Rileggere oggi la storia è necessario e le testimonianze offerte dal passato, recente o lontano, possono aiutarci a capire quello che sta succedendo oggi e perché alcuni fenomeni si siano manifestati in maniera più evidente in alcuni contesti geografici.
In un articolo pubblicato il 14 gennaio 2020 sul sito della Fondazione Veronesi, in tempi ancora lontani dallo scoppio dell’epidemia, si avvisava:
“Durante l’inverno, il picco di polveri sottili e l’epidemia di influenza rappresentano un’insidia per il muscolo cardiaco. I tre fattori di rischio presenti da diversi giorni in molte città del Nord Italia”.
Non mi addentro sull’ampia documentazione scientifica fornita a corredo dell’articolo, né sull’impervio e scivoloso tema dell’attuale pandemia, ma vorrei fornire un punto di vista su come una delle cause della diffusione delle malattie possa essere quella della concentrazione urbana e delle sue conseguenze sull’ambiente.
Sui benefici effetti dell’aria di montagna c’è un’ampia documentazione scientifica e sulla necessità, in tempi di pandemia, di diradare i contatti sociali, ce n’era contezza perfino in periodo medioevale.
Ho ritrovato, nei cassetti della memoria, una coincidenza che mi ha fatto riflettere: nel 1919 una nobildonna, la principessa Maria Elia, figlia del famoso ammiraglio Giovanni Emanuele Elia, sposata con il Marchese Giuseppe de Seta e in seconde nozze con il Principe Valerio Pignatelli di Cerchiara, aveva il suo primogenito malato, fratello del famoso regista Vittorio de Seta, e per curare suo figlio si recò in Sila.
La nobildonna mai era stata in Calabria, era nata a Firenze, frequentava i salotti mondani ed era anni luce lontana dalla vita modesta che si viveva al Sud.
Introduzione alla Calabria di Maria Pignatelli
Introduzione alla Calabria
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Riporto una parte del suo libro Introduzione alla Calabria, che spiega la sua decisione:
“Cercavo la salute per il mio bimbo, e la lontananza dalle dolorose vicende d’Italia in quell’anno di grazia 1919. Dalla Toscana ero dovuta scappare per le incursioni rosse con un bimbo malato in braccio ed ero arrivata a Roma dopo tre giorni di viaggio. Là mi venne in soccorso padre Semeria. […] «Vai nella Sila», mi disse. «Che cos’è la Sila? Dov’è». «È in Calabria, ci vai anche da Catanzaro». Al mio stupore rideva e si tirava la gran barba raccontandomi tutte le bellezze della Sila e dei boschi e dei panorami e della solitudine. Catanzaro! Che destino! Ricordavo che, quando ero bambina a Londra, avevo un gioco, un biliardino geografico raffigurante l’Italia e sempre vincevo perché la palla cadeva su Catanzaro che portava il numero otto ed era un numero elevato. Ma ciò era motivo di canzonatura da parte delle mie compagne e di offesa per me. E la mia governante mi diceva: «Finirai a Catanzaro». Ripensandoci ero molto spaventata da questo mio destino, ma padre Semeria tornava sempre a farmi descrizioni dei boschi, del fresco, delle sorgive d’acqua. […] Così fu che decisi per la Sila”.
La Sila viene raggiunta dalla nobildonna attraverso una mulattiera “molto primitiva", chiamata ‘via regia’, passando dal paese più vicino, distante quindici chilometri, Sersale. Nessuno, neanche i nobili della sua cerchia, usava andare in Sila, nonostante il nome evocativo della zona fosse molto invitante: Callistro richiama il nome greco Kàllistos, superlativo di kalòs, “bello”.
La nobildonna si innamora di quel luogo e vuole tenacemente la salute del suo bambino:
“In quella solitudine sentivo come di vero non ci fosse che questo vivo legame tra me e la mia creatura. I primi giorni furono un gioco alla Robinson Crusoe e delle prime piogge torrenziali ci colsero col tetto in costruzione. [...] Il bambino si rimetteva e cresceva. Era così pesante che non lo potevo più portare in collo e lo lasciavo camminare a quattro zampe per il prato".
L’aria della Sila, continua Maria,
"contiene della forza radioattiva che ha certamente una grande influenza sullo sviluppo delle creature. L’altipiano si trova tra i due mari e una media di millecinquecento metri di altitudine, arieggiato, pieno di luce, l’umidità tra foreste di faggi, pini ed abeti. Lo sanno i pastori che salgono in maggio dalle pianure afose e vi trasportano tutta la famiglia e lo sanno i serresi che vanno a far carbone. Salgono i carri ed i muli carichi delle suppellettili e si costruiscono capanne di rami e di zolle. I pastori chiudono i recinti con siepi intrecciate di rami, molto robuste, e vi fanno i pagliare che sono queste capanne di tradizione millenaria. Furono così senza dubbio i primi abitatori di quegli Itali che trassero nome dai vitelli che erano la loro ricchezza: signore di grandi mandrie, re pastori, in continua migrazione dal piano alla montagna e dalla montagna al piano, con le stagioni. Sui contrafforti della Sila prossima al mare avevano costruite le loro prime città, i loro palazzi di pietra”.
Il suo bambino guarì e la Calabria rimase nel cuore di quest’intrepida donna e la sensibilità per l’ambiente nell’obiettivo della telecamera di suo figlio Vittorio de Seta.
Nel periodo dell’epidemia della Spagnola, la Sila fu un toccasana per il primogenito della nobildonna, ma la ragione stessa dei paesi interni si nutre della necessità di avere ambienti salubri e di tutelare il territorio, sia quello pianeggiante e più facilmente raggiungibile, che quello impervio e più scomodo. Il ribaltamento di questi rapporti, lo spopolamento di aree di montagna e l’addensamento eccessivo sono, se non causa delle epidemie, fonte di aumento di contagi.
Ripensare un nuovo modello di vita post Covid-19 è necessario. Dovremmo riflettere su cosa il mondo moderno ha fatto del territorio e sul ruolo delle aree interne, per evitare nuove cementificazioni, per ricostruire il sud e i vari sud annidati in ogni regione d’Italia, per salvare la Terra e noi stessi.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Stare nella natura fa bene: rileggiamo "Introduzione alla Calabria" di Maria Pignatelli
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