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Nel viaggio Fernando Pessoa, il poeta di Lisbona, trova la perfetta metafora della vita. “Viaggiare? Per viaggiare basta esistere” scrisse nei suoi versi spesso rimaneggiati in forma lapidaria di aforisma. Ciò che chiediamo al viaggio, argomentava Pessoa, era la fuga dalla claustrofobica monotonia del vivere, uno spiraglio, un inganno capace di mettere a tacere la nostra sommersa inquietudine.
Il mistero dell’Io, con le nevrosi che ne conseguivano e la nascita degli eteronimi, attanagliava Pessoa che fece proprio della crisi identitaria la matrice primaria della propria poesia: il viaggio, l’idea di essere un nomade errante senza radici, rappresentava la massima espressione di questa ricerca metafisica volta a strappare il velo di Maya dell’apparenza per giungere all’essenza occulta delle cose. Nella poesia Se io, ancor nessuno il poeta di Lisbona descrive compiutamente ciò che chiediamo al viaggio:
Essere altro costantemente,
non avere radici, per l’anima
Essere “io e nessuno” e costantemente “qualcun altro”, ogni viaggiatore è, in fondo, altro da sé stesso. Viaggiare rappresenta la vita perfetta e autentica per Pessoa perché nel movimento continuo del viaggiatore identificava l’assenza di un fine e anche la mancanza di ansia nel conseguirlo. L’enigma dell’io svanisce nella lucida follia del sogno, come suggerisce il titolo stesso della lirica Se io, ancor che nessuno, e dinnanzi allo sguardo non si spalanca altro che terra e cielo, ovvero l’intima e assoluta sostanza delle cose.
Sorprende questo elogio del viaggio da parte di un uomo che aveva trascorso gran parte della propria vita in città, nella natale Lisbona dalla luce perfetta, svolgendo la professione di impiegato commerciale. Pessoa aveva viaggiato solo nell’infanzia: dall’Inghilterra al Sudafrica al seguito del padre console, ma nell’età adulta apprese a viaggiare con l’anima e a sdoppiarsi una pluralità di eteronimi, attribuendo a ciascuna identità una storia diversa. Il viaggio diveniva simbolo e riflesso di una sensibilità straripante, incontenibile:
Impiegato e anonimo scrivo parole come la salvezza dell’anima e mi indoro del tramonto impossibile di monti alti vasti e lontani.
Aveva attribuito al viaggio la stessa qualità dell’immaginazione che è in fondo il più sublime esercizio di “non appartenenza”, come testimoniano anche i versi della sua poesia attribuita all’eteronimo Álvaro de Campos, di tutti il più sfuggente o “il più istericamente isterico di me” come lo definì l’autore in una lettera all’amico Adolfo Monteiro, colui la cui morte coincideva in maniera sorprendente con quello stesso Pessoa: il 30 novembre del 1935. In seguito Pessoa scrisse:
Ho messo in Álvaro de Campos tutta l’emozione che non ho dato né a me né alla mia vita.
Nella voce di De Campos troviamo il riflesso più intimo del sentire, la liberazione dell’Io attraverso l’esaltazione del sé. L’emozione, in questi versi, non viene più taciuta, si fa tangibile e straripante, viene finalmente espressa senza condizioni.
“Se io, ancor che nessuno” di Fernando Pessoa: testo
Se io, ancor che nessuno,
potessi avere sul volto
quel lampo fugace
che quegli alberi hanno,
avrei quella gioia
delle cose al di fuori,
perché la gioia è dell’attimo;
dispare col sole che gela.Qualunque cosa m’avrebbe meglio
giovato della vita che vivo –
vivere questa vita di estraneo
che da lui, dal sole, mi era venuta!
Viaggiare! Perdere paesi!
Essere altro costantemente,
non avere radici, per l’anima,
da vivere soltanto di vedere!
Neanche a me appartenere!
Andare avanti, andare dietro
l’assenza di avere un fine,
e l’ansia di conseguirlo!Viaggiare così è viaggio.
Ma lo faccio e non ho di mio
più del sogno del passaggio.
Il resto è solo terra e cielo.
“Se io, ancor che nessuno” di Fernando Pessoa: analisi e commento
Il viaggio nella poesia di Pessoa, Se io, ancor che nessuno, diventa sublimazione della negazione del sé. Viaggiare, essere in tutti i paesi, vestire i panni di tutte le genti, di tutti i popoli, rappresenta la più lucida apoteosi del pensiero del poeta portoghese: essere tutti e nessuno, sperimentare la frantumazione dell’identità attraverso il moto costante, il nomadismo come scelta esistenziale e resistenziale dinnanzi alla monotonia soffocante del vivere.
I versi di questa poesia sono, non a caso, scanditi dall’utilizzo reiterato di punti esclamativi che sembrano amplificare la direzione del desiderio:
Viaggiare! Perdere paesi!
Essere altro costantemente,
non avere radici, per l’anima,
da vivere soltanto di vedere!
Neanche a me appartenere!
La successione dei desideri è posta in una sorta di climax ascendente che si conclude con la massima aspirazione di Pessoa, ovvero “Neanche a me appartenere”, l’estrema dissoluzione dell’io. La condizione di non appartenenza, dello sfaldamento dell’identità è il fine perseguito con costanza dalla poetica dell’autore portoghese. Il viaggio viene esaltato da Fernando Pessoa in senso mistico, come suprema rotta dell’immaginazione: è il tentativo di creare una realtà altra all’interno della realtà vera, di essere sé e non è essere sé. Se io, ancor che nessuno è la massima professione di poetica, l’esaltazione di tutte le finzioni possibili: nel rivendicare l’improrogabile diritto all’ubiquità Fernando Pessoa sta dando voce alla propria moltitudine interiore, affermando l’eterna pluralità dell’essere e del reale, il sigillo supremo di ogni inquietudine. Solo vivendo al di fuori di sé, secondo quanto teorizza Pessoa, è possibile sperimentare la gioia, che è propria delle cose naturali chiamate a esistere solo per sé stesse. Ciò che rimane statico è il paesaggio, “solo terra e cielo”, il resto è in continuo mutamento, ciò che chiama (o condanna) l’uomo a essere viaggiatore perpetuo.
Nella metafora del viaggio troviamo la più completa frantumazione dell’identità che, nella visione di Fernando Pessoa, rendeva più vera la vita chiamando l’Io fuori dalla trappola del sé.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Se io, ancor che nessuno”: la poesia sul viaggio di Fernando Pessoa
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Complimenti all’autore della recensione su la ‘poesia di F.Pessoa’ ,ancora poco indagato in Italia, salvo che da J.M.de Lancastre e A.Tabucchi soprattutto, mi pare. Un poeta che con le sue eteronomie , che sfugge a sé stesso e più ancora dunque agli al- tri, fenomeno di ‘travestitismo’ artistico-letterario non commune, che va messo sotto osservazione attenta,soprattutto nel postmoderno.Il ’viaggio’ quale metafora. Andare, vagabondi,avanti con pazienza e resilienza fin ché le gambe ci sorreggono e la mente guida o sceglie, procedendo senza bussola configurata ,a intuito e istinto soltanto, fin ché al termine del lungo o breve percorso ci ritroviamo al ‘rendez-vous’ con ‘La Belle Dame sans Merci’ ,inesorabilmente e,zac!,fine del viaggio. Ecco l’’ignoto’ che chiude questa strada e il confine del ns.essere,e finite le speranze. Anzi , l’ultima speranza ancora chiede : l’eternità che significa ?