Quello tra la scrittrice Sibilla Aleramo e il poeta Dino Campana fu un incontro straordinario avvenuto nella torrida estate italiana del 1916, una passione esplosa in mezzo al tumulto della Prima guerra mondiale.
I due si videro per la prima volta il 3 agosto 1916, ma si erano già incontrati attraverso la poesia: il loro fu un amore letterario che si trasformò senza previsione in passione travolgente.
Lei aveva letto i versi di lui pubblicati ne I Canti Orfici (1914), lui conosceva la fama di lei, scrittrice affermata, femminista, regina dei salotti intellettuali mondani.
Dopo la lettura de I Canti Orfici, Aleramo scrisse a Campana una lettera appassionata che iniziava con una poesia:
Chiudo il tuo libro,
snodo le mie trecce,
o cuor selvaggio,
musico cuore…(...) Smarrivamo gli occhi negli stessi cieli,
meravigliati e violenti con stesso ritmo andavamo,liberi singhiozzando, senza mai vederci,
né mai saperci, con notturni occhi.
Tra i due iniziò subito una fitta corrispondenza epistolare che infine culminò nel fatidico incontro, quel 3 agosto 1916.
Dopo aver preso coraggio lui la invitò nel paesino toscano di Marradi, sua terra natia, e lei si presentò senza indugio all’appuntamento. Sibilla scese dal treno vestita di bianco, con un ampio cappello a tesa larga, il sole le splendeva alle spalle illuminando la sua figura, per Dino fu come un’apparizione.
Lui aveva 31 anni, era timido, impacciato, inesperto; lei 40 ed era considerata la donna più bella d’Italia. Era l’inizio di un viaggio chiamato amore.
Un viaggio chiamato amore: l’amore letterario tra Sibilla Aleramo e Dino Campana
Link affiliato
Tra Sibilla Aleramo e Dino Campana si accese subito una passione folle, testimoniata passo passo dal lungo carteggio tra i due, raccolto nell’epistolario Un viaggio chiamato amore (Lettere 1916-1918) (a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000).
In quei giorni ’Italia era sconvolta dai tumulti del primo conflitto mondiale, la guerra era l’argomento dominante, ma per la scrittrice e il poeta in quell’estate incendiata dal trionfante sole d’agosto non esisteva che è un miracolo: quello di essersi trovati.
Non avrebbero potuto essere più diversi. Sibilla Aleramo era ormai una donna di mondo, celebre femme fatale dei salotti intellettuali italiani; aveva abbandonato il marito (che era stata costretta a sposare) e rinunciato alla custodia del figlio e si era creata da sé una nuova vita indipendente e fiera come scrittrice. Dino Campana invece aveva da sempre condotto una vita solitaria, schiva e appartata, i disturbi mentali lo perseguitavano da quando aveva quindici anni tanto che in paese, a Marradi, lo chiamavano “Il matto”. Aveva poca esperienza del mondo e dell’amore, ma l’arrivo di Sibilla cambiò tutto. Dopo il primo incontro amoroso lei osservò: “Sei mai stato amato, Dino? Tremavi…”
L’idillio iniziale tra i due durò tre giorni, poi si trasformò in passione accecante, folle, violenta.
La gelosia possessiva di lui e l’atteggiamento estroso e libertino di lei complicarono le cose. Era quello che oggi si potrebbe definire “un amore malato”, erano ossessionati l’uno dall’altro ma incapaci di vivere quella passione.
Nelle lettere si scrivevano versi pieni d’amore, ma nella realtà si picchiavano, litigavano, si graffiavano per poi riconciliarsi all’improvviso con notti di passione. Un vero e proprio Odi et amo che durò oltre un anno e mezzo, di cui ritroviamo traccia nell’appassionato epistolario.
L’amore letterario tra Aleramo e Campana funzionava: le loro missive ancora oggi traboccano di passione, si dedicavano a vicenda poesie struggenti di stile quasi D’Annunziano e lei si firmava affettuosamente con il suo nome di battesimo “Rina” o “Rinuccia”, sottolineando che l’aveva usato mai.
Una passione violenta
Le persone a loro vicine erano intimorite da quella loro relazione tumultuosa. La scrittrice Astrid Ahnfelt, amica comune che ospitò la coppia per alcuni giorni, scrisse una lettera in cui chiedeva aiuto affermando:
Tutta la notte si sono battuti e graffiati. Si ammazzano senz’altro.
Sibilla Aleramo, donna indipendente ed emancipata, si sottometteva incomprensibilmente alla gelosia di lui. Campana la accusava di infedeltà, la picchiava per punirla, lei si ribellava ma sempre tornava indietro ad elemosinare il suo amore. Sibilla - la cui madre fu internata in giovane età in manicomio - crede di capire meglio di tutti la sofferenza di Dino, pensa di essere l’unica in grado di salvarlo.
Tuttavia anche la forte Sibilla fu, infine, costretta a cedere rinunciando alla passione amorosa per aver salva la vita.
I deliri di Dino Campana si facevano sempre più frequenti e feroci, tanto che Aleramo il 21 dicembre 1916 scrisse in una lettera all’amica Leonetta Cocchi Pieraccioni:
Leonetta, non so se vedrai Campana. Dopo averlo ritrovato, e con lui qualcuna delle nostre ore più belle, stanotte s’è di nuovo abbandonato al suo delirio d’odio e questa volta credo non ci ritroveremo più.
Infine fu proprio Sibilla Aleramo a mettere il punto di fine a quella passione tormentata. Fece visitare Campana da uno psichiatra, il professor Ernesto Tanzi.
La diagnosi del professor Tanzi rimane oscura, ma quel che è certo è che dopo quel momento Aleramo e Campana non si videro più. Le lettere folli, deliranti, appassionate tuttavia continuavano. A distanza, nel sortilegio artificiale creato dalla scrittura, il loro amore aveva ragione d’esistere.
L’ultima lettera di Dino Campana a Sibilla Aleramo
Nel 1918, su prescrizione medica, Dino Campana entrava nel manicomio dal quale non sarebbe mai più uscito, morendovi nel 1932.
Continuava a scrivere a Sibilla e lei, almeno nelle lettere, alimentava la speranza che tutto potesse cambiare, che lui potesse guarire. Lui continuava a dichiararle amore eterno. A un certo punto tuttavia Aleramo smise di scrivere, sconfitta, forse nel tentativo di dimenticarlo.
Campana inviò a Sibilla un’ultima lettera dal manicomio San Salvi di Firenze.
Cara, se credi che abbia sofferto abbastanza, sono pronto a darti quel che mi resta della mia vita. Vieni a vedermi, ti prego, tuo Dino.
La lettera è datata 17 gennaio 1918. Sibilla Aleramo non risponderà mai.
Dino Campana morirà in manicomio il 1° marzo 1932, dopo quattordici anni di internamento. L’amour fou si era definitivamente spento, ma il ricordo di quella passione continuava a vivere nella forza struggente delle parole d’amore che si erano scambiati per due anni nel carteggio Un viaggio chiamato amore:
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi.
Dalla tormentata storia d’amore tra Sibilla Aleramo e Dino Campana, il regista Michele Placido ha tratto un film nel 2002 che riprende lo stesso titolo dell’epistolario Un viaggio chiamato amore, con protagonisti Stefano Accorsi e Laura Morante nei panni dei due poeti e amanti.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Sibilla Aleramo e Dino Campana: un viaggio chiamato amore
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Sibilla Aleramo San Valentino Dino Campana
Lascia il tuo commento