La Pasqua è un tema ricorrente nella discografia di Franco Battiato che, da grande sperimentatore musicale, non disdegnava gli intermezzi in latino nelle sue canzoni. Pensiamo a Pasqua Etiope, in cui viene ripetuta anche la formula cristiana del “Kyrie eleison, Christe eleison”, oppure alla celebre Scalo a Grado, ambientata proprio nella domenica di Pasqua nella località friulana sul mar Adriatico. Il tema pasquale affascinava Battiato, soprattutto dal punto di vista spirituale, in quanto la Pasqua in tutte le narrazioni che ne vengono fatte sembra custodire un mistero e le sue rappresentazioni sono spesso cruente, violente e scenografiche. Nei paesi del Sud Italia, tra cui la Sicilia, terra d’origine di Battiato, si usano ancora processioni e fiaccolate con costumi tipici, spesso addirittura spaventosi, per celebrare la passione e la resurrezione di Gesù.
Nelle sue canzoni di Pasqua, nonostante le citazioni dei versetti in latino, Battiato riusciva a mettere d’accordo tutti, persino gli atei e gli agnostici. Scalo a Grado, contenuta nell’album L’arca di Noè (1982) che seguì l’indiscusso capolavoro La voce del padrone (1981), ne è la prova: in questo testo sussurrato il cantautore siciliano condannava la religiosità artefatta del nostro tempo, dove ormai la celebrazione del rito ha sovrastato il suo significato.
La canzone, proprio come una poesia, si presta a diversi livelli di lettura: c’è la critica sociale, la constatazione di un vuoto spirituale imperante e anche la satira che diventa quasi sberleffo dissacrante nell’immagine finale dei fedeli che porgono la lingua al prete per ricevere la comunione, quindi la redenzione dei peccati. Battiato in questo testo gioca anche col significato proprio di “Resurrezione” e sul suo vuoto di senso nell’epoca attuale: nel continuo rincorrere l’apparenza, nel soddisfare i bisogni materiali e immediati, abbiamo perso di vista lo spirito. Franco Battiato affidava al suo testo un messaggio satirico - la folla di fedeli che addirittura “corre” per andare a messa ci strappa subito un sorriso e pure i salmi stonati - ma anche un presagio.
Le parole in latino, che ricalcano l’omelia del prete, rintoccano come un avvertimento “dona a noi la pace”, ecco l’augurio di Pasqua di Franco Battiato.
Scopriamo testo , analisi e significato della canzone.
“Scalo a Grado” di Franco Battiato: il testo
Ho fatto scalo a Grado
La domenica di Pasqua
Gente per le strade
Correva andando a messa
L’aria carica d’incenso
Alle pareti le stazioni del calvario
Gente fintamente assorta
Che aspettava la redenzione dei peccati
Agnus dei qui tollis peccata mundi miserere
Dona eis requiem
Dona eis requiem
Il mio stile è vecchio
Come la casa di Tiziano
A Pieve di Cadore
Nel mio sangue non c’è acqua
Ma fiele che ti potrà guarire
Ci si illumina d’immenso
Mostrando un poco la lingua
Al prete che dà l’ostia
Ci si sente in paradiso
Cantando dei salmi un poco stonati
Agnus dei qui tollis peccata mundi miserere
Dona eis requiem
Dona eis requiem.
“Scalo a Grado” di Franco Battiato: la canzone
“Scalo a Grado” di Franco Battiato: analisi e commento
Ci immerge in una riflessione profonda lo sguardo estraniato del protagonista di Scalo a Grado, che forse immaginiamo con il volto di Nanni Moretti per colpa del film Bianca in cui la canzone risuona di sottofondo nella celebre scena della spiaggia. In effetti Moretti è il protagonista perfetto per una canzone di Battiato e il suo scanzonato disincanto si addice particolarmente a Scalo a Grado: non è difficile immaginarlo mentre, con espressione stralunata, osserva la folla di uomini impazzita attorno a lui. Moretti è perfetto per impersonare il singolo, individuale ed eccentrico, estraneo alle leggi del branco; non è difficile vedere in lui l’unico uomo che rimane in piedi durante l’imminenza di un’apocalisse, solo in una città deserta, oppure solo in una spiaggia affollata. Si può essere soli in mezzo alla folla? Certamente sì; niente incarna meglio questo concetto di una canzone di Battiato o di un film di Nanni Moretti.
In Scalo a Grado, in particolare, la solitudine diventa un punto di vista da cui contemplare il mondo circostante. Quest’uomo, in particolare, che giunge nella cittadina friulana sembra essere atterrato su un pianeta alieno, eppure è circondato dai suoi simili. La trama della canzone si regge su continui paradossi. Gli uomini che seguono il rito - dunque partecipano alla messa, recitano le preghiere e i salmi - sembrano progressivamente disumanizzarsi, diventare finti, addirittura fasulli. La ripetizione formale dei gesti trasforma gli individui in folla, tramuta l’umano in una pluralità indistinta. L’aria carica di incenso sembra evaporare, donando all’intera scena una connotazione surreale ed evanescente. Le frasi in latino, ripetute con una tonalità alterata, amplificano la sensazione di irrealtà. La domenica di Pasqua di Battiato sembra verificarsi su una soglia, in bilico tra mare e terra e tra terra e cielo; c’è il presentimento di un confine. L’io narrante (o osservante, comunque vogliamo definirlo) osserva un rituale che si è progressivamente svuotato di senso: la gente si professa credente ormai per abitudine, non più per vocazione o fede, ha l’ansia di correre dal prete per la redenzione dei peccati. Lo sguardo estraniato - ed estraniante - di chi osserva sembra prendere atto di un vuoto morale (e spirituale) incolmabile. Viene parafrasata persino Mattina di Ungaretti, con quel M’illumino d’immenso che qui acquisisce un significato tutt’altro che salvifico: se il poeta con quella frase ci comunicava l’inesprimibile, ecco che invece Battiato ce la ritorce contro, mostrandoci la pochezza della nostra speranza, la vanità dei nostri buoni auspici. Davvero basta mostrare la lingua al prete per la redenzione dei peccati? Questa è la domanda inespressa, formulata nel gesto che cantato da Franco Battiato suona quasi come uno sberleffo o una bestemmia. Il salmodiare in latino finale - una sorta di lingua estranea, incomprensibile - sembra ridare alle cose il loro giusto significato. “Dona eis requiem”, dona a loro la pace, infine, è tutto ciò che rimane da dire: la parola che libera dal dolore, l’unica vera preghiera che sembra salvare l’Umanità. Battiato ci sta invitando, ancora una volta, a guardare oltre l’apparenza e a cogliere l’essenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Scalo a Grado”: il significato della domenica di Pasqua secondo Battiato
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