Storia della Grande Guerra sul fronte italiano. 1915-1918
- Autore: Gianni Pieropan
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Mursia
- Anno di pubblicazione: 2024
Nella Prima Guerra mondiale, furono 496.921 caduti italiani segnalati dalle nostre autorità militari nella Conferenza di pace di Versailles (1919). Il generale Pietro Maraviglia ne indica invece 533mila in un libro del 1938. Molto meno dei 780mila calcolati tre anni prima dal generale Caracciolo, più 1 milione e 50mila feriti e 500mila mutilati. 650 mila morti secondo lo storico Riccardo Posani, in un testo del 1968, ed è la stima che il ricercatore, scrittore e alpinista Gianni Pieropan ha ritenuto più attendibile, nel suo libro fondamentale uscito in prima edizione Mursia nel 1988, a settant’anni dalla fine del conflitto. La casa editrice milanese lo ha riedito quest’anno, nella collana Testimonianze tra cronaca e storia, lasciando inalterato il titolo Storia della Grande Guerra sul fronte italiano. 1915-1918 (gennaio 2024, 908 pagine, 872 di testo con cartine e due inserti di 8 facciate con foto d’epoca in bianconero).
Pieropan, vicentino del 1914 scomparso nel 2000, è tra le firme più apprezzate della letteratura alpinistica e della storiografia militare. Ha scritto diversi saggi sulla Prima Guerra mondiale e con Mursia ha dato alle stampe 1915: obiettivo Trento, 1916: le montagne scottano, Ortigara 1917. Dalla parte degli austriaci e Ortigara 1917. Il sacrificio della 6a armata.
In un conflitto, lo stillicidio delle perdite prosegue anche oltre la fine delle ostilità, se pensiamo ai deceduti nelle ore, giorni, mesi successivi, per ferite o malattie contratte prima del cessate il fuoco. Comunque, ogni guerra ha un primo e un ultimo caduto, il secondo particolarmente sfortunato. Nel caso della Grande, i nomi sono Riccardo Giusto, alpino del Cividale colpito alle 4 di notte del 24 maggio 1915 su cima Natpriciar del Monte Jeza in Friuli, e il sottotenente sardo diciottenne Alberto Riva Villasanta, falciato più di quaranta mesi dopo dalle mitragliatrici di un blocco stradale nella pianura friulana oltre il Tagliamento, blocco che aveva avuto ordine di eliminare, quando mancavano pochi minuti alle 15 del 4 novembre 1918, ora concordata per l’entrata in vigore dell’armistizio sul fronte italiano. Entrambi decorati di medaglia d’oro, in uno dei primi e nell’ultimo combattimento sul fronte italo austriaco.
Un dato che l’autore non poteva considerare nel 1988 è lo studio recente, per così dire “eretico”, di un docente di demografia dell’Università di Udine, Alessio Fornasin, che lavorando nel 2017 su nuove fonti ha indicato in 560 mila i caduti italiani, di cui il 35% per malattia, numero di vittime inferiore di ben 90 mila unità ai 650 mila. Tra i dati finora sovrastimati, ci sarebbero anche i morti tra i prigionieri di guerra.
La Commissione d’inchiesta, nominata subito dopo il conflitto, calcolò in 100 mila le vittime tra i circa 600 mila finiti in mano austrotedesche, ma Fornasin è riuscito a sommare solo 50 mila deceduti in cattività, comparando i dati raccolti nel 1926 da Corrado Gini con le verifiche sui ruoli matricolari. Il demografo di Udine ha studiato le cifre ufficiali dell’Albo d’oro dei caduti in guerra, che riporta un totale di 529 mila caduti o dispersi, inclusi i morti in prigionia. L’aggiunta di circa 30 mila unità è venuta da indagini su singole realtà campione, che comprendono anche gli esclusi oppure omessi dall’Albo.
Tornando al libro di Gianni Pieropan, le vicende che contrassegnarono lo scontro fra Italia e Austria-Ungheria vanno nettamente suddivise in due fasi distinte. Una, dal 24 maggio 1915 al 9 novembre 1917, ovvero dall’apertura delle ostilità al consolidamento della linea dall’Astico al Piave dopo la ritirata di Caporetto; l’altra, con le tre battaglie sul nuovo fronte, due d’arresto - a fine 1917 e nel giugno 1918 - e una offensiva, verso Vittorio Veneto, dal 24 ottobre 1918. Nel primo periodo, spiccano l’importanza difensiva del saliente trentino, nel settore Adige-Brenta e quella offensiva della linea dell’Isonzo, dalla conca di Plezzo all’Adriatico, mentre il secondo si sviluppa sull’Altopiano di Asiago, sul Monte Grappa e sul corso del Piave, dal Montello alla pianura veneta fino al mare, a poca distanza da Venezia.
La sintesi sembra riduttiva davanti alla vastità degli avvenimenti, visto che vengono esclusi i campi di battaglia dell’Ortles, dell’Adamello, il fronte dolomitico e il crinale carnico, ma lo storiografo vicentino ha ritenuto obbligatorio privilegiare “la lucida scelta pretesa dalla storia”. Invitava a considerare peraltro, giustamente, che nel pomeriggio del 4 novembre 1918 la guerra non si poteva dire ufficialmente finita per l’Italia; l’Intesa era ancora impegnata sul fronte francese e il generale Diaz aveva telegrafato all’onorevole Orlando, a Parigi che l’esercito, cessate le ostilità con l’Austria, si stava preparando ad agire contro la Germania. La massa principale avrebbe gravitato nella direzione più pericolosa per l’avversario, da sud, attraverso l’Austria e non frontalmente, affiancando gli eserciti alleati in Francia.
Da tempo, su iniziativa del Comando Supremo, erano stati completati studi per proseguire le operazioni belliche attraversando il Brennero e minacciando la Baviera verso settentrione. Erano già in esecuzione disposizioni preliminari per riunire le armate, spostarle e aprire un nuovo fronte, sul quale attirare altre forze del già esausto esercito del Kaiser. Si voleva così evitare che altre forze italiane venissero chiamate a combattere sul fronte francese, oltre a quelle che già vi si trovavano.
Se la Germania non sottostarà alle condizioni di armistizio che le saranno poste dagli Alleati, l’esercito italiano interverrà costringendola alla resa.
La situazione avrebbe escluso una simile eventualità: alle 5 dell’11 novembre, nel treno fermo sul binario morto nella foresta di Compiegne, la delegazione tedesca sottoscrisse le condizioni d’armistizio imposte dal generale Foch, a nome delle potenze alleate e associate. La Grande Guerra ebbe termine, su tutti i fronti.
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