresso dove la tieni di solito, scendi nella tavernetta. Tua moglie non se ne accorge, è rimasta in giardino, c’è bel tempo, si gode il sole. Dopo qualche istante sente un colpo d’arma da fuoco. Si precipita in casa, grida il tuo nome, vede che la porta della tavernetta è aperta, scende, e ti trova. Ti sei sparato in bocca col fucile che avevi appositamente preparato. Hai lasciato sul tavolo un libro di fumetti aperto su una doppia pagina. Nell’emozione, tua moglie si appoggia al tavolo e fa cadere il libro, che si richiude prima che lei possa capire quale fosse il tuo ultimo messaggio.
Le prime sedici righe conquistano e affascinano il lettore, immaginando l’inizio di un dramma avvolgente e pieno di pathos, in aggiunta a un elemento di curiosità: il libro di fumetti aperto che cadendo si richiude nascondendo chissà quale messaggio. Dopo di che Suicidio si sviluppa in un unico capitolo di cento pagine, dove i personaggi sono il narratore Io (alias Levè) e Tu, l’amico che si è tolto la vita. La prosa è asciutta, le frasi sono brevi e nello stesso tempo brutali e angoscianti per il lettore, che è costretto a leggere il testo in breve tempo senza interrompere la lettura per non perdere i legami tra pensieri e immagini in divenire, come accade con un frame fotografico. Il lettore ha il compito, non facile, di costruire una continuità a partire dalle brevi frasi di un lungo monologo.
Così parla Io:
Parlavi poco, perciò era raro che avessi torto. […] Ora non parli più, perciò avrai sempre ragione. A dire il vero parli ancora, per quelli che, come me, ti fanno rivivere e ti interrogano […] A te le verità, a noi gli errori. Resti vivo finché sopravvivono quelli che ti hanno conosciuto. Morirai insieme all’ultimo di loro. Sempre che qualcuno non ti abbia fatto rivivere a parole nella memoria dei propri figli. Per quante generazioni potresti vivere così, da personaggio orale?
L’amico Tu rivive attraverso la linfa narrativa di Io/Levé e forse questa è una delle funzioni della scrittura, ossia quella di tenere in vita per sempre un personaggio immaginario o reale, almeno fino a quando un lettore/figlio aprirà le pagine di quel particolare libro.
Nelle ultime pagine del libro, Io/Levé interroga l’amico Tu:
Non hai lasciato una lettera che spiegasse la tua morte a chi ti voleva bene. Sapevi perché volevi morire? Se sì, perché non scriverlo? […] Forse hai voluto lasciare nel mistero la tua morte pensando che non ci fosse nulla da spiegare. Esistono buoni motivi per suicidarsi?
Le ultime quattro righe di Suicidio sono devastanti:
L’egoismo del tuo suicidio ti amareggiava. Ma, sulla bilancia, la quiete della morte ha avuto la meglio sulla dolorosa concitazione della tua vita.
“Suicidio” e il gioco di riflessioni
Il lettore, in un gioco di riflessioni (è sempre presente il tema o l’archetipo del doppio e dello specchio) si specchia in Io e Tu e si domanda chi è il suicida e se è costui è predestinato a compiere quel gesto o ci si toglie la vita per motivi imperscrutabili, come accade al nostro personaggio che ha dimenticato la racchetta e che nella tavernetta imbraccia il fucile.
Poco più indietro, a pag. 102 e seguenti del libro edito da Bompiani, Levé ci fornisce una spiegazione che può catturare il lettore del romanzo tradizionale, quello infarcito di misteri e di presentimenti. L’amico Tu aveva il vezzo di acquistare abiti usati.
Avevi acquistato un paio di scarpe inglesi di pelle nera, eleganti e sobrie. […] la pelle conservava l’impronta del vecchio proprietario. La parte anteriore delle scarpe si era sagomata secondo la forma dei suoi piedi, simili ai tuoi. Quando le hai provate si sono adattate perfettamente alla tua morfologia, come se le avessi calzate per mesi […]. Hai deciso di acquistare quel nuovo paio. Trovarlo per caso in un negozio di vestiti usati ti è sembrato un segno. Non sapevi ancora perché. L’avresti scoperto presto.
Infatti, più avanti Io/Levé fa sapere al lettore, tramite una donna incontrata per caso dall’amico Tu in un buffet di un meeting, che quelle scarpe appartenevano a un suicida.
La donna […] aveva riconosciuto le scarpe che calzavi. Erano quelle che aveva regalato a suo nipote e che la madre aveva nesso in vendita dopo che il ragazzo si era suicidato.
Da scrittore, Édouard Levé utilizza in appendice di Suicidio un escamotage narrativo per dare un senso alla vita e al gesto dell’amico Tu. Fa trovare dalla moglie una raccolta di ben 79 terzine nel cassetto della scrivania. Eccone alcune:
Aggiungere mi tenta
Lasciare mi rassicura
Togliere mi liberaL’unico mi sorprende
il doppio mi somiglia
il triplo mi rassicuraNascere mi succede
Vivere mi occupa
Morire mi completaLa felicità mi precede
La tristezza mi segue
La morte mi aspetta
Per concludere, Suicidio è l’autoritratto di Levé, lo scrittore e fotografo che ha indossato le scarpe di pelle nera, eleganti e sobrie, del suo amico.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è Édouard Levé, l’autore francese di “Suicidio” che si tolse la vita
Lascia il tuo commento