Tutto nel cuore e tutto il cuore in tutto, per me il nome di Patrizia Valduga è associato immediatamente a questa frase. Vi compariva citato in calce nel momento in cui la lessi e fu subito una folgorazione: mi parve un’affermazione perfettamente compiuta in sé stessa, una memorabile lezione di vita dal significato fulminante. Come bisogna vivere? “Portando tutto nel cuore e mettendo il cuore in tutto ciò che si fa”, mi dicevo, prima di scoprire che la frase era in realtà tratta da una poesia, non si trattava di un aforisma o di una citazione a sé stante. È strano come a volte le parole di un autore possano forgiare a fuoco il nostro immaginario, diventando parte di una visione che forse non era stata neppure contemplata nel momento della scrittura.
La famosa frase Tutto nel cuore non è che la trama di un disegno più complesso, di una riflessione profonda sulla precarietà dell’esistenza, come dimostra la lirica tratta dalla raccolta Quartine. Seconda centuria (Einaudi, 2001).
Scopriamo testo e analisi della poesia di Patrizia Valduga.
“Tutto nel cuore” Patrizia Valduga: testo
Tutto nel cuore e tutto il cuore in tutto:
sarà così alla fine delle fini?
il cuore sparpagliato dappertutto?
senza più notti, senza più mattini?
“Tutto nel cuore” Patrizia Valduga: analisi e commento
Link affiliato
Tutto nel cuore e tutto il cuore in tutto non è dunque un’affermazione, ma parte di una domanda. Sarà così alla fine? si chiede la poetessa contemplando come in un presagio la propria morte. Cosa resterà alla “fine delle fini”? Un modo estremizzato, parossistico per definire una specie di apocalisse come lo è, in fondo, ogni morte umana che decreta l’estinguersi di un universo personale.
La poesia descrive la precarietà della vita e si interroga sulla prossimità della morte: emerge la consapevolezza di non potersi sottrarre in alcun modo al destino, però ecco rimane il cuore, quel “cuore sparpagliato dappertutto”. Un mondo dello spirito che non conosce più la linea temporale del giorno e della notte, solo la vastità di un immenso sentire.
Perché nella poesia di Valduga il “cuore” rappresenta il correlativo oggettivo dei sensi. Anche nella raccolta Requiem emerge questa visione nella poesia Il cuore sanguina:
Il cuore sanguina, si perde il cuore
goccia a goccia, si piange interiormente
Il pianto, scrive Valduga, è interiore: pulsa nel cuore, non si vede negli occhi. Il vero pianto è invisibile, come il dolore, perché si annida nel pensiero. Questo “cuore” diventa quindi l’emblema tangibile dell’anima che si cristallizza, si fa concreta, trasformando un organo cavo nella linfa più pura dello spirito, nell’espressione intima e intoccabile dell’interiorità.
si perde goccia a goccia tutto il cuore
e il pianto resta qui, dentro la mente
Lo stesso cuore che Valduga immagina, al momento supremo della fine, “sparpagliato dappertutto” come le ceneri dell’anima che continuano a vivere in una sorta di animismo panico. Il “cuore in tutto” non è dunque espressione di una maniera di vivere, ma di un modo di morire: il cuore disperso, frammentato, onnipresente come ultima reliquia di un essere che ha amato con struggimento ogni cosa della vita. Alla fine cosa resta? Rimane il cuore, ci risponde Patrizia Valduga, l’espressione verbale di un sentire estremizzato sino all’ultimo battito.
Chi è Patrizia Valduga: la vita e le opere
È stata spesso definita “la diva della poesia”, ma in realtà è una presenza silente che vive soprattutto attraverso i suoi versi che sono al contempo medicamento e forza, dolore e terapia, un tentativo di mantenersi in costante equilibrio tra normalità e follia.
Patrizia Valduga è nata il 20 maggio 1953 a Castelfranco Veneto e ora vive a Milano, dove ancora lavora come scrittrice e traduttrice.
Dopo la maturità scientifica decise di iscriversi alla facoltà di Medicina, prima di scoprire che in realtà la sua strada era un’altra: la letteratura. Seguì dunque i corsi di Lettere all’università di Venezia dove insegnava il professore e critico letterario Francesco Orlando. Valduga definì più volte l’incontro con Orlando come “colui che mi cambiò la vita”. Si laureò con una tesi sullo scrittrice francese Céline. Fu un momento fondamentale per la sua formazione umana e artistica, così come l’incontro con il poeta e critico letterario Giovanni Raboni, che divenne il compagno di una vita.
Nel 1982 esordì con la sua prima raccolta poetica edita da Guanda, Medicamenta, vincitrice nello stesso anno del Premio Viareggio. Si trattava di una miscellanea di prove metriche “veleni, farmaci e filtri d’amore”: in quella prima opera apparivano alcuni dei temi chiave della poesia di Valduga come l’amore e il desiderio e il tentativo di ammaestrare il “non amante amato”.
Sa sedurre la carne la parola,
prepara il gesto, produce destini
Seguirono le raccolte Medicamenta e altri medicamenta (Einaudi 1989), il monologo in endecasillabi Donna di dolori (Mondadori 1991), il poemetto Requiem dedicato alla memoria del padre (Marsilio 1994), Corsia degli incurabili (Garzanti 1996), Cento quartine e altre storie d’amore (Einaudi 1997), Prima antologia (Einaudi 1998), Quartine. Seconda centuria (Einaudi 2001), Lezione d’amore (Einaudi 2004), Il libro delle laudi (Einaudi 2012) scritto dopo la morte del compagno di una vita, Giovanni Raboni, colui che ancora lei definisce un genio.
Stimata traduttrice, ha portato in Italia e opere di John Donne, Molière, Crébillon fils, Mallarmé, Valéry, Shakespeare e Kantor. Ora collabora per la pagina culturale di Repubblica.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Tutto nel cuore e tutto il cuore in tutto”: la poesia di Patrizia Valduga
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo Poesia Storia della letteratura Patrizia Valduga
Credo che la pubblicazione di una opera letteraria (soprattutto poetica....di sintesi comunicativa) debba poter contenere messaggi rivolti ai lettori che vadano "un pochino oltre l’individualità emozionale dell’ autore). Anche lo stile originale è importante. E poi, soprattutto, quale rapporto esiste tra autore e il suo tempo....questi tempi così drammatici? Che genere di messaggi vorrebbe comunicare agli altri chi scrive versi e li pubblica? Più in generale, credo che anche la poesia debba avere un suo dignitoso appuntamento storico con l’ uomo contemporaneo.