Timor sacro
- Autore: Stefano Pirandello
- Casa editrice: Bompiani
- Anno di pubblicazione: 2011
Ci sono libri fatti di personaggi, storie, atmosfere.
E poi ci sono libri fatti di libri. Libri autoreferenziali che si concentrano ostinatamente su se stessi, sul loro farsi (o disfarsi), svelando spesso, nel loro costruirsi progressivo, una gioia epifanica, quasi liberatrice, come sfoghi troppo a lungo covati, rimandati. Altri tradiscono invece tutte le perplessità più ingenerose di un problematico offrirsi, e con manieristica determinazione si smontano sotto i nostri occhi isterici e metamorfici quanto liquide geometrie.
I testi che sono testimonianza viva di un divenire sofferto delineano il ponte faticosamente tracciato dal pensiero astratto alla concreta forma artistica fissata per sempre.
Che cosa sono i libri in fondo?
Congegni malevoli che ci prosciugano con austera ingordigia o naturali propaggini del nostro essere? Sogni rivestiti di parole o bisogni messi a nudo sulla carta? O semplicemente l’insieme infinito delle interpretazioni cui ambiguamente si prestano? In quest’ultimo caso non apparterrebbero dunque a chi li scrive, ma a chi li legge soltanto.
Nel Novecento furono interrogativi che accomunarono un Mallarmé a un Sartre, il formalismo russo agli audaci sperimentalismi delle avanguardie.
Si può infatti fare a meno dell’opera d’arte, quando, pur urgendo in noi l’istanza espressiva, lo slancio creativo, si paventa che i mezzi a disposizione non corrispondano, per loro intrinseca debolezza, alla possibilità di un atto artistico compiuto? E come superare gli scarti tra la vita indisciplinata e la forma - gabbia leibniziana fatta di irreggimentate parole messe in fila - se non restando circoscritti alla claustrofobia di quest’ultima, dal momento che solo alla Letteratura è dato d’interrogare di continuo se stessa, trasfigurando il movimento dell’essere negli infiniti rimandi intertestuali tra le opere che le appartengono?
Va quindi da sé che esistono libri difficili da scrivere, portarti dentro per anni, che rappresentano alla fine, per quanto inclassificabili e mobili ancora, certo non romanzi ordinari ma coraggiose, talora crudeli rese dei conti, spudorati bilanci filosofici e letterari. Tali libri sono talora difficili persino da leggere: la loro filigrana è un sovrapporsi di snodi cruciali, di scelte sofferte viranti in metanarrativa, di percorsi imboccati a ritroso nel nome della Kristeva più audace, che esalta il potere del frammento proprio laddove il contesto non è più un tutto, ma il luogo dove meglio ogni scheggia assume il suo valore catartico, corrosivo, celebrativo.
Stefano Pirandello doveva liberarsi di un peso: il confronto ineludibile con un padre famoso, un genio assoluto. La sfida lo portò ad affrontare i suoi ostinati demoni, in particolare quello della genesi complessa di un libro che sarebbe stato la ‘summa’ di una vita: qui l’autore, la sua proiezione nello scrittore-attante, poi il protagonista del romanzo cui egli si sta dedicando - nella duplice dimensione di modello reale e invenzione fittizia -, le costellazione familiari di entrambi (ci sono padri, madri, figli, mogli…) entrano in scena insieme, convulsamente catturati in uno dei momenti più drammatici della nostra storia, quando agli intellettuali si chiedeva di omaggiare il regime redigendo libri ispirati a una sorta di ‘realismo fascista’. E il libro paradossalmente arriva a esistere, mentre lo leggiamo, pur nel suo recalcitrante, continuo negarsi. Autobiografico e reticente. Oscuro e (im)potente. Consapevolmente destinato ai lettori più forti e smaliziati.
Timor sacro
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