

Il 24 marzo 1887 al Teatro Valle di Roma debuttò il dramma Tristi amori di Giuseppe Giacosa che ripropone in chiave verista il triangolo marito-moglie-amante.
Giuseppe Giacosa e la sua Emma flaubertiana
Nella letteratura europea del secondo Ottocento, accanto alla donna fatale che vampirizza gli uomini (proiezione di paure inconsce di maschi in crisi identitaria) e alla donna idealizzata (proiezione di aspirazioni sublimanti), non mancarono figure femminili più vicine alla realtà.
Un esempio è Emma Bovary di Flaubert, intrappolata dagli stessi meccanismi sociali cui tenta di sottrarsi. Ma c’è un’altra Emma di ascendenza flaubertiana degna di menzione, quella creata da Giuseppe Giacosa (1847-1906), uno dei maggiori drammaturghi dell’età umbertina, protagonista del dramma borghese Tristi amori che la Duse portò al successo.
Giuseppe Giacosa attraversò con la disinvoltura dell’eclettico generi diversi, spaziando dal dramma storico di impronta romantica ad altri vicini al cosiddetto verismo regionale. È uno dei rappresentanti del teatro borghese che nel secondo Ottocento mette in scena la quotidianità della borghesia, afflitta da problemi di tutti i giorni e nello stesso tempo ne sostiene i valori: famiglia, maternità, rispettabilità, decoro e lavoro.
24 marzo 1887: il fiasco di “Tristi amori”
La prima assoluta di Tristi amori al Teatro Valle di Roma del 24 marzo 1887 fu un fiasco clamoroso, perché il dramma fu giudicato prolisso, noioso, poco incisivo. Ma a novembre dello stesso anno, al Teatro Gerbino di Torino, la divina Eleonora Duse nella parte di Emma fece il miracolo trasformandolo in un trionfo.
Un carteggio privato testimonia il profondo sodalizio umano e professionale tra l’attrice e Giacosa, a conferma della stretta collaborazione tra attore e drammaturgo che segna il teatro del secondo Ottocento.
“Tristi amori”: trama, temi e personaggi


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La vicenda si svolge in provincia. L’ambiente è un tinello o, se vogliamo ingentilirlo, una piccola sala da pranzo, lo spazio pubblico della casa borghese dove l’avvocato Scarli vive e lavora.
La sovrapposizione tra pubblico e privato non è un particolare da poco, perché sottolinea la mancanza di quell’intimità a corroborare la vita di coppia che il marito rimpiange alludendo all’abitazione precedente. La moglie Emma ha una relazione adulterina con l’assistente del marito, tal Fabrizio, di nobile famiglia. Ciò che rende attuale una vicenda senza tempo è l’ambivalenza psicologica dei protagonisti alla ricerca di una coerenza impossibile tra giusto e sbagliato, tra moralità e trasgressione, tra realtà e aspirazioni. L’amante si sacrifica per salvaguardare l’onore della casata da un padre vizioso, dissoluto e disonesto, ma cede alla passione per la moglie del datore di lavoro di cui è assistente nello studio legale.
Emma fa lo yo yo tra la colpa e il rimorso per aver ceduto alla passione. Scoperto l’adulterio, il marito non caccia Emma da casa pur di salvare le apparenze, ma non la perdona: vivranno separati sotto lo stesso tetto per il bene della figlia. In buona sostanza ciascuno serve una causa per tradirne un’altra. Quando il marito scopre la relazione extraconiugale, Fabrizio si prepara alla fuga con Emma, che però nel momento decisivo, non riuscendo a staccarsi dalla figlia, decide di rimanere con il consorte.
Il tema dell’adulterio nella letteratura ottocentesca
È vero che l’adulterio è un tema tipico della letteratura romantica, in quanto espressione della passione totalizzante a infrangere le convenzioni sociali tra cui il matrimonio. Però in questo caso tale tema viene ribaltato dalla scelta dell’eroina che, pur vivendo nella dimensione onirica dei sogni come la protagonista di Flaubert, nell’epilogo non ha il coraggio di andare fino in fondo per abbracciare amore e libertà.
È una moglie pentita, una madre pentita o una donna che ha bisogno di quella sicurezza economica che l’amante non può garantirle?
Il pensiero corre per contrasto a Nora di Casa di bambola di Ibsen, del 1879. Il suo presunto femminismo però - al di là della spiazzante scelta finale dove abbandona marito e figli -, è tutto da dimostrare, anche perché Ibsen non si è mai espresso in questa direzione. Chi dice che non vada in cerca di un altro marito da cui farsi proteggere e sostenere economicamente? Infatti Nora non fugge da un matrimonio asfissiante o insoddisfacente e nemmeno scappa con un amante, bensì da un marito che non l’ha protetta a tutti i costi come lei avrebbe voluto. La questione rimane aperta.
Matrimonio e compromesso nella pièce di Giacosa
Com’è, come non è, Emma resta accanto alla figlia e al coniuge in un tristissimo ménage che ha nel grigio la tonalità emotiva dominante. Non pretendiamo troppo. L’amore sponsale non contempla la passione, appannaggio dell’adulterio che minaccia l’ordine sociale come insegna Anna Karenina di Tolstoj.
Il matrimonio è un accordo tra due contraenti assennati e ragionevoli. Interessante la posizione del marito che pur di garantire alla figlia un futuro sereno quanto ad accettazione sociale, propone il compromesso di una vita coniugale di facciata.
È un dramma profondo, dai toni smorzati e prosaici di una quotidianità stanca e stinta tanto che la scena clou (quando Emma comunica a Fabrizio, pronto a portarla via con sé, la decisione di non seguirlo) si svolge durante i preparativi per la cena. Giacosa è un conformista, il suo teatro è il vessillo dei valori quali la fedeltà della donna sposata, l’integrità della famiglia, il dovere di assicurare con il lavoro il futuro dei figli. Tristi amori è un classico che ci sentiamo di consigliare anche per i dialoghi credibili, antideclamatori, vicini al quotidiano di una vicenda realisticamente attuale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tristi amori”: il dramma di Giuseppe Giacosa sul triangolo marito-moglie-amante
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