La prima sezione dei Fiori del male di Charles Baudelaire si intitola Spleen e ideale ed è incentrata sul racconto del dualismo tra noia e speranza che stringe l’uomo in una morsa. Questa prima parte della raccolta contiene una poesia considerata un vero e proprio capolavoro: Spleen, scritta nel 1857.
Il termine che dà il titolo alla lirica “Spleen” deriva dall’inglese e letteralmente significa “milza”, ma nel tempo è passato a indicare uno stato d’animo di malinconia o di angoscia esistenziale. Questa traslazione linguistica è dovuta ad antiche credenze che associavano all’organo della milza la causa della depressione. Nessuno comunque come Charles Baudelaire riuscì a esprimere questo stato d’animo con immagini e parole così potenti come quelle utilizzate nella poesia.
Leggere Spleen di Baudelaire significa sentire sulla propria pelle quel senso indefinibile di noia mista ad angoscia, il disagio, la malinconia sottile che a volte ci assale senza motivo e non se ne va più via. Il poeta francese è riuscito a dare un nome a delle sensazioni innominabili, indefinibili, sfuggenti, proprio come la pioggia che scorre sui vetri.
La prigionia dell’esistenza si rivela in questi versi attraverso un susseguirsi di immagini che riproducono uno stato d’animo di disperazione: si legge Spleen e ci si sente imprigionati, ma in un certo senso anche liberati perché il nostro malessere ha finalmente trovato un nome.
Scopriamo testo, analisi e commento della poesia.
“Spleen” di Charles Baudelaire: testo
Quando il cielo basso e oppressivo pesa come un coperchio
sull’anima che geme in preda a lunghi affanni,
e versa, abbracciando l’intero giro dell’orizzonte,
una luce nera più triste di quella delle notti;
quando la terra si è trasformata in un’umida prigione,
dove la Speranza, come un pipistrello,
va sbattendo contro i muri la sua ala timida
e picchiando la testa sui soffitti marciti;
quando la pioggia distendendo le sue immense strisce,
imita le sbarre di una grande prigione,
e un popolo muto d’infami ragni
tende le sue reti in fondo ai nostri cervelli,
a un tratto delle campane sbattono con furia
e lanciano verso il cielo un urlo orrendo,
simili a spiriti erranti e senza patria,
che si mettono a gemere ostinatamente.– E lunghi funerali, senza tamburi né musica,
sfilano lentamente nella mia anima;
vinta, la Speranza piange; e l’atroce Angoscia, dispotica,
pianta sul mio cranio chinato il suo vessillo nero.(Traduzione di Giovanni Raboni)
“Spleen” di Charles Baudelaire: testo originale francese
Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
Sur l’esprit gémissant en proie aux longs ennuis,
Et que de l’horizon embrassant tout le cercle
Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits;
Quand la terre est changée en un cachot humide,
Où l’Espérance, comme une chauve-souris,
S’en va battant les murs de son aile timide
Et se cognant la tête à des plafonds pourris;
Quand la pluie, étalant ses immenses traînées,
D’une vaste prison imite les barreaux,
Et qu’un peuple muet d’infâmes araignées
Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux,
Des cloches tout à coup sautent avec furie
Et lancent vers le ciel un affreux hurlement,
Ainsi que des esprits errants et sans patrie
Qui se mettent à geindre opiniâtrement.
– Et de longs corbillards, sans tambour ni musique,
Défilent lentement dans mon âme; l’Espoir,
Vaincu, pleure et l’Angoisse atroce, despotique,
Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir.
“Spleen” di Charles Baudelaire: analisi e commento
Link affiliato
Spleen di Charles Baudelaire è una poesia che procede per immagini e simboli, secondo la stessa tecnica utilizzata nelle Corrispondenze.
La prima immagine è una similitudine schiacciante: il cielo pesa “come un coperchio”, e ci restituisce immediatamente l’idea della trappola. Viene subito a comporsi una sensazione paralizzante e la visione inizia a farsi cupa, quasi orrorifica.
Baudelaire sviluppa il proprio sentire attraverso delle vivide metafore: la speranza è un pipistrello, la terra è una prigione. Sembra non esserci via di scampo: persino le immagini più luminose, come la speranza per l’appunto, vengono capovolte e appaiono terribili. Il pipistrello sbatte le sue ali - emblema di libertà - contro dei soffitti marci.
Si crea durante la lettura uno stato d’animo di attesa: ci aspetta una liberazione, una via di fuga. Il poeta accresce questa sensazione utilizzando ripetute anafore (quando/quando) che si alimentano in una climax.
Tutta la poesia è infatti articolata su un ritmo, sembra seguire una sonorità silente che ne guida l’andamento: da piano pianissimo sino a fortissimo, poi di nuovo pianissimo. Il suono è un fattore costitutivo della poesia. Baudelaire aggiunge alla sfera sensoriale della vista quella dell’udito, facendo udire il suono fragoroso delle campane che rimbomba nei timpani con il fragore di un’esplosione. Paragona il suono delle campane a delle grida umane laceranti che non promettono nulla di piacevole. A quel fragore fa infatti seguito un silenzio da funerale - senza tamburi, né bande - che ci dimostra che persino il silenzio, l’assenza di rumore, ha un peso.
Questa struttura alimenta la sensazione di suspense che guida il lettore verso la conclusione, che - come già presentiamo - prevede un epilogo tragico.
L’ultima strofa ci fornisce la conclusione tanto attesa: il gran finale. La congiunzione “E” preceduta da un trattino che lega la strofa finale alle precedenti ce la presenta come una diretta conseguenza delle altre, un nesso aggiuntivo. Nell’immagine finale infatti assistiamo a una grande impetuosa battaglia: l’Angoscia e la Speranza vengono personificate nelle immagini di due cavalieri oscuri che si battono fino allo stremo. La Speranza infine viene vinta, e sconfitta piange. Mentre l’Angoscia trionfa e il poeta ce ne consegna un’immagine terribile mentre pianta nel suo cranio il segno del suo trionfo, una bandiera nera. Il colore nero ritorna come una costante: spegne persino la luce del giorno come manifesta l’espressione “la luce nera del giorno” che appare come un ossimoro.
Nel finale l’Angoscia appare sinistra e soddisfatta della sua vittoria, è come una grande dama vestita di nero: lo stesso colore cupo del cielo che sembra ammantare l’intera lirica oscurandola come una coltre di fumo asfissiante.
Pare che tutta la battaglia si sia consumata nella testa del poeta: anche il lettore sente il dramma dello “spleen”, il tedio, la malinconia da cui è impossibile liberarsi ed è come una giornata di pioggia che oscura il cielo e, per un attimo, sembra aver rapito il sole per sempre.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Spleen” di Charles Baudelaire: testo, analisi e commento
Lascia il tuo commento