Secondo Ramin Barhami ospite di un incontro organizzato nell’ambito del Festival delle Letterature Migranti, tenutosi a Palermo, tra il 4 e l’8 ottobre, la cultura siciliana è molto vicina a quella della sua Persia, un paese di accoglienza, di sinergie, di contrappunto, crogiolo di razze e culture diverse capaci di vivere senza alcun conflitto.
In questa edizione del Festival delle Letterature Migranti, le culture si incontrano come fossero delle voci, delle fughe di Bach. Bisogna mescolarsi, ascoltandosi l’un l’altro. La musica ha un’importanza rilevante nella società moderna: se si avesse maggiore consuetudine di ascoltare la musica e se si imparasse a fare del contrappunto il proprio credo, molto probabilmente gli odierni conflitti non avrebbero luogo.
Ramin Barhami, oltre che un grande esecutore e un interprete straordinario, è uno studioso ed uno scrittore notevole e di qualità: ha scritto infatti pregevoli saggi quali “Come Bach mi ha salvato la vita” e “Nonno Bach. La musica spiegata ai bambini”.
Ne “Il suono dell’Occidente” vi è un viaggio nell’acustica dell’Occidente che per Ramin Barhami è stata la porta di accesso al suo arrivo in Europa, grazie ad un amico, un padre, un fratello straordinario che risponde al nome di Johann Sebastian Bach. Attraverso Bach si conosce la divagazione, un elemento che è fondamento della scrittura oltre che della composizione musicale.
Ramin Barhami fornisce non solo una discografia ideale ma anche una storia sentimentale della musica occidentale: in questo viaggio ci sono alcuni incontri straordinari che, grazie al metodo narrativo dello scrittore, assumono una sorta di esemplarità. In particolare il racconto dell’Ouverture 1812 di Čajkovskij che, almeno in parte, è un tentativo di ricostruire e drammatizzare la sofferenza del popolo russo dinanzi al tentativo di invasione napoleonica; un’eroica resistenza che un secolo dopo si ripeterà contro l’esercito nazista. Vi è qualcosa di profetico in quest’opera, un presagio di quel che accadrà negli anni a venire.
Nella rappresentazione di Pëtr Il’ič Čajkovskij troviamo un’invenzione fondamentale nella storia della musica ovvero un uso differente degli strumenti dell’orchestrazione. Nel suo racconto Ramin Barhami ci mostra la vicinanza del suo Paese, l’Iran, con la Russia.
In realtà, ne “Il suono dell’Occidente”, vi è un avvicinarsi delle arti e delle forme espressive, che dialogano fra loro. Quando si perde la percezione di un dialogo fra le forme espressive, cioè quando si perde di vista la forma di migrazione più importante che è la migrazione immateriale, smettiamo di comprendere la migrazione fisica.
Se si astrae da ciò che accade adesso, se si fa prevalere la considerazione dello spazio su quella del tempo, si commette un errore capitale: quando si ha paura di ciò che non si capisce, la paura, nemica della conoscenza, fa precipitare nella disperazione.
“Il suono dell’Occidente” è un libro che narra della visione che Ramin Barhami ha dell’Occidente attraverso la musica e, in questo senso, non si poteva prescindere dalla sua presenza nel contesto del Festival delle Letterature Migranti di Palermo.
Ecco che si procede dall’Orfeo di Monteverdi, il primo melodramma conosciuto (Mantova, 1607) alla Sagra della primavera di Stravinskij (Parigi, 1913), passando per le Quattro Stagioni,la Messa in sì minore, un concerto di Mozart, la Nona sinfonia di Beethoven, Tristano e Isolde di Richard Wagner, il requiem tedesco, l’Ouverture 1812, la Sinfonia n. 1 di Malher ed il Richard Strauss di Also sprach Zarathustra (1896).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Un incontro con Ramin Barhami
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