Se n’è andato in un attimo,
succede sempre così, hanno detto,
una creatura nuda, hanno detto,
una stella cadente, non hai sentito il tonfo?
Sarà stato il vento.
Oreste Fernando Nannetti fu recluso nell’Ospedale Psichiatrico di Volterra dal 1958 al 1973 per una diagnosi di schizofrenia, dopo aver fatto il giro di varie strutture psichiatriche, tra cui anche S. Maria della Pietà a Roma.
La sua storia toccherà il cuore degli amanti dei libri e non solo: nell’arco di nove anni, Nannetti incise i muri di confine del Padiglione dove era recluso, usando solo la punta della fibbia del gilet che faceva parte della divisa degli internati. Questo gesto, sicuramente di evasione, sicuramente da anima libera, diede vita a un vero e proprio libro di pietra, fatto di graffiti a cui la pazienza e l’amore di uno degli infermieri, Aldo Trafeli, seppe dare ordine, memoria e interpretazione, tramandandolo, grazie a un lavoro certosino, fino a noi e sottraendolo, in gran parte, alla scomparsa per incuria.
La storia del libro di pietra di Nannetti raccontata da Paolo Miorandi
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In Nannetti. La polvere delle parole, edito per Exòrma lo scorso 3 marzo, Paolo Miorandi ricostruisce entrambi i personaggi: Aldo Trafeli, l’infermiere che più si incuriosì e si avvicinò a Nannetti, e quest’ultimo, il protagonista cui dà voce con parole, racconti, portandolo a noi con questo libro pieno di amore, rispetto e dolcezza per un’anima che, malgrado tutto, tramite la scrittura ha saputo rimanere libera. Ha potuto, soprattutto, esistere.
“Le storie vanno e vengono, rimangono per un po’ e se ne vanno via […] di tanto in tanto vanno a posarsi sulle pagine dei libri. In fondo scrivere assomiglia al cercare un posto dove posare cose ingombranti, in depositi che non stiano necessariamente dentro la nostra testa”.
Forse è anche per questo che Nannetti scriveva, per liberare la sua testa e depositare altrove i suoi pensieri, liberarla da ciò che la ostruiva.
Non è mai facile parlare di un libro che pervade tanto la parte emozionale durante la lettura, ma per questo libro lo è ancor meno, perché è una storia vera. Nannetti non è solo un personaggio: è un uomo reale, uno dei tanti e delle tante che hanno rappresentato l’ombra dell’umanità, un neo da estirpare dal volto della società, in tema di salute mentale.
Uomini e donne di cui Nannetti diventa simbolo a Volterra, così come a San Servolo o a Santa Maria della Pietà, figli di nessuno senza speranza, ristretti in un tunnel in fondo al quale la luce è negata, è oscurata dal diniego di esistere come tutti gli altri. Miorandi ricorda anche Aby Warburg nella clinica di Kreuzkingen, e costruisce un parallelo tra le sue parole sulla carta e il libro-muro di Nannetti. E ancora pensiamo alle migliaia di pagine di Adolf Wölfli o alle microscritture di Robert Walser.
La scrittura libera e ha liberato l’anima e la mente di uomini imprigionati, talvolta, solo in un corpo disfunzionale nell’aspetto. Non solo quindi la storia sociale, ma anche il tema della scrittura come àncora di salvezza per la dignità umana, come specchio in cui trovarsi e identificarsi come vivi.
Nannetti. La polvere delle parole di Paolo Miorandi
La storia di Oreste Fernando Nannetti è amara, ma al tempo stesso intrisa di tenerezza. È questa la sensazione che prevale alla fine di Nannetti. La polvere delle parole, anche grazie alla prosa altamente poetica di Miorandi.
Legge Basaglia, condizione degli ospedali psichiatrici giudiziari, realtà che ormai sono destinate al museo dei ricordi. Tematiche dimenticate, logore come le strutture ospedaliere che il tempo sta cancellando, sta sgretolando nella realtà e nella memoria; anime perse tra le mura che ancora ascoltano le loro voci, urla indelebili di vite in cattività; alcune rinchiuse senza una ragione, altre solo per scomparire dalla vista perché non degne di essa, della società. Fuori dall’ordinario, fuori dal comprensibile, vite silenziate, messe in attesa della fine, della scomparsa, sepolte anzi tempo, private della dignità che ci spetta per nascita, che spetta a tutti. Siamo polvere. Polvere di uomini come di parole. Polvere che è usura di vita da parte del tempo. Polvere sottile di parole che si insinua sottopelle, come questo libro, che rimane.
Parla di questo Nannetti, la polvere delle parole, scritto da Paolo Miorandi, una delle perle del sempre ottimo catalogo Exòrma. Una lettura destinata a rimanere indelebile, accompagnata dalle foto di Francesco Pernigo.
E ne parla in modo così poetico e realistico al tempo stesso che è impossibile leggere questo libro senza un costante groppo alla gola.
Commozione, empatia, sensazione di impotenza per qualcosa che sappiamo essere ancora vivo nella nostra società, solo che “i matti”, quelli che noi chiamiamo così dall’alto della nostra normalità, non sono più confinati materialmente dentro strutture, eppure sono espulsi (comunque) dalle nostre vite, emarginati, esiliati dall’ordinario, “Il Nannetti” scrive Miorandi, “era una di quelle cose per cui non c’è posto al mondo”. Una cosa, senza posto.
Moriandi non tratta la materia con il distacco che avrebbe potuto darle grazie alla sua professione, è psicoterapeuta, ma infonde anima e umanità alle pagine, con una scrittura che esula da qualsiasi descrizione e incasellamento quando si tratta di far parlare il suo personaggio. In quei tratti c’è un uso (anzi non uso) della punteggiatura degno della migliore letteratura, dove il pensiero domina ogni forma ed è pura sostanza.
Un gesto ribelle che diventa arte: NOF4 e l’Art brut
Su quel muro, lungo quasi come la sua vita, Nannetti (NOF4, come lui stesso si definì) ha lasciato una vita, un’identità; lì ha inventato per sé un personaggio quasi fantascientifico a cavallo tra presente e futuro, in qualche modo si è reso protagonista di una storia parallela che lo collocasse in modo ordinario tra gli altri. E possiamo dire che ci sia riuscito solo parzialmente, perché in fondo Nannetti era davvero tutto fuorché ordinario.
Questa sua identità straordinaria ha preso forma e oggi resiste oltre la sua vita: è diventato un artista di successo, ora che i suoi graffiti, le sue parole e immagini sono considerati uno degli esempi migliori di Art brut, arte grezza, spontanea, che nasce solo per dare corpo a correnti interne all’anima, intime. Oggi, una parte dei graffiti è conservata nel Museo Lombroso, ovvero l’ex Padiglione omonimo dell’Ospedale di Volterra, in cui si svolgeva la osservazione diagnostica dei nuovi arrivati nella struttura toscana. Un gesto ribelle che diventa arte, come prova materiale dell’esistenza umana.
© Uno degli scatti di Francesco Pernigo presenti all’interno del volume. Anche la foto del graffito di Nannetti usata per il logo dell’articolo è di Francesco Pernigo.
Lo stile di Miorandi
Certo la storia di per sé è toccante, è intensa, dolorosa, ma ciò che la rende eccezionale è la lingua di Miorandi, eccellente, calibrata, chirurgica senza essere asettica. Una capacità di entrare nel dolore, rimanendo leggero; l’arte di librarsi sul racconto che mi ha investita, travolta.
Il passaggio tra i capitoli è fatto ad arte, attraverso una mancanza di soluzione di continuità che li lega, anche graficamente, l’uno all’altro, in modo da non frammentare troppo la storia tra le parti in cui il racconto è affidato alla voce di Trafeli e quelle in cui è il pensiero di Nannetti sgorga libero sulla pagina, come se ci parlasse.
L’abilità di Miorandi di creare la voce “viva” di Nannetti è materica, si può sentire il tono dei suoi ragionamenti, dei suoi pensieri, dei suoi sentimenti. A tratti, sembra di vedere le sue espressioni, di essere dietro le sue spalle mentre scrive sul muro, osservarlo mentre lo graffia, percepire dal suo corpo che imprime energia mentre scava i suoi segni sulla parete l’intento vigoroso di rimanere indelebile nella storia, di lasciare un’impronta, di dimostrare che è esistito.
È questa la straordinaria potenza del libro di Miorandi: ci trasmette la forza di un’esistenza, sottraendola alla marginalità e portandola al centro di un racconto che fino all’ultima riga ci fa toccare con mano la pelle di Nannetti, ciò che ha vissuto, pensato e fatto.
Il libro è costellato di riflessioni esistenziali che lambiscono il filosofico oltre che il poetico:
“Il tempo della scrittura e il tempo della vita quasi mai s’incontrano, troppo lento e bizzoso il primo, troppo imprevedibile l’altro”.
© Francesco Pernigo
Ma è impossibile segnalare o riassumere in poche frasi la carica emotiva che libera la scrittura di Miorandi, perché è eccezionalmente l’intero libro a esserne imbevuto.
E ciò che è pure eccezionale è l’assenza di qualsiasi retorica, che di solito con questi temi è sempre in agguato. Miorandi sfugge a questo pericolo con uno sguardo poetico. Brani interi costruiti dando voce a uno sguardo penetrante che prende le cose, le avvicina e tramuta poi tutto in pagina scritta. La stessa descrizione della struttura manicomiale è resa da Miorandi con un soffio lirico di elegante, nobile bellezza:
“Echeggiano e quasi rimbalzano sulle pietre severe della Fortezza, col suo contenuto di anime inquiete, e poco più su, contro il cristallo rabbuiato del cielo. Sono i miei passi lenti…”
La voce di questo bellissimo libro è del colore del marmo della statua greca, diafana, ed è misurata come una sinfonia di arpa in cui le note si susseguono, conquistando verticalmente l’aria. Non ci sono ombre. Non c’è oscurità. Non si può cercare se non tra la sintassi poetica una descrizione di quest’opera cui si deve essere grati per la profondità e l’umanità a chi l’ha scritta.
Questo libro ha il valore immenso di riavvicinare esistenze al limite come quella di Nannetti alle nostre, nell’assottigliare il confine tra le une e le altre così da mostrare quanto davvero sia labile e impalpabile la differenza tra anormalità/follia; un inconsistente divario che divide un’esistenza ordinaria da quella di questi martiri silenziosi:
“Ciò che separa la mia vita dalla loro — e che separa ogni vita tollerabile da una vita disgraziata — è in fondo una distanza minima, un dettaglio avverso del destino, una coincidenza sfavorevole”.
© Francesco Pernigo
Con Nannetti. La polvere delle parole, Paolo Miorandi ci ha dato le prove della potenza della vita e nel percorrere, leggendo, i corridoi desolati e deserti di quella struttura, ormai parzialmente in rovina, se ci si lascia condurre dalle sue parole, si vive un’esperienza di tangibile bellezza, inclusione e condivisione. Nannetti ha graffiato polvere, trasformandola in parole, non ha solo inciso un muro, attraverso Miorandi ha permesso che si incidesse l’anima di chi legge.
Circondatevi di silenzio e ascoltate questo libro. Sono tante le voci che vi parleranno e ciascuna vi racconterà la stessa verità: la vita non si può rinchiudere, non si può tarpare, l’esistenza di una persona non può essere nascosta o cancellata. Da qualche parte il suo grido, assieme a quello di altri nelle stesse condizioni, ci raggiungerà, e non potremo che ascoltarlo.
Assieme alla voce di Alda Merini, che pure ha dato molta luce alle condizioni degli internati e alla loro storia assurda e vergognosa, un inesistente peccato da scontare, questo libro è un libro che va letto per sapere, per non ignorare ciò che è stato e per vigilare sempre che non si ripeta, anche se sotto mentite spoglie.
Un libro che è una preghiera, un inno alla vita in cui Miorandi parla di “creature invisibili che strattonano i fili a cui sono attaccate”, ce ne sono tante e ciascuna è invisibile a modo suo. A noi sta riconoscerle, intravederle e avere cura che compaiano nella nostra memoria affinché ambiscano al ricordo proprio come Trafeli, e oggi Miorandi, ne hanno avuta per ricordare a noi, l’esistenza di Oreste Fernando Nannetti.
"Dostoevskij", ricorda Miorandi, "riteneva che il limite di durata della memoria umana fosse fissato in cento anni; per cento anni un uomo può essere ricordato dai suoi figli e dai figli dei suoi figli, da quanti ne avevano veduto il volto".
Per questo Nannetti ha scritto sé stesso su quel muro. Per chi, come noi, non ne ha visto il volto.
Nannetti sapeva in cuor suo che i libri non sono come gli uomini, i libri vivono in eterno, eternizzano la memoria. La parola ci distingue e ci sopravvive e vola nel vento, trascinata come polvere per arrivare a chi sa ascoltare, come il lettore.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un libro scritto sul muro di un ospedale psichiatrico: la storia di Oreste Fernando Nannetti
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