Il 15 maggio 1886 moriva ad Amherst, in Massachussetts, nella stessa casa in cui era nata, la poetessa Emily Dickinson.
Aveva soli cinquantacinque anni, ma la morte non la colse di sorpresa: era, del resto, una presenza ricorrente nelle sue poesie. Nella lirica dal titolo Se dovessi morire, composta nel 1858 ad appena ventotto anni, già prefigurava letterariamente il proprio congedo dall’esistenza.
La morte nelle poesie di Emily Dickinson
Death, la morte, nelle opere di Dickinson è un’immagine fissa, la poetessa di Amherst la concepiva come la pietra di paragone suprema della vita, il necessario contraltare alla propria stessa percezione dell’esistere: la vita e il suo fluire, per Emily, era accompagnata dall’inevitabilità e della prossimità della morte. In quest’ottica non esitò a definirla “la sua più cara e intima amica”.
Solo attraverso la presenza della morte infatti Dickinson riusciva a sviscerare e comprendere l’assurdità e la complessità della vita, quindi ad avvicinarsi al concetto per lei più puro di “Dio”. Tramite la scrittura poetica rappresenta la morte in molteplici vesti, spesso la personifica: ecco che prima è un amante sfuggente, poi diventa un cocchiere fidato, altre volte ancora è un politico o una vittima e poi torna ad avere le sembianze antagoniste di un infido assassino. Non è mai una forza astratta, trova senso e significato attraverso la personificazione. In queste molteplici sembianze la morte non ha mai una forma certa, è costantemente rappresentata ma tende a sfuggire a qualunque rappresentazione, mantenendo così intatta la sua essenza di “grande mistero”.
Soltanto quando morì, a causa di una difterite nel maggio 1885, Emily Dickinson si rivelò al mondo come poetessa. La sorella Lavinia infatti ritrovò nella sua stanza da letto oltre 1775 poesie scritte su foglietti sparsi, oppure ordinate in raccoglitori accuratamente ricuciti e rilegati con ago e filo. Mentre era in vita Emily aveva pubblicato soltanto sette poesie, una parte infinitesimale della sua immensa produzione letteraria. Si dice che una parola muore quando è pronunciata, scriveva Dickinson in una delle sue poesie più famose, io dico che in quel momento inizia a vivere. Come in una sorta di premonizione lei stessa iniziò a vivere, dopo la morte, attraverso le sue parole, che oggi ci rivelano la purezza della sua anima.
Nelle sue liriche Dickinson non sciolse mai “il grande mistero” della morte, ma riuscì a dare voce al suo atteggiamento nei confronti della propria mortalità. La verità è che la morte non le faceva paura, perché con un atteggiamento quasi mistico Emily riusciva a vederla come una parte necessaria del vivere, e a concepire sé stessa come un ingranaggio infinitesimale del grande meccanismo della vita.
Scopriamo testo e analisi del suo commiato letterario: Se dovessi morire (1858).
“Se dovessi morire” di Emily Dickinson: testo
Se io dovessi morire -
E tu dovessi vivere -
E il tempo gorgogliasse -
E il mattino brillasse -
E il mezzodì ardesse -
Com’è sempre accaduto -
Se gli Uccelli costruissero di buonora
E le Api si dessero altrettanto da fare -
Ci si potrebbe accomiatare a discrezione
Dalle imprese di quaggiù!
È dolce sapere che i titoli terranno
Quando noi con le Margherite giaceremo -
Che il Commercio continuerà -
E gli Affari voleranno vivaci -
Rende la partenza tranquilla
E mantiene l’anima serena -
Che gentiluomini così brillanti
Dirigano la piacevole scena!
“Se dovessi morire” di Emily Dickinson: testo originale
If I should die -
And you should live -
And time sh’d gurgle on -
And morn sh’d beam -
And noon should burn -
As it has usual done -
If Birds should build as early
And Bees as bustling go -
One might depart at option
From enterprise below!Tis sweet to know that stocks will stand
When we with Daisies lie -
That Commerce will continue -
And Trades as briskly fly -
It makes the parting tranquil
And keeps the soul serene -
That gentlemen so sprightly
Conduct the pleasing scene!
“Se dovessi morire” di Emily Dickinson: analisi
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In questa poesia, Se dovessi morire, Dickinson mostra una lucidità sconcertante mascherata dietro lo schermo di un’ironia incandescente. Di fatto tratta un argomento drammatico - la propria morte - con una leggerezza e un distacco così sereno da suscitare una certa perplessità.
L’incipit si fonda, come spesso accade nelle opere della poetessa, sull’opposizione duale tra morte e vita:
Se io dovessi morire -
E tu dovessi vivere -
La bipartizione viene mantenuta fino alla fine del componimento e non è mai risolta. Dickinson mantiene volutamente “morte e vita” sullo stesso piano e non affida mai all’una o all’altra un’importanza maggiore, cosicché le due sembrano proseguire in parallelo sulla stessa lunghezza d’onda. Non c’è nessuna battaglia che vede la morte come trionfante mietitrice o che, al contrario, sancisce la vittoria della vita. Emily Dickinson, una delle maggiori poetesse del Novecento, ci dice in assoluta tranquillità che la sua sparizione dal mondo non avrà nessuna conseguenza.
Il senso della lirica è chiaro, riassumibile in un assunto: “se io dovessi morire, la vita continuerà come ha sempre fatto”. Continueranno i commerci umani, gli affari, l’economia non cesserà di girare. Tutto durerà, proseguirà, accadrà come è sempre accaduto. Questa percezione infonde nell’animo dell’autrice una grande pace, insieme alla certezza che la sua morte non intaccherà l’equilibrio perfetto della natura, l’accordo armonioso del mondo. Non sarà in fondo che una piccola tragedia individuale, come l’esplosione di una stella nell’immensità sconfinata del cosmo, capace di toccare soltanto le persone a lei più vicine.
Il poema si divide in due parti speculari che riflettono il ciclo della vita: nella prima strofa troviamo la descrizione del mondo naturale - gli uccelli, le api, le margherite - mentre nella seconda si racconta l’elemento umano, più industrioso, frenetico, vivace. Di particolare interesse è la prima parte in cui la poetessa inserisce la propria sepoltura “tra le margherite”, permettendoci di concepire la morte come un processo naturale, che è parte dell’esistenza stessa. Tutto segue il cerchio della vita, l’operare misterioso della natura, e persino quei fiori posati sulla tomba paiono prefigurare una rinascita.
Non è un caso che Dickinson parli delle api, elemento ricorrente nelle sue poesie. Nei gialli esserini ronzanti si traduce metaforicamente la solerte operosità del mondo: proprio come gli umani, le industriose apine proseguiranno i loro traffici, continueranno a darsi da fare, non si fermeranno a causa della sua morte. In un’altra sua celebre poesia Emily Dickinson scriveva, sempre in riferimento alla propria morte: Al giardino non l’ho ancora detto (I haven’t told my garden yet, Ndr), dicendo che non aveva il coraggio di comunicare all’ape l’inevitabilità della propria morte. L’ape era per lei il messaggero della natura, la sua intima interlocutrice, sussurrarle il suo segreto avrebbe significato spezzare un equilibrio, turbare la pace sacrale del giardino. In Se dovessi morire Emily sembra infine liberarsi di questa sua reticenza, osservando che le api continueranno a operare anche senza di lei - And Bees as bustling go - e quindi è autorizzata ad andarsene senza alcun rimpianto.
“Se dovessi morire” di Emily Dickinson: commento
Di questa lirica colpisce il distacco e l’ironia. L’autrice immagina di osservare la propria ipotetica morte dall’aldilà e, così facendo, ribalta una presunzione universale che l’ego ipertrofico dei nostri tempi ha fatto lievitare fino al parossismo: la nostra morte non è un’apocalisse, non sarà la fine di tutto. In Se dovessi morire Dickinson ridimensiona la drammaticità della morte alla normalità di un evento quotidiano, che si verifica nel mondo a ogni ora a ogni minuto. Quel “tu ” a cui la poetessa si rivolge forse siamo noi lettori, venuti oltre un secolo dopo quel suo componimento, siamo noi che continuiamo a vivere e siamo immersi nel grande mistero dell’esistenza. O forse, come osservano alcuni critici l’enigmatico “tu” cui Dickinson si rivolge è la sua stessa anima, di cui presentiva l’immortalità.
In ogni caso If I should die ci offre un grande insegnamento su come gestire l’inevitabile realtà della morte individuale, che Dickinson di fatto concepisce nella sua dimensione più intima, ristretta, decretandone l’incapacità di interferire in modo burrascoso sulla scena collettiva. Il motivo stesso del poema è intimamente rasserenante, Dickinson sembra concludere come se si trovasse su un palcoscenico e facesse un inchino con tanto di svolazzo del cappello piumato.
Conduct the pleasing scene!
Altri uomini, altri attori, condurranno la piacevole scena. La vita viene descritta dopotutto come una scena dilettevole, una pièce teatrale. La morte non è che una comparsa, un’attrice necessaria di questo teatro. Con serenità Dickinson attribuisce a ogni interprete il proprio ruolo e accetta, con intima consapevolezza, la propria parte di essere umano.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se dovessi morire”: il commiato letterario di Emily Dickinson
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