San Francisco: il murales del Vesuvio Cafe 1948, storico bar di North Beach frequentato da celebrità della Beat Generation tra cui Jack Kerouac e Allen Ginsberg — Foto di vampy1 /Depositphotos.com
I bambini quando dispongono di una matita, un pennarello, un pastello o semplicemente infilando le dita in un barattolo di colore, se non hanno fogli, una grande tela o quaderni possono – e lo sono - essere attratti dagli spazi di una parete nuda che diventa la loro pagina bianca da riempire con uno scarabocchio, una parola, il disegno di un fiore o il viso di una persona. Pasticciano, si divertono e si esprimono. I bambini sono potenzialmente degli artisti di strada.
In Italia negli ultimi trent’anni si è consolidata l’arte di strada, la street art, valorizzando i movimenti espressivi del graffitismo, nato agli inizi degli anni Settanta negli USA, in particolare nei quartieri newyorchesi del Bronx e di Brooklyn, e del neomuralismo che s’ispira al muralismo messicano, nato durante la rivoluzione degli anni Venti del Novecento.
Le opere di questi movimenti variano dal calligrafico al figurativo e sono prodotte utilizzando diverse tecniche sulle grandi tele che offre la città: muri di vecchie fabbriche, cavalcavia, ponti, caserme in disuso. Pure le fiancate degli autobus, dei treni e delle carrozze della metropolitana. Pure i bagni pubblici offrono lo spazio per una frase o un disegno, per lo più con immagini e con parole oscene.
Sotto il grande ombrello della street art si veicolano sentimenti - spesso d’amore - richieste, domande, ingiurie, bestemmie e messaggi. Anzi, ogni opera - calligrafica o figurativa - contiene un messaggio che può essere una denuncia sociale, un’espressione esistenziale, una riflessione, una protesta, una confessione, una asserzione come quella scritta su un muretto di una delle stazioni della metropolitana di Milano:
“Una pagina bianca è una poesia”.
Di fatto la città, con i suoi muri, è anche il più grande libro e la più grande tela su cui scrivere una storia o dipingere e l’opera – calligrafica o figurativa - ha un grande potenziale di lettori e di visitatori. Diventa, così, una sorta di arte collettiva e il più grande palcoscenico di democrazia. Un museo all’aperto e sempre aperto – non solo per pochi eletti - di cui tutti ne possono godere.
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Già nell’antichità i muri erano pagine su cui scrivere. Penso a Pompei e a quel patrimonio di iscrizioni dipinte o graffite sui muri della case, delle botteghe e dei lupanari. Interessante il libro Pompei. I graffiti d’amore (Bastogi, 1995) dell’archeologo Francesco P. Maulucci Vivolo.
Nel nostro tempo invece penso, per esempio, alla East Side Gallery del muro di Berlino. Dopo la sua caduta nel 1989 una sezione di muro lunga oltre un km. è stata interamente dipinta con graffiti realizzati da diversi artisti, riguardanti i temi della libertà e della pace. Uno dei simboli maligni della guerra fredda è diventato un monito contro violenza dei regimi totalitari.
Seppure meno famoso, penso al graffitaro ante litteram, il milanese Carlo Torrighelli, che negli anni Settanta, dopo aver caricato sul triciclo a pedali i suoi cagnetti Bella, Umanità e Amore, scriveva con la vernice bianca sul manto stradale della metropoli lombarda frasi come “La Chiesa ti uccide con l’onda” e “Radio e televisione basta versi da gorilla ma cultura”. Sembrerebbe che alcune delle sue frasi, tradotte in tedesco, furono scritte anche sul muro di Berlino.
È possibile per uno scrittore utilizzare la pagina bianca di un muro della città per comporre un proprio romanzo? Un poeta ha bisogno di poco spazio per scrivere un verso, pure se lungo, ed esiste da tempo una street art letteraria dove si fondono l’estetica dei graffiti e la potenza espressiva delle parole.
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La città olandese di Leiden ha realizzato dal 1992 il progetto “Poesie sui muri” e ben 107 finora sono le poesie riprodotte, tra cui quelle degli italiani Marinetti e Montale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Street art “letteraria”: esempi celebri in Italia e nel mondo
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