Sete
- Autore: Amélie Nothomb
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2020
Il governatore Pilato ha appena pronunciato la sentenza: Gesù è condannato a morte. La croce lo aspetta e lui aspetta la croce, perché così era scritto da chissà chi e chissà perché. Il nuovo romanzo di Amélie Nothomb, Sete (Voland 2020) ha un inizio lapidario e folgorante insieme:
“Ho sempre saputo che mi avrebbero condannato a morte”, rivela Gesù.
E ciò che lo spaventa, più ancora della tortura e della fine, è la notte che dovrà passare tra la sentenza e la sua esecuzione. Prima e indicativa divergenza con la storia canonica: nei vangeli Gesù è subito condotto al Golgota per la crocefissione. A Gesù-Dio-fatto-uomo dei vangeli è risparmiato l’angoscioso rapporto con la vigilia della morte che Amélie Nothomb invece non risparmia all’uomo-Gesù. E non certo per sterile crudeltà.
Alle prese con una storia già scritta e senza colpi di scena, Amélie Nothomb riesce nel miracolo della tensione, in un romanzo interiore, eretico e poetico al tempo stesso. Un romanzo capace di ironia e capace di blasfemia, in cui convergono le migliori suggestioni delle versioni “apocrife” di Nikos Kazantzakis (L’ultima tentazione di Cristo) e José Saramago (Il vangelo secondo Gesù Cristo), l’evangelo beat della controcultura anni Sessanta, e, va da sé, l’imperiosa scrittura di una Nothomb, in stato di grazia assoluta.
Sete è un romanzo che si legge in poche ore, ma che costringe a ripetuti ritorni, per poterne apprezzare appieno il nitore della prosa e le stratificazioni. La via della croce e la passione e morte di Gesù Cristo ci consegnano un uomo in carne e ossa, alle prese con il corollario definitivo delle lacerazioni interiori, atterrito dal dolore, innamorato di Maddalena, deluso dall’abiura dei suoi miracolati, abbandonato dal padre celeste come dagli apostoli.
Un anti-eroe controverso, leggendario malgrado se stesso, impavido nell’accoglienza di un destino segnato ab origine, di una vita costantemente in bilico tra vita e morte, anima e corpo. Un uomo capace, anche in ultimo, di sete.
Assetato di vita, di corpo, di perdono, di rabbia, di amore, persino di morte, e di speculazioni così, appese e suggerite dalla sconfitta della croce:
“Alcuni diranno che se chiamiamo Dio il bene, è giocoforza attribuire un nome anche al male. Ma da dove salta fuori che Dio è il bene? Io ho forse l’aria di esserlo? Vi sembra che mio padre, che ha concepito quanto ho accettato, sia credibile in questo ruolo? D’altra parte non lo rivendica affatto. Dice di essere amore. L’amore non è il bene. C’è solo un’intersezione tra i due, e neanche sempre. E quanto sostiene di essere, lo è poi davvero? A volte è così difficile distinguere la forza dell’amore dagli altri sentimenti a cui si accompagna. Mio padre mi ha abbandonato per amore verso la sua creatura. Trovatemi atto d’amore più perverso. Non voglio autoassolvermi. A trentatré anni ho avuto tutto il tempo per riflettere sulla scelleratezza di questa storia. Non è giustificabile in alcun modo. La leggenda afferma che sto espiando i peccati di tutti gli uomini che mi hanno preceduto. (…) La mia infinita sofferenza non cancella nulla del dolore che quei poveretti hanno sofferto prima di me. L’idea stessa di espiazione è ripugnante per il suo assurdo sadismo”.
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Fedelmente restituito dalla limpida traduzione di Isabella Mattazzi, Sete si segnala come una rilettura della buona novella, sacrilega seppure grondante di umana pietas. Un romanzo, vivaddio, divergente. Doloroso. Filosofico. Arroventato. Lucido. Implacabile e indimenticabile.
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