Perché si ha l’impressione che Franco Battiato nella canzone La cura abbia detto tutto sull’amore? Eppure, a un’analisi più attenta, la parola “amore” è citata soltanto una volta e in una specie di associazione sinestetica, “profumi d’amore”, toccata in maniera quasi incidentale.
Il cantautore stesso disse più volte che il senso complessivo del brano era “salvezza” e la speranza di una liberazione dal dolore dell’esistenza. La visione dell’amore trascendentale (ma non solo) proposta da La cura continua a consolarci, come una preghiera, mostrandoci che, in fondo, tutto il nostro bisogno di sentirci amati ha molto a che vedere con la capacità di conforto e che la nostra capacità di amare si lega alla protezione, alla difesa, soprattutto alla difesa.
Battiato in questa canzone ci dona la più solenne dichiarazione d’amore: la difesa dalla malattia, dalla decadenza fisica, persino da quel male supremo, senza ritorno, che è la morte. Infine tocca proprio il concetto di immortalità e la concezione stessa di metempsicosi, derivata dalla filosofia greca, secondo cui la purificazione dell’anima avviene attraverso la reincarnazione e quindi il pellegrinaggio in numerose vite “le vie che portano all’essenza”.
La cura appartiene al diciannovesimo album di Battiato, L’imboscata (1996), scritto assieme al filosofo e compositore Manlio Sgalambro e dedicato allo scrittore Gesualdo Bufalino.
Nell’anniversario della nascita del grande cantautore, avvenuta il 23 marzo 1945, scopriamone testo e analisi.
“La cura” di Franco Battiato: testo
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
Dai fallimenti che per tua natura normalmente attireraiTi solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d’umore
Dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiare
E guarirai da tutte le malattie
Perché sei un essere speciale
Ed io, avrò cura di teVagavo per i campi del Tennessee
Come vi ero arrivato, chissà
Non hai fiori bianchi per me?
Più veloci di aquile i miei sogni
Attraversano il mareTi porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
Percorreremo assieme le vie che portano all’essenza
I profumi d’amore inebrieranno i nostri corpi
La bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensiTesserò i tuoi capelli come trame di un canto
Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono
Supererò le correnti gravitazionali
Lo spazio e la luce per non farti invecchiareTi salverò da ogni malinconia
Perché sei un essere speciale
Ed io avrò cura di te
Io sì, che avrò cura di te.
“La cura” di Franco Battiato: video
“La cura” di Franco Battiato: analisi e commento
La cura prosegue la ricerca metafisica ed esistenziale del duo Battiato-Sgalambro già anticipata da Invito al viaggio, ispirata a una poesia di Baudelaire. Anche ne La cura è presente, non a caso, il riferimento al viaggio iniziatico che appartiene ai topòs più antichi della letteratura, a partire dalla selva oscura nella Divina Commedia di Dante. Il viaggio cui fa riferimento la canzone tuttavia è un viaggio di conversione spirituale: non a caso parte da una dimensione terrena, materiale (ti proteggerò dalle ipocondrie, le ossessioni, gli sbalzi d’umore) per giungere a un’altra dimensione astratta e quasi onirica:
Vagavo per i campi del Tennessee
Come vi ero arrivato, chissà
Questo passo, in particolare, fa riferimento al processo della metempsicosi, ovvero della purificazione delle anime, secondo cui l’anima continua a trasmigrare da un essere all’altro, da un vita all’altra, sino a rendersi indipendente dalla materia e dello stato terreno accedendo alla sfera spirituale. Questo concetto è ripreso dalla filosofia occidentale sin dalla Grecia antica, se ne ritrovano le prime testimonianze in Plotino che la definisce letteralmente come “trasmigrazione dell’anima” in diversi corpi umani. A questa idea si lega il viaggio di Battiato, secondo cui gli amanti si incontrano costantemente nell’arco delle loro varie vite sfidando di fatto le leggi della fisica, le cosiddette “correnti gravitazionali”. In Oriente hanno un peculiare termine per definire questi incontri tra persone stabiliti dal destino che si ripetono nelle vite passate e future: In-Yun. Anche nella canzone c’è un riferimento al destino e alle strade percorse dall’anima lungo la purificazione: si passa dalla passione carnale (“la bonaccia d’agosto non calmerà i nostri sensi”) al trascendente (“supererò le correnti gravitazionali”).
Nei fiori bianchi, infine, possiamo cogliere un’altra citazione di Baudelaire: non sono i fiori del male, questi sono fiori puri o purificati, indicando come la Cura sia un percorso netto e coerente verso la via morale dell’essenza.
La canzone dunque, nelle intenzioni di Sgalambro e di Battiato, intendeva dunque rappresentare un’astrazione dell’amore: non ha un destinatario preciso, che sia una moglie, un figlio, un amante, ed è proprio questa voluta indefinitezza a donare al testo una dimensione universale. Come disse opportunamente Sgalambro in un commento al testo: “Per parlare d’amore bisogna parlare di qualche altra cosa”. Infatti il segreto de La Cura è proprio nel fatto che la parola “amore” sia nominata soltanto una volta, nemmeno intesa nel suo senso classico, eppure pervade interamente il testo. Lo percepiamo nelle mani che accarezzano i capelli come “le trame di un canto”, nel silenzio e nella pazienza, nei diversi verbi utilizzati che declinano l’intento amoroso nella sua espressione più pura: “ti proteggerò”, “ti solleverò”, “supererò”, “ti salverò” e infine l’apoteosi che da cui il titolo avrò cura di te. Nel gran finale infine La cura esorcizza persino il più invisibile dei dolori: la malinconia. In quel “Ti salverò da ogni malinconia”davvero si compie il prodigio. La malinconia è il sentimento tipico dei poeti, si lega strettamente alla concezione letteraria e in particolare al concetto di spleen baudeleriano: fu teorizzata da Leopardi nello Zibaldone e poi raggiunse la massima espressione con Baudelaire che identificò nello spleen lo stato d’animo caratterizzante dell’uomo contemporaneo. Liberarsi dalla malinconia significa liberarsi dallo stato di angoscia esistenziale, dalla tristezza dal disagio; ecco che si compie effettivamente quella cura dal dolore dell’esistenza con cui Battiato era solito introdurre la sua più celebre canzone.
Ritorna la concezione dantesca dell’amore come forza motrice dell’universo, la solenne visione che sorprende il Sommo Poeta nell’Empireo, alla fine del suo viaggio, durante la contemplazione delle sfere celesti: L’amor che move il sole e le altre stelle. Un’esperienza di totale comunione, di beatitudine, che va al di là della capacità di comprendere e persino oltre quella di spiegare.
Davvero Battiato è riuscito a spiegare l’amore, senza parlare d’amore.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La cura” di Franco Battiato: analisi e riferimenti poetici della canzone
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