Chi era Rabindranah Tagore? Le sue parole ci giungono da un tempo remoto, come il sussurro dell’incavo di una conchiglia, testi carichi di significato e saggezza che ci restituiscono la voce suadente di un poeta-profeta. Sembra esistere al di fuori dal tempo, dallo spazio, con la sua folta barba bianca, il lungo saio che ne riveste il corpo da capo a piedi, lo sguardo profondo e limpido. Tagore è il misticismo fatto a persona, sembra un novello Messia venuto da Oriente pronto a lenire ogni dolore umano con i suoi versi pieni di verità e di assoluto.
Un poeta-filosofo, un poeta-profeta, quel che è certo è che le opere di Rabindranah Tagore sembrano provenire da un altrove, da un luogo dello Spirito, dal centro stesso dell’Essere. C’è qualcosa che commuove nei versi di Tagore, perché le sue parole riescono a toccare il nocciolo caldo della comprensione umana, il centro pulsante del cuore dove si annidano i dubbi, le paure, le ansie, ma anche l’amore.
Ecco che anche le domande più grevi diventano leggere nelle poesie dell’autore indiano:
(...) E nella sua mente smarrita salì una domanda: "Dove sarà mai la strada del paradiso?". Il cielo non rispose, solo le stelle scintillavano, lacrime nella notte silenziosa.
Nel 1913 Rabindranah Tagore fu il primo autore non occidentale a essere insignito del Premio Nobel per la Letteratura per la “profonda sensibilità, la freschezza e la bellezza dei suoi versi”.
Scopriamo la sua vita e le sue opere.
Tagore: la vita
Il suo vero nome, in indiano, era Rabíndranáth Thákhur, noi ne conosciamo la versione anglicizzata e più facilmente pronunciabile. Nacque il 7 maggio 1861 nei pressi di Calcutta da una famiglia dell’alta aristocrazia indiana. Fatto senza dubbio sorprendente per noi occidentali che lo immaginiamo povero e privo di mezzi e siamo soliti vederlo vestito in maniera umile e spartana. Tagore non era nato dalla polvere delle strade dell’India, ma in una ricca dimora dotata di tutti gli agi e frequentata anche dagli occidentali.
Il nonno di Tagore era infatti Dwarkanath, un ricco uomo d’affari che aveva lavorato per la Compagnia delle Indie allacciando stretti rapporti con l’Inghilterra, alla cui corte era stato persino ospite, accolto dalla Regina Vittoria. Il giovane poeta dunque crebbe in un ambiente aperto, colto, multiculturale ed ebbe accesso alla migliore educazione potendo frequentare scuole inglesi. Iniziò a scrivere i suoi primi componimenti in età scolare e andò via via affinando le proprie tecniche letterarie, ispirandosi anche alle opere della letteratura occidentale come William Shakespeare.
Il suo primo poema recava il titolo di Il lamento della natura, seguito da Valmiki e I canti della sera. La sua infanzia fu segnata dalla scomparsa prematura della madre, una perdita che lo avvicinò soprattutto al padre e al fratello maggiore, Dwijendranath, anche lui filosofo e poeta. Seguendo il padre nei suoi viaggi Tagore apprese l’astronomia, la scienza, le lettere e le arti, pur senza seguire un percorso educativo regolare.
Dopo il matrimonio con la giovane Mrinalini Devi, una sposa-bambina a lui destinata dalla famiglia come voleva la tradizione dell’epoca, Tagore viaggiò a lungo in Europa visitando l’Italia, la Francia e tornando di nuovo nell’amata Inghilterra. I viaggi gli furono di ispirazione per la scrittura di un memoir intitolato Il diario di un viaggiatore in Europa.
Terminata la fase dei viaggi Tagore avvertì un’improvvisa esigenza di raccoglimento. Nel 1901 decise di isolarsi nella provincia di Santiniketan dove avviò una scuola sperimentale denominata Shanti Niketan, letteralmente Asilo di pace, basata sui tradizionali metodi di insegnamento guru-shishya delle Upanishad, che si opponevano ai sistemi pedagogici delle scuole inglesi. Si insegnava all’aperto, seduti per terra, dall’antica scrittura del sanscrito alle scienze matematiche; dopo una sessione di studio gli allievi erano chiamati a esercitarsi in attività manuali, come l’agricoltura, la ginnastica e la creazione di manufatti.
In quel periodo la vita di Tagore fu segnata da gravi lutti: morirono il padre, la moglie e due dei loro cinque figli. Poco tempo dopo si suicidò anche la cognata, cui lo legava un intimo affetto. Questa sequenza di disgrazie lo lasciò sconvolto spingendolo a cercare ancora più conforto nella spiritualità.
Da questa profonda sofferenza Tagore trasse ispirazione per comporre le sue opere più belle. Nel 1909, durante un nuovo viaggio in Inghilterra, scrisse il suo capolavoro Gitanjali che fu ammirato in particolare dal poeta William Butler Yeats che ne scrisse la prefazione. L’opera fu pubblicata in una prima edizione limitata nel settembre 1912 dalla India Society di Londra. L’anno successivo Tagore fu insignito del Premio Nobel per la Letteratura: era il primo non occidentale a vincerlo.
Gli anni successivi furono contrassegnati dall’attivismo politico. Tagore partecipò al movimento nazionalista indiano e divenne intimo amico di Gandhi, per cui coniò il titolo di Mahatma.
L’influenza del poeta bengalese sulla creazione dell’India Moderna fu determinante: le sue parole contribuirono a plasmare una nuova cultura che risentiva anche del pensiero occidentale. Il poeta era in grado di dialogare con le massime personalità del suo tempo; entrò nella storia il suo incontro con il grande Albert Einstein, avvenuto a Berlino nel 1930, in cui i due dialogarono apertamente sui temi della meccanica quantistica e il principio del caos e, infine, trassero delle conclusioni sulla relazione profonda tra la materia e la coscienza dell’uomo. Potevano apparire due personalità contrapposte - il Poeta e lo Scienziato - eppure il fatto più straordinario di quell’incontro è che tra loro emerse, soprattutto, ciò che li accomunava, non quel che li divideva.
L’impegno di Tagore nell’ambito dell’istruzione e della ricerca è noto. Nel 1921 Rabindranath fondò l’Università Viswabharati e donò all’istituzione il ricavato del premio Nobel e i diritti d’autore delle sue opere.
Nel 1940 l’università di Oxford gli conferì la laurea honoris causa in Letteratura. Tagore morì l’anno seguente all’età di ottant’anni, il 7 agosto 1941, dopo un lungo periodo di sofferenza dovuto alla malattia. Si spense nella stessa grande casa alla periferia di Calcutta dove era nato e cresciuto.
Il pensiero della morte non inquietava Rabindranah Tagore, in una sua celebre poesia intitolata proprio La morte scriveva:
È il tuo messaggero che sta alla mia porta,
l’adorerò a mani giunte, e in lacrime.
L’adorerò ponendo ai suoi piedi
il tesoro del mio cuore.Fatta la commissione, se ne ritornerà
lasciando un’ombra oscura sul mio mattino;
e nella mia casa desolata rimarrà
solo il mio corpo abbandonato
come mia ultima offerta a Te.
Immaginava di chinarsi al suo cospetto dandole il benvenuto. E chissà se, nel profondo raccoglimento del suo Essere, non l’abbia fatto davvero.
Tagore: le opere
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La produzione di Tagore, in lingua indiana, è sterminata. Non fu soltanto poeta, ma anche scrittore e drammaturgo.
Tra le sue opere, che includono oltre cinquanta volumi di poesia, ricordiamo le principali: Manasi (1890) (L’ideale), Sonar Tari (1894) (La barca d’oro), Gitanjali (1910) (Offerte di canti), Gitimalya (1914) (Corona di canti) e Balaka (1916) (Il volo delle gru).
Alcune traduzioni inglesi delle sue poesie sono state incluse nelle raccolte The Gardener (Il giardiniere) (1913), Fruit-Gathering (1916) e The Fugitive (Il fuggitivo) (1921), ma non corrispondono a volumi omonimi scritti nell’originale bengalese, sono dunque frutto di riedizioni successive.
Molti suoi scritti in italiano sono stati raccolti in volumi di poesia o in miscellanee di pensieri contenenti insegnamenti di vita derivati dalle sue conferenze, come La vera essenza della vita (Sadhana) edito da Guanda nel 2018.
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La poesia di Tagore, intrisa di spiritualità, ebbe il privilegio di insegnare agli occidentali un nuovo pensiero, a loro perlopiù sconosciuto. Molte delle sue liriche appaiono quasi ermetiche: non è chiaro se parlino di un uomo o di una donna, di una sposa che attende l’amato o di un’anima che attende l’unione con Dio. Ma proprio in questa ambiguità trovano la loro forza. I suoi versi celebravano la riunione armonica con la Natura e la ricerca dell’Assoluto nella potenza cosmica, inducendo gli esseri umani all’accettazione della vita in ogni suo aspetto, persino nel dolore.
In ogni parola trapela, vibrante, l’amore totale per ogni essere del Creato: non c’è creatura che Tagore non accolga in un abbraccio carico di pietà e accettazione. Erano più che semplici poesie, poiché dal loro significato morale traevano una forte carica mistica. Si trattava di un canto sommesso, monotono come una preghiera, quasi senza tempo, che sembra intessere “i motivi sempre nuovi dell’Essere”. Come recita una delle sue liriche più note, la volontà era quella di celebrare un Amore senza fine.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tagore: vita e opere di un poeta mistico
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